Mambo (Ballata della P38)

La solfatara, Renato Guttuso

 

a cura di Roberto Pollio

Le sei del mattino e una melodia tribale da sveglia cinese, la posticipo di cinque minuti e poi ancora cinque, finalmente apro gli occhi stanchi e pesanti come se avessi fatto a pugni per tutta la notte.

Mi abbasso il pantalone e piscio guardando il pisello in mezza erezione e poi mi lavo la faccia con acqua tiepida e sapone di discount.

Il caffè in cucina sta finendo e preferisco farmene uno lungo e forte, da sorseggiare mentre ascolto la radio.

Mi é sempre piaciuto ascoltare la radio di mattina, poca musica e tante parole pacate, discussioni sul confine della luce.

Poi il tempo inizia a scorrere con rinnovato vigore e devo muovermi per riuscire ad essere fuori dalla porta alle sette e venti, lavato, vestito male e con la mia coppola inglese, rubata anni fa, saldamente sul capo, il mio elmo metropolitano.

Prendo sempre un caffè al bar, appena sotto il palazzo, per accendere la prima sigaretta della giornata.

Uomini in fila, con completi sgualciti e occhiaie pesanti, lavoratori da ufficio con il pensiero di mille rate da pagare.

Il barista sforna un caffè dopo l’altro in tazze bollenti ed il fumo riempie la caffetteria come in un vecchio quadro sulle solfatare siciliane e nessuno si parla.

Nessuno pronuncia una parola, sono tutti come fantasmi dagli occhi vitrei a bere velocemente e poi pagare e la fila si ingrossa mentre guardo un ragazzo che come me non deve fare certo il manager, pantalone logoro e barba sfatta, mi riconosce anche lui, muove impercettibilmente gli angoli della bocca, troppo stanco per accennare un sorriso, si volta e se ne va.

Il ragazzo del bar intanto sta lavorando già da qualche ora ed é nel pieno dell’alienazione, non guarda nemmeno più in volto i clienti e si muove come una macchina, senza esitazione, senza umanità.

 

Sto facendo tardi anche stamattina e devo correre verso la metropolitana con la mia Camel che si consuma per il vento.

Carriera carriera devo fare carriera.

Pagare mille odiose piccole imposte mensili e rate di cose che non ho mai desiderato e dormire poco, molto poco, costretto a guardare film scadenti per non riattivare il cervello e basta leggere, giammai scrivere o suonare o qualsiasi cosa possa produrre bellezza.

E non sei vecchio per non avere ancora figli?

E pianifica, costruisci il futuro, accetta compromessi, tagliati le ambizioni, cammina curvo gobbo supplica per contratti malpagati, prostituisciti negli uffici davanti a capi senza tempo e scrupoli.

Abbandona tutti i sogni da illuso, che nel mondo reale non si scherza ed il massimo a cui puoi aspirare é una bella casa ed ogni tanto una bella vacanza, ma neanche quella avrai tranquillo, nemmeno quel nuovo fottuto frigo avrai.

 

La metropolitana é un carnaio.

Mi ricorda il vecchio caro Stige, noi anime in pena destinate a produrre e consumare, un mondo di prodotti, di tempi serrati e di paura.

<Scusi, si sposti un po’ >

<Ma dove cazzo vado, qua sta scoppiando>

E via così fino alla fermata, come minatori esausti rivediamo la luce alla fine del cunicolo e finalmente si inizia: Il lavoro, il caro vecchio lavoro da schiavi che ci permette di andare al cinema una volta al mese a vedere un film che non fa ridere e mettere i nuovi prodotti vegan bio in tavola.

 

Ero arrivato là, fino alle porte del mio dovere.

Scappai tra le macchine ed i clacson e andai a farmi baciare dai raggi del sole e il vento, come in una scenografia artificiale, faceva oscillare lievemente le cime degli alberi.

Rimasi a guardare mille facce anonime camminare sempre più frenetiche nelle strade ancora sporche di buio.

 

E ci sono tante cose a cui pensare e tante domande che io ed il mio compagno di strada, un cane randagio che prende il sole accanto a me, ci facciamo, mentre un barista svogliato mi prepara un caffè bollente in monouso, così da poter bere mentre stesi sul prato riflettiamo.

Il cielo in pochi minuti diventa azzurrissimo e terso, come un coperchio di una pentola di creta che vidi in Grecia tanti anni fa.

Dalle cuffiette il vecchio Bob mi suggerisce che:”The answer, my friend, is blowin’ in the wind”, ma all’improvviso non c’è nemmeno uno spiffero di vento.

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