La dolcezza del dobermann dell’Officina della camomilla

La primissima canzone che ho ascoltato dell’Officina è stata Cometa Superga.

Mi è partita per caso nella playlist di 8tracks di musica italiana “indie” che avevo fatto, ancora nella mia fame di conoscenza musicale in cui mi trovavo nell’estate 2014. Avevo una fame inarrestabile, ero curiosa di conoscere nuove sonorità, nuove band, nuovi testi, volevo approfondire questo mondo appena scoperto della musica italiana indipendente contemporanea.
Alcuni nomi mi avevano sfiorata in passato, Le Luci della centrale elettrica ad esempio, ma non avevo mai approfondito. La mia adolescenza è stata contrassegnata da una costellazione di band inglesi/americane: Bombay Bicycle Club, i mitici Arctic Monkeys, The Strokes, Beach House e altre band che facevano giusto qualche canzone ed ep carino senza riuscire a fare poi tanto altro rumore.
Non ero stata emo o altre cose strane, anzi normali forse per gli adolescenti.
Anomala e irrequieta, probabilmente sfigata, scoprivo una dopo l’altra queste band per caso, spesso su Youtube, anche se ancora andava non ho mai avuto a che fare con Myspace ma con 8tracks sì.

La primissima volta in cui ho sentito nominare l’Officina della Camomilla, invece, è stato ad un concerto di Vasco Brondi.
Nell’attesa del concerto, in un locale sperduto nelle campagne venete, avevo fatto conoscenza con queste ragazze di Vicenza. Mi ricordo ancora che stavamo ad aspettare tra le prime file e una di queste si volta e mi dice “Dicono tanto che i testi delle Luci non hanno senso ma non hanno mai sentito quelli dell’Officina della Camomilla”. Il nome mi aveva lasciata perplessa e divertita, poi era iniziato il concerto e non ci avevo più pensato, almeno fino a quella fatidica playlist sconosciuta.

Ascoltandoli per la prima volta ho pensato che la voce del cantante era strana e simpatica, non ricordo poi troppo bene, ma ricordo solo che mi lasciarono voglia di ascoltare altro, un senso di curiosità “Cos’altro possono fare?” iniziai ad ascoltarli a piccole dosi, nella paura di essere delusa da un momento all’altro ma questo non accadde. Scoprii la vecchia Officina, me ne innamorai e l’Officina della Garrincha, la Garrincha e i suoi artisti ma furono le primissime canzoni che mi conquistarono. Molte a quanto pare all’epoca perdute (e alcune ancora oggi).
Tre sono stati gli scalini che mi hanno lanciata in questo mondo dell’”indie” italiano
1. Le luci
2. Dente
3. L’officina della camomilla
Dall’Officina in poi ho incominciato ad ascoltare nuove band italiane o vecchie band trascurate nella mia poco emozionante adolescenza.
Procedo per fissazioni che vengono poi superate, assimilate e vanno ad aggiungersi alla memoria delle altre e compongono la mia cosiddetta cultura musicale e io l’Officina l’ho approfondita fino a non avere più canzoni inascoltate, fino al midollo ne ho succhiato la polpa e queste “nuove” vecchie canzoni ne ridanno linfa.
Bisogna dire che la produzione musicale di De Leo ha del mitologico: un pozzo senza fine di testi, sonorità, visioni. Un cilindro magico dove l’Officina è uno dei bianconigli che ne fuoriescono.
Le sue sono canzoni talmente pregne di gioventù e ingenuità, testi apparentemente senza senso (NB apparentemente), citazioni di Piero Ciampi, Sylvia Plath e altri, giri di parole e queste sonorità essenza dell’adolescenza o comunque di un periodo spensierato, sbadato, semplice e insieme complicato.
La musica e testi sono visionari, la mente vaga e pascola nei ricordi, nell’immaginazione.
Ascoltandole mi fabbrico ricordi che non ho, simili a film indipendenti dalla colonna sonora accattivante, scorribande notturne, amori e infatuazioni che per me sono arrivate tardi.
Sembra quasi di stare con lui in quella cameretta a vederlo cercare di sbrogliare i suoi labirinti mentali, a sviluppare le sue idee, i suoi ricordi, frammenti di avvenimenti, visioni tramite le canzoni e la musica.

Da notare come alcune frasi e melodie tornano ciclicamente nelle sue canzoni: 
“a squartare il turchese per poi entrarci dentro, ricucire il tutto e sparire per sempre”
lo troviamo sia in Cometa Superga che in Due allegri mici morti (la si trova nell’antologia e prima di questa era sconosciuta pure a me), “scambiare l’autobus con la candeggina” risuona in sia L’alfabeto degli uomini senza gamba che in Tancredi e Marina per Laila, “cadaveri urbani più fatiscenti” in Cometa Superga e sempre in Due allegri mici morti, la figura ricorrente del cane e della spazzatura la ritroviamo più volte in Cometa Superga, La canzone del cane, Veramente conta, Briciola skinhead, L’alfabeto degli uomini senza gamba.
Ancora “l’universo nei chewingum” in Senontipiacefalostesso e Veramente conta, i “palloncini neri al posto del silenzio” rintracciabile in Fake tales of Pietraligure e Basmati, infine “al cinema strafatto”, “il cielo è l’allenamento”, “la dolcezza del dobermann” in Zucchero di squalo (dove troviamo pure citazioni della Plath) e Tancredi e Marina.

Questi sono solo alcuni punti fissi nella liricità e nelle visioni di De Leo che ne caratterizzano la produzione e sono pure simpatici da notare/scoprire man mano che si ascolta.
Esistono anche più versioni della stessa canzone, vedi la mitica Charlotte: dalla prima più intima e forse biografica all’astrattismo e l’evoluzione delle altre, o si riscontrano anche assonanze di melodie come ad esempio la base di Autunno a Milano ricorda Letto a castello, o ancora, molte di quelle strumentali ricordano e riprendono vere e proprie canzoni poi sviluppate in maniera completa (es. vedi Nadeje e le ruote panoramiche ripresa alla fine di Io me ne vado).

Sono tutte fiabe, raccontate piano oppure urlate, più o meno personali, di una dolcezza disarmante: questa è la vera essenza dell’Officina. Non per sminuire tutto quello che è venuto dopo, visto che non si può nemmeno rimanere ancorati al passato, proprio per questo credo che mettere a fuoco e riportare alla luce questo passato, diventi anche un modo per lasciarlo andare, per andare avanti.
Proprio per tutto quello che abbiamo detto finora, l’ultimo lavoro della Garrincha è un vero e proprio lavoro archeologico, il pezzo mancante di un grande e complesso puzzle.
Il ritorno alle origini era, alla fine, qualcosa che doveva succedere e sicuramente, nonostante questa magica antologia da sempre bramata e ormai insperata, ci saranno cover e demo ancora sconosciute e salvate chissà dove che forse rimarranno per sempre nell’oblio, nell’iperuranio musicale segreto di Fra.

 

Foto, disegno e parole di Esel Ciulla (Esel che fa foto, Simpaticomimetica)

 

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