La regina della musica no-wave infiamma il pubblico calabrese: Lydia Lunch live @ Cinquefrondi (RC)

Parole di Renata Rossi

Foto di Antonio Bastanza

Lydia Lunch, si proprio lei, la sacerdotessa della musica no-wave newyorchese, figura iconica di trasgressione e ribellione femminile è stata la protagonista di un mini tour in Calabria che l’ha vista esibirsi a Catanzaro venerdì 31/08 e a Cinquefrondi (Reggio Calabria) sabato 01/09. Il live reggino è stato organizzato dallo splendido locale “Il Frantoio delle Idee” e “Cheap Thrills Booking Agency” con il supporto di “Dark Age Events”, “AsproBiker Sound Project”,  e l’Associazione Multiculturale “Mammalucco”.

Il suo è un nome altisonante, come quello dei musicisti e band con cui ha collaborato negli anni, solo per citarne alcuni: Nick Cave, Kim Gordon, Thurston Moore, Einstürzende Neubauten, Sonic Youth, Die Haut e Black Sun Productions. Importante inoltre la sua carriera da scrittrice e di attrice di alcune pellicole dell’underground americano.

Osservare i visi di chi era li presente era sufficiente a rimarcare che non era una serata e un live qualunque: le emozioni di chi era sotto il palco e non vedeva l’ora di vedere Lydia Lunch esibirsi erano palpabili, un pubblico variegato e non giovanissimo, ma anche tanti neo genitori che, pur di assistere allo spettacolo, hanno “costretto” i loro pargoli all’ascolto di un concerto non proprio adatto ai bimbi.

Sono le 22.30, ad aprire il live una storica band new wave calabrese, gli Other Voices che nella voce del suo frontman, Enzo Amato, non nasconde la gioia di essere gruppo spalla della Lunch. Grazie alla classe dei suoi musicisti e alla loro capacità di stare sul palco, i ragazzi reggini creano il giusto mood oscuro ed elettrico in sala. Un’atmosfera crepuscolare anni ’80 accomuna i brani presentati che spaziano sull’intero repertorio della band, fino ad arrivare al termine del live con “Anatomy of a Pain”, pezzo che dà il nome al loro album di debutto che li aveva fatti conoscere e apprezzare dal pubblico.

 

 

Subito dopo tocca a Lydia scaldare gli animi: l’artista poliedrica entra sventolandosi nervosamente col ventaglio e posa sulla pedana della batteria una borsa di pelle, rossa come le sue labbra e le sue unghie laccate.

Insieme a lei sul palco due dei Big Sex Noise: Ian White e Daniel Cherney. Batteria e basso creano un sound grezzo e primitivo che libera istinti e passioni remote, un martellamento sonoro ossessivo, incontrollabile e isterico che fuoriesce in ogni nota. Ma la protagonista dello show è lei: voce graffiante e sguardo diretto al suo pubblico, un pubblico, quello italiano, che magari non comprende ciò che Lydia canta o declama a gran voce, ma rimane folgorato da ciò che la cantante esprime; è come se qualcosa ti colpisse e ti percuotesse dall’inizio alla fine dello spettacolo. Lydia  aggredisce con impeto il palco ed è capace anche di creare siparietti deliranti quando cerca ad esempio di impedere ai fotografi di lavorare o si lamenta veementemente del suo microfono che non va come lei vorrebbe. Ad un certo punto, nel bel mezzo dello show, si ferma, si siede e, da gran signora, apre la sua borsetta si ripassa il rossetto fiammante e fuma una sigaretta: tutto ciò mentre va in scena una sorta di messa nera tra la catarsi collettiva di un pubblico rapito.

Usciamo felici dal locale sempre più convinti che spettacoli di questo tipo non conoscano rughe o smagliature; unica nota stonata della serata la brevità del set: un’ora scarsa che non vede alcun bis proposto o ritorno sul palco da parte del trio newyorkese.

 

 

Ma, naturalmente si perdona tutto quando la performance è questa: that’s rock, babies!

 

 

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