Un melting pot di suoni dal sapore internazionale: intervista ai Pashmak

A cura di: Renata Rossi

Reduci da un tour che li ha portati in giro per il mondo, ritornano i Pashmak con il loro secondo lavoro, “Atlantic Thoughts”, a cura di Manita Dischi. Abbiamo fatto un po’ di domande alla band milanese per conoscerla meglio

Ciao ragazzi! Spiegateci innanzitutto il significato del vostro nome, perché Pashmak?
Damon: è un cibo iraniano che mio padre mi portava quando ero piccolino.

Ciascun pezzo di ATLANTIC THOUGHTS contiene suggestioni a luoghi e mondi diversi. Anche la musica sembra suggerire un respiro internazionale che abbraccia paesi diversi. Come spieghereste il vostro sound a chi non vi conosce?
Giuliano: mi trovo sempre in difficoltà alla domanda “voi che genere fate?”.
Abbiamo sempre avuto riferimenti molto diversi tra noi, insieme ad alcuni punti in comune, e questo è un punto di partenza molto stimolante per fare musica insieme. Nelle nostre canzoni si possono trovare rimandi al cantautorato internazionale da parte di Damon, alla musica contemporanea di Martin e all’elettronica contemporanea da parte mia. Questo mix ci ha sempre aiutato anche a comporre e produrre musica molto evocativa.

Harp è il vostro primo singolo di cui è uscito anche un video. Mi ha molto colpito sia la musica che la storia raccontata in immagini. Di chi è stata l’idea del video, volete raccontarcelo?
Damon: Laura Samani è una regista di Trieste che ha già partecipato a Cannes con un corto (La Santa che dorme), ci ha visti live nella sua città e ha proposto subito di collaborare per un video. Voleva fare un video di Kamikaze (Indigo EP) poi i mesi sono passati e avendo incominciato a lavorare al disco nuovo abbiamo deciso di proporle il video di Harp. L’idea alla base era quella di ricreare la sensazione di libertà ed esplorazione che si prova in adolescenza quando si hanno tutti i pomeriggi liberi per girare in bicicletta con i propri amici e fare cazzate. Poi dopo parecchie riunioni più o meno riuscite, Laura ha preso il controllo della situazione e ha fatto il capolavoro. Ora sta lavorando ad un lungometraggio, ancora un annetto e ne sentirete parlare parecchio, è un talento con tantissima grinta!

Quanto la cronaca e la politica dei giorni nostri influenza la vostra musica e le vostre vite?
Damon: Per quanto mi riguarda la mia risposta è sempre la stessa, l’atto politico è il nostro continuare a testa bassa a fare quello che ci piace, senza pensare troppo al mercato, alla scena, alla fattibilità etc.
In un momento storico in cui si rimane sempre su un piano orizzontale: quotidianità, musica pop populista o, come direbbe Kierkegaard, “esaltazione della mediocrità” (La nostra Epoca 1845), il nostro è un forte atto politico di resistenza.
Giuliano: la politica e la cultura influenzano sempre le persone e i loro comportamenti, spesso inconsciamente, e di conseguenza anche il modo di far musica, più o meno implicitamente. In particolare per noi andare in tour in Russia in cittadine in cui non si sono mai visti stranieri e nei Balcani fino al Kosovo l’atto politico e culturale di fare musica che spesso è molto implicito in patria era diventato un aspetto di primo piano.

Dal punto di vista dei suoni la contaminazione influenza i vostri pezzi. La tecnologia vi viene incontro per la composizione e la creazione dei suoni?
Damon: durante il processo di composizione degli ultimi dischi abbiamo usato ampiamente Ableton, più per un discorso di efficienza a parer mio e mi piacerebbe tornare a scrivere in sala prove. Le cose che mi piacciono maggiormente dell’ultimo disco sono i pezzi nati da improvvisazioni (Solid Roots, Shanti) e le canzoni scritte al pianoforte (Laguna, Bronzo). Non ho nulla contro la tecnologia, è molto utile, solo vorrei poter lavorare alla musica senza pensare così tanto all’efficienza o al suono/produzione e dare priorità al valore intrinseco della canzone. Ovviamente questo è quello che sento io, ognuno di noi la pensa diversamente come è giusto che sia.
Giuliano: per me invece la tecnologia è uno degli aspetti più importanti nel fare musica. A me piace stare in studio e sperimentare con nuovi strumenti e software e lasciare che il processo influenzi la destinazione che voglio raggiungere.

Quali sono i gruppi e gli artisti italiani e internazionali che ascoltate maggiormente? Con chi vi piacerebbe esibirvi?
Damon: per quanto riguarda gli artisti italiani che ascolto citerei i Verdena, Battisti, Edda, Afterhours e Capossela, Marisa Terzi e Fine Before You Came; su quelli esteri Patrick Watson, Moses Sumney, Dhafer Youssef, Wildbirds and Peacedrums. Più che esibirmi con loro mi piacerebbe cenarci insieme e ascoltarli parlare, magari dargli un bacetto.
Giuliano: a me piacerebbe un sacco suonare in un contesto da club dividendo il palco con DJ e artisti più elettronici. Un sogno sarebbe di dividere il palco con gli Young Fathers, che tecnicamente abbiamo fatto l’anno scorso al Ment Festival a Lubiana anche se abbiamo perso il loro live!

Avete suonato in diverse parti d’Italia e d’europa. Qual è un posto in cui non siete stati e dove vi piacerebbe esibirvi?
Damon: Giappone e Canada, Sudafrica, Svezia.
Giuliano: suonerei ovunque perché il tour è un modo unico per entrare in contatto con le persone e le culture, ma sicuramente mi piacerebbe tantissimo andare in Giappone.

A proposito, avete news su nuove date live?
Damon:
15.3 Carpi (MO) – Mattatoio Culture Club
20.3 Roma – Le Mura
31.3 Loreto (AN) – Reasonanz AssCult
4.4 Torino – LAMBìC
4.5 Albizzate – The Family – Circolo di Albizzate