La Macchina del Tempo – Wolfmother e Giuda live al Parco della Musica a Padova

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A cura di Paolo Cunico

È stata una serata diversa quella del 7 luglio al Parco della Musica a Padova, non per gli aspetti climatici che erano anche fin troppo in linea con le medie stagionali, ma per l’aria che si respirava stando vicini al palco. Un’aria fatta di rock vecchio stile, diretto e senza fronzoli, sexy e potente al tempo stesso, come il basso Rickenbacker dei Wolfmother.

È l’unica data italiana per la band australiana nel 2017 e fra il pubblico c’è molta carica e voglia di far casino. A vederli sembrano sulla stessa lunghezza d’onda anche i Giuda, gruppo spalla di lusso, che propone un live energico che non scontenta nessuno dei presenti, anzi, riesce a stemperare un po’ la tensione nel parterre.

Intorno alle 22 e 30 il trio capitanato da Andrew Stockdale fa il suo ingresso sul palco con Victorius, canzone che dà il nome all’ultimo disco della band, mettendo subito in chiaro che il concerto di questa sera sarà tutto fuorché tranquillo. Difatti, senza il minimo ritegno, la band spara subito dopo New Moon Rising e Woman scatenando il putiferio: il pogo polveroso coinvolge un po’ tutti gli avventori del concerto, chi più e chi meno consenziente.

Il trio australiano tira dritto come un treno, proponendo una hit parade della sua carriera spaziando soprattutto fra i primi due dischi, proponendo perle come Vagabond, New Moon Rising, White Unicorn e Dimension.

Stockdale ed il bassista Ian Peres sembrano posseduti; quest’ultimo soprattutto si muove indemoniato in ogni angolo del palco passando dal basso alle tastiere con dei movimenti più vicini ai folletti che al genere umano. La cosa che più mi stupisce è che, almeno a livello d’impatto sonoro, il trio non fa assolutamente rimpiangere la versione a sei componenti vista a Piazzola sul Brenta un po’ di anni fa.

I Wolfmother regalano al pubblico un concerto bellissimo che, come la popolare trasmissione televisiva condotta da Alessandro Cecchi Paone da cui prende il titolo questo articolo, ci riporta un po’ indietro nel tempo.

Per un’ora e mezza, chiusa con Joker and Thief, i Wolfmother ci hanno riportato in un mondo dove a farla da padrone sono le chitarre Gibson, gli Oh Yeah messi un po’ qua e là all’interno delle canzoni e il gesto delle corna sotto il palco. Stockdale si presenta con due chitarre e nessun roadie a supporto (cambiando la sua Les Paul bianca solo quando gli si rompe una corda), scalcia mettendo in mostra gli stivali di pelle, e da metà concerto in poi suona rigorosamente a torso nudo.

Mia nonna direbbe che questo è stato un concerto “come sti ani” (come una volta, per capirsi), ed è stato bellissimo.

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Nato sotto la stella dei Radiohead e di mani pulite in una provincia dove qualcuno sostiene di essere stato, in una vita passata, una motosega.

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