Francesco Motta + Leonardo Eric Cremonesi – Lio Bar (BS) 20/05/2016

All’ultimo riesco ad andare al Lio Bar, la macchina fotografica carica con un rullino da 24 riposa nella borsa.

Appena entrati la luce azzurrina del Lio ci avvolge e stiamo un attimo in attesa, ormai è quasi l’ora, le mie nuove scarpe bianche brillano ed ecco salire sul palco Leonardo Cremonesi con il suo cantautorato dal piacevole sapore adolescenziale. Da solo, in via eccezionale, con la sua chitarra, le sue canzoni e i suoi anfibi che batte a volte forte sul palco. Ogni tanto mi incanto a guardarli. Le scarpe dei cantanti son sempre interessanti. Snocciola una dopo l’altra le sue storie, Firenze mi cattura particolarmente, un pezzo dedicato a questa città importante per Leonardo, che già s’intuisce dall’adesivo FIRENZE ANTIFASCISTA appiccicato sulla chitarra.

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In chiusura una toccante cover di Satellite (Colapesce) come degna uscita di scena.

Ora il locale incomincia ad affollarsi, si diventa un po’ più impazienti mentre vengono sistemati un attimo i cavi e gli strumenti poi eccolo che invade il palco mettendosi a saltare, longilineo e secco con dei bei stivaletti marrone chiaro e i capelli già mezzi bagnati. Denso di energia, quasi euforico mentre le prime note di Prenditi quello che vuoi invadono il Lio, lui canta e ce l’ho a neanche mezzo metro da me, con il suo microfono e i suoi due rullanti, appena sotto bacchette di vario genere e già ai piedi del batterista intravedo la scaletta, riesco ad intuire qualche lettera e qualche canzone.

Vedere Motta dal vivo è un piacere. Gli occhi nervosi che appena si scorgono sotto quella fitta frangia di capelli, le braccia venose sempre in movimento, sempre tese, impegnate o a picchiare il rullate, o ad sostenere la chitarra, o ancora a carezzarsi il fianco mentre scambia qualche timida parola con il pubblico tra un pezzo e l’altro, con il suo accento toscano e un tono di voce che un po’ contrasta con quello cantato.

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“Non sappiamo ancora bene cosa dire nelle pause” sorride, ringrazia il Lio bar per ospitarli quella sera, poi Roma stasera dalle percussioni travolgenti, ritmo quasi tribale e leggermente arrabbiato Ne ho piene le tasche di tempi spezzati, di sogni bruciati. Guardo il batterista, un pensiero veloce su una vaga rassomiglianza con Dente, poi scruto le braccia piene di tatuaggi dai tratti orientali, le braccia come fogli di carta di riso sapientemente macchiate d’inchiostro, penso all’antico libri di favole giapponesi che ho in casa e alle sue illustrazioni, poi l’occhio mi cade sul bassista e i suoi movimenti lenti quasi sensuali, catturato dalla musica, annuisce sorridendo soddisfatto, io ipnotizzata finché non scorgo il tastierista un poco nascosto e l’altro chitarrista, il primo che è apparso sul palco, un gigante buono immerso totalmente nel ritmo e nelle sonorità di una band che sa molto bene quello che fa, un insieme di musicisti sapienti e capaci uniti da  un’estrema sintonia. L’imprevedibilità e la polistrumentalità di Motta ogni tanto emerge, quando si gira a suonare qualche tasto di tastiera, quando si appoggia al chitarrista altissimo, alcuni gesti di affetto, qualche abbraccio, forti legami che possiamo solo immaginare. Imbraccia la chitarra è la Fine dei Ventanni anche se lui ne ha ancora 29, ci confessa, quando verso la fine del live  passata la mezzanotte, dice che è il compleanno di qualcuno ma non il suo. E’ un po’ come essere in ritardo, non devi sbagliare strada non farti del male e trovare parcheggio. Riesce a innestare alcuni vecchi brani dei Criminal Jokers come Bestie tra la sfilza di nuove canzoni. Poi ecco Francesco che di nuovo domina il rullante con grinta, tutti che cantano che siamo sporchi e siamo umani e prima o poi ci passerà, ci invita a battere le mani, alcuni ballano e io un po’ l’invidio imbottigliata là in prima fila e ripenso a quando appena iniziato il concerto invitava la persone ad avvicinarsi “C’è ancora spazio qua eh”. D’un tratto sembra tutto finito, il palco vuoto, la solita finta che ci avverte della vicina fine del concerto, quella vera, infatti dopo poco rispunta fiero e saltellante con i suoi stivaletti e al collo la catenina con una piccola arpa come pendaglio, finisce di farci sentire il suo nuovo album, di padri comunisti, guerre vinte e perse, storie di prese di coscienza e ricordi, poi gran finale con Cambio la faccia sempre dei Criminal Jokers, riarrangiata in modo da creare un’atmosfera quasi onirica che rapisce tutti, densifica i sentimenti e gli stati d’animo, cambiamo tutti faccia e ali, viaggiamo con lui (tranne il tipo che passa tutto il concerto in un angolo a filmare con lo smartphone). Poi d’un tratto Motta si fa in disparte lasciando spazio e il palco totalmente alla musica, seduto in un angolo quasi in trance abbraccia la chitarra, a tratti si dondola, a tratti non si vede più. Forte applauso, lui che si inchina di fronte a noi con le mani giunte, ci ringrazia per essere venuti, ci ricorda il banchetto del merch appena dietro di noi ed io che penso che quasi mi perdevo questo concerto.

Foto scattate con Minolta Riva Zoom 135EX

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