Make America Great Again?: ritornano i Virginiana Miller

VIRGINIANA MILLER

The Unreal McCoy

(Santeria/Audioglobe)

A cura di Antonio Bastanza

TRACKLIST

1. The Unreal Mccoy
2. Lovesong
3. Old Baller
4. Motorhomes of America
5. Christmas 1933
6. The End of Innocence
7. Soldiers on Leave
8. Toast the Asteroid
9. Albuquerque

Tornano Dopo ben sei anni di assenza dalla scena musicale, i Virginiana Miller, con un nuovo album
The Unreal McCoy“, che coglie di sorpresa perchè non è quello che ci aspettavamo da loro ma che allo stesso tempo è profondamente intriso della magia che ogni lavoro della band livornese ha in sé.

Completamente in inglese, per la prima volta su etichetta e distribuzione indipendente (SANTERIA/Audioglobe), The Unreal McCoy segna l’ennesima, significativa tappa di un percorso artistico che è andato costantemente a evolversi, rinunciando a specchiarsi nei consensi che da sempre li hanno accompagnati.

Un disco profondo ed emozionante, sin dal principio che lo muove: raccontare l’America come la vediamo, anzi come la immaginiamo dalle lande italiche, con tutto il carico di sogni e sensazioni che da sempre accompagnano il nostro osservatorio sugli amati/odiati/desiderati Stati Uniti. Sempre che narrare luoghi, personaggi e situazioni così apparentemente lontane da noi non serva a raccontare meglio anche la nostra realtà.

Quando iniziammo a comporre le prime canzoni, cantare in italiano per una band era ancora una scommessa. Ma non ci lasciammo spaventare e forse un po’ contribuimmo, con altri, a creare la scena di quello che oggi chiamate”indie”. Ora, in questo 2019, abbiamo due notizie da darvi.
Prima quella cattiva: in italiano non abbiamo più voglia di dirvi niente. Quella buona però è che siamo lieti di accogliervi nel nostro nuovo mondo immaginario. Nell’immaginario del nostro mondo nuovo.
Ladies & Gents, The Unreal McCoy!

Sul talento compositivo, sulla coerenza artistica, sull’impatto emotivo delle loro canzoni difficile scrivere qualcosa che non sia stato già scritto.
La potenza dei testi di Simone Lenzi non solo non viene alterata dalla scelta di cantare in inglese quanto al contrario ne risulta esaltata: il disco “americano” dei Virginiana Miller, nei contenuti e nei suoni, non poteva essere cantato diversamente. Impossibile, nel leggere le liriche dei brani, non pensare ai maestri della narrativa a stelle e strisce, Raymond Carver in primis, alle suggestioni che una certa letteratura ha generato.
Le atmosfere musicali, gli accenti a volte smaccatamente country a volte più vicine a un rock classico e polveroso, sposano in maniera perfetta i testi: il risultato è che il livello di questo lavoro va ben oltre quello di un semplice disco e si avvicina molto a quello di una sorta di romanzo musicato.

Le 9  tracce dell’album, prodotto nuovamente da Ale Bavo, missato da Ivan A. Rossi e masterizzato da Justin Perkins nel suo studio di, ça va sans dire, Milwaukee in Wisconsin, compongono un affresco vivo e intenso, in cui viene narrata questa America sospesa tra immaginario letterario e decadenza reale, tra semplicità e apparenza, tra verità e finzione, tra “real” e “unreal”, giocando sul significato del titolo. (“the real McCoy” è una espressione idiomatica e metaforica con la quale si identifica “una roba genuina”).

Citare un brano piuttosto che un altro sarebbe riduttivo, come voler limitare la bellezza di un libro a un capitolo piuttosto che un altro. Certo canzoni come la title track (Son, I was cowboy/Riding a clotheshorse in the prairie/Do you think I died in vain/To save the fatted calf/Under a dusty rain
To make America great again), come “Old baller“, come la conclusiva “Albuquerque” sono difficilmente dimenticabili anche la primo ascolto, ma è un disco che va assaporato più e più volte, con la tranquillità e l’attenzione come quella richiede l’assaggio del miglior Bourbon.

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