Hide Vincent: un esordio essenziale

TRACKLIST

01) FATHER
02) BLOOD HOUSES
03) THINGS I DID TODAY
04) WHITE SUN
05) BLACK POETRY
06) CRAVE
07) ONLY KNEW THAT YOU WERE THIRSTY
08) DELICATE
09) A TIME BEFORE THE END
10) YELLOW LIGHTS AND BLUE SEAS

Hide Vincent è l’altro nome di Mario Perna, giovane musicista e cantautore che nasce nei primi anni ‘90 tra le montagne boschive dell’Italia del sud.

Parlare di un disco come il suo è semplice e complesso allo stesso tempo, perché si potrebbe incorrere in eccessi di semplificazione che non renderebbero merito a quello che è, senza troppi giri di parole, un bel disco.

È semplice perché le dieci tracce del disco hanno tutte un tratto comune che è quello della schiettezza, della immediata sensazione di “verità” che ogni canzone trasmette a chi lo ascolta, lontana dal barocchismo o dalla inutile sovrabbondanza di suoni che sempre più spesso cercano di mascherare una ispirazione mediocre o scontata.
La struttura essenziale della canzoni, chitarra-violoncello-basso-batteria, non solo riempie egregiamente il suono ma è anche un eccellente supporto al cantato di Mario, presente ma mai invadente, che racconta le storie di un uomo solo in mezzo al suo universo, in mezzo alla natura.
Proprio perché sembra tutto così semplice, il rischio, nel raccontarvi le dieci canzoni che lo compongono, è quello di far sembrare che il concetto di disco semplice-ed-essenziale sia, nel caso specifico, sinonimo di disco piatto-e-noioso, e non è così.
L’alternanza di pezzi Pop, di quel pop intimista che sembra provenire dai campus americani degli anni ’90 in cui alla freschezza dei suoni si univa un forte spessore compositivo, a brani più vicini al cantautorato moderno e di classe, quello dei Sun Kil Moon e di Ben Howard per intenderci, rende l’ascolto delle tracce tanto piacevole quanto intenso.
Basti ascoltare la fragile e malinconica melodia di “Delicate” e l’eterea chiosa finale di “Yellow Light and blue seas”, che si contrappongono mirabilmente alla freschezza e alla solarità di “White Sun” e “Father”.

Questo tipo di approccio musicale, la contrapposizione di momenti più aperti ad altri più riflessivi, emozionanti è quello più convincente e più adatto alle corde del cantante campano, che, non va dimenticato, è qui al suo disco d’esordio, sebbene per la maturità che dimostra, non sembrerebbe affatto.

 

 

 

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