Via vai di velocità

[..] prenditelo tu questo caos. A me, se puoi, lasciami il silenzio.
È un po’ che ti osservo vivere la tua vita e ogni volta che la sfioro con le dita torno di nuovo al punto di partenza, quello in cui mi passa la voglia di avere a che fare con te.
Non è nulla di personale, non voglio avere a che fare con esseri umani che di umano hanno solo le sembianze, le carni, gli occhi.
Occhi che ingannano bene, è una specialità di voi alieni, sempre se siete voi gli alieni.
Quante domande, quante poche risposte, allora ho provato ad interrogare il fondo della tazzina del mio caffè: la facevo ruotare a destra e a sinistra tenendola ben salda per il manico.
L’avrò fatto così tante volte che mi fanno ancora male le dita.
Microscopici granellini marroni, mischiati allo zucchero mal sciolto, giacevano su quel bel fondo bianco; provavo a decifrarne la forma globale, scartando democraticamente alcune possibilità dalla mia testa.
Un cerchio? No. Un quadrato? Neanche. Una nuvola deforme? Non proprio.
La risposta era semplicemente “niente”.
Non era niente. Eppure ci avrei giurato che in quella tazzina ci fosse una maledetta forma di qualcosa.
Qualcosa“.. Deve essere per forza qualcosa, ma se invece non fosse niente?
Eppure il niente è già qualcosa. Sapere che non c’è mai stato niente, su quel fondo, dà la certezza che non sono nè cieca nè matta: non vedo nulla perché non c’è nulla.
Allora pensai di cambiare sia la tazzina sia il suo contenuto.
Una bella bottiglia verde petrolio mi fornì momenti di beatitudine.
Era una di quelle bottiglie che zio walter portava dal paese, etichettandola “succo di frutta”: in realtà era un bel vino rosso corposo, di quelli che li bevi con gioia ma che poi ti fanno salire dei mal di testa violenti che ti lasciano inerme sul divano di casa di tua nonna.
Mi accasciai senza curarmi dei vari parenti che circondavano la tavola lì vicino e mi abbandonai ad un allegro girotondo insieme alle pareti del soggiorno.
Giravo, giravo, giravo, la stanza insieme a me girava e ad ogni giro mi sentivo più stanca, più sfatta..
Non volevo più capire, non avevo nulla da chiarire, niente di cui parlare.
Ero compiaciuta: questo giro sulle giostre non mi era costato nulla, anzi, ci avevo solo guadagnato.
Avevo guadagnato il sorriso beffardo di mio nonno che mi osservava dalla sua sedia, senza che il resto della tribù se ne accorgesse.
Mi guardava soddisfatto, consapevole che i mostri in cucina li abbiamo tutti, mica solo lui o solo io, e che questi mostri a volte non vanno combattuti, bensì storditi, confusi.
Allora sì, ripongo le armi e mi lascio stordire dalla nebbiolina delle sue sigarette.
Oggi non si combatte, oggi si dorme.

Informazioni su Fiorella Todisco 56 articoli
Classe '92, laureata in giurisprudenza alla Federico II di Napoli. Ama il diritto, la letteratura, la scrittura, la musica e prova a fare di tutto un po'.