Quello che non c’è – Afterhours

Abituarsi alla fine
Le luci di Natale mi fanno lo stesso effetto da sempre.
Luccicano, si alternano a se stesse, si spengono e si riaccendono. A ogni latitudine è così e così mi sentirei a ogni latitudine, adesso che sono qui ne ho la certezza.
Chissà se dove sei tu hai ancora la faccia spaventata come l’ultima volta, chissà se hai ripreso a sorridere come nella foto che ho scelto per te. Non ho mai avuto rimpianti, neanche una volta.
Il bene e l’odio, il rispetto e l’orgoglio, tutti ammassati uno sull’altro in questa sensazione. Incomprensibile.
La fuga.

Non ho avuto rimpianti, forse solo speranze esplose come bolle di sapone, senza far rumore.
Non ho mai ascoltato i tuoi dischi da italiano medio, non ho mai amato i Tex che lasciavi piegati a metà sul comodino. Mi sono sempre sentito così lontano da te da ritrovarmi faccia a faccia con la tua vita mentre cercavo di scappare dalla tua morte.
E di nuovo quella notte, quella in cui le gambe non mi reggevano abbastanza da permettermi di fare tutti e dieci i passi che mi separavano dalla sedia su cui eri appoggiato, vedevo il tuo sguardo, perso nella consapevolezza di ciò che ti spaventava.
Avevi paura di tutti quegli anni andati a male, della testa che gira e non si vuole fermare, delle parole forti e dei silenzi lunghi e vuoti. Non ti avevo perso di vista nemmeno un secondo, mentre il telefono squillava e squillava e la mia voce ripeteva inutilmente cose a cui non ho mai creduto.
Nemmeno oggi.
Ho creduto invece alla possibilità di lottare, di guadagnare un giorno e poi un altro, ho avuto paura di vederti appassire, di vedere appassire me con te, giorno dopo giorno e ora dopo ora.
Non è forse questo che tratteneva le mie labbra?
Ho mai avuto la forza per dirtelo?
Non ero qui, mentre ti guardavo dall’ingresso, appoggiato a un termosifone.
Avevo paura, paura di non riuscire a farti credere che potevo farcela, che non avrei mollato e che alla fine ti avrei detto:
“Guardami, non aver paura”.
Non mi hai creduto, e io forse non ho mai creduto veramente in te, né in me.
La strada è piena di piccole pozzanghere, gocce di pioggia le increspano.
È così inutile parlarti che mi sento come se fosse per la prima volta.
Sei venuto a prendermi a scuola ma io non c’ero, sono venuto a portarti via ma tu eri già distante.
Continuo a scappare e a rincorrerti senza troppo senso, papà.
E mentre le luci di Natale che incorniciano la finestra della tua camera da letto mi bruciano la retina, ti assicuro che non smetterò di farlo, che non ti aspetterò, che quando mi dirai di non aver paura continuerò ad averla, ma ti accarezzerò il viso.
Proprio come avresti fatto tu.

LA CANZONE

Canzone di assenza, di abbandono, di mancanza.
Canzone di addio, d viaggio senza ritorno.
Canzone di una vecchia fine e di un nuovo inizio.

Dal disco omonimo del 2002, quando Agnelli non aveva bisogno di essere un “giudice” per “ricominciare a vivere”.