Ciao Chris: Per amore di Marta

 

Di Gianluca Morozzi

Quel che ho fatto l’ho fatto per lei. Per gli occhi di Marta, le labbra di Marta, il collo di Marta, il seno di Marta, le gambe di, vabbè, avete capito. Per Marta in generale, diciamo. Nel suo insieme.

Alla quarta uscita con Marta, dopo tre incontri del tutto platonici e intellettuali, del tipo: 1) maratona Herzog al cineclub Lumiére, 2) spettacolo teatrale su Chiedi alla polvere con due attrici dentro un autobus in movimento, 3) concerto di cantautore simil Nick Drake in un localetto molto più piccolo dell’autobus, ecco. Al quarto appuntamento l’avevo sorpresa.
Marta si aspettava, forse, una rappresentazione di Novecento per burattini a dito nel retro di un’antica stalla. E io le avevo detto “Stasera ti porto al Vallereno.”
Marta, studentessa fuorisede proveniente non da una conchiglia come sembrava dichiarare la sua clamorosa bellezza, ma dalla località abruzzese di Moscufo, aveva sgranato gli occhi. “Ma il Vallereno non è, tipo, una discoteca che fa musica orribile?
Io avevo mosso la testa per annuire con studiata, implacabile e misteriosa lentezza. “Sì, è una discoteca che fa musica orribile, lo riconosco. Ma anche i posti più sordidi racchiudono uno scintillante, imprevedibile segreto.”
(Va bene, non avevo usato proprio queste precise parole. La sto infiorettando.)
Adrenalinico com’ero per la prossimità delle gambe di Marta, dei piedi di Marta, del culo di Marta, della schiena di Marta, insomma, per tutte quelle parti di Marta che aderivano al sedile del passeggero della mia Panda e per quelle altre che risultavano compresse e sacrificate sotto la cintura di sicurezza, le avevo parlato dei tre luoghi più improbabili della storia rock bolognese. Ovvero: Baricella, che aveva ospitato i Nirvana. Budrio, in cui avevano suonato i Ramones. E, soprattutto, il dancing Vallereno.
Avevo astutamente parcheggiato in via del Cardo, immortalata in Pompeo di Andrea Pazienza, mostrandole la casa del grande artista e il più volte disegnato Bar Cirenaica, e da lì al Vallereno erano stati pochi passi. “Ecco”, avevo detto entrando in quel posto così alieno a noi due, giovani artistoidi intellettuali, “io capisco che adesso tu non ci possa credere, osservando queste persone dall’abbigliamento assai pacchiano che ballano l’alligalli in pista senza neppure sapere come si scrive in realtà, e che non vedono l’ora che parta la Macarena per fare i passi della Macarena, ma io ero in questo locale, l’8 giugno del 1989. Quando qui hanno suonato i Soundgarden.
E a quel punto Marta si era illuminata. Perché lei, come avevo appreso in quelle tre uscite, era innamorata di Chris Cornell, della voce di Chris Cornell, delle canzoni di Chris Cornell, degli occhi di Chris Cornell, insomma, di Chris Cornell in generale.
Naturalmente stavo mentendo. L’8 giugno del 1989 probabilmente ero in un pub a ingollare Birra del Demonio o a fumare cannoni in un parco, neppure sapevo che esistessero i Soundgarden, Chris Cornell o il Vallereno. Ma i bolognesi raccontano di essere stati in trecentomila anziché in duecento a vedere Hendrix al Paladozza e in quattrocentomila al piccolo Kriptonight di Baricella per i Nirvana. Potevo raccontare questa piccola bugia?
E ci avevo aggiunto dei dettagli, naturalmente. Sul caldo che faceva, di come a un certo punto Chris Cornell fosse rimasto a torso nudo, di certi momenti di lancinante bellezza di quel concerto mai visto. E, alla fine, avevo calato il carico da undici.
Poi, dopo l’ultimo bis, Chris”, sì, l’avevo chiamato Chris, in confidenza “aveva ordinato un whisky doppio, e siccome non era ancora famosissimo, vedi, nessuno lo disturbava, si era seduto proprio qui, nel locale”. Avevo cercato con rapidi sguardi un divanetto libero. “Era lì. Esattamente lì”. E qui l’avevo sparata grossissima, sperando di non esagerare. “E i gestori del locale, in suo omaggio, non hanno mai cambiato niente di quel divanetto. Il rivestimento, la fodera, nulla.”
Gli occhi di Marta scintillavano come la vastità della cazzata che stavo inventando, io, tramutato in un incrocio tra Mastroianni e Marlon Brando dall’adrenalina. Fremevo dal desiderio di conoscere le labbra di Marta, la lingua di Marta, le cosce di Marta, insomma, Marta.
Quindi lui sì è seduto proprio lì?”, aveva ansimato, con la voce da montante orgasmo.
Esatto. Per questo ti ho portata qui. Per farti sedere dove si è seduto Chris.”

Ora, a ripensare a quel che era successo pochi minuti dopo, quando l’eccitata Marta mi aveva ficcato quattro metri di lingua in gola, forse cercando di immaginare – con un grosso sforzo di fantasia – di essere sul divanetto con Chris Cornell anziché con me, magari mi dovrei vergognare per la mia piccola bugia.
Ma non mi vergogno affatto.
Perché Marta, fidatevi, era l’unico frutto della creazione a essere bello quanto la voce di Chris Cornell.

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