Se non avessi fatto questo mestiere, sarei stato uno sfigato: intervista a Bianco

Intervista a cura di Greta Piccotin

Rise Festival, 7 Settembre, Parco degli Alpini – Padova

Non si poteva chiedere una location più verde per chi di cielo e terra ha scritto molto spesso.
Questa sera tocca ad Alberto Bianco, cantautore di Torino, incantare parte della redazione di Più o meno pop, cioè solo io, perché alle cose belle si partecipa anche in solitudine. Insomma, un live leggero, ma non frivolo, emozionante, ma non pesante. La chiusura di un tour estivo per Bianco e la sua band che possiamo immaginare magnifico e intenso.
I Bianco’s ci propongono qualche pezzo tratto dal nuovo disco “Quattro” come “30 40 50” e poi un viaggio intenso tra i pezzi più vecchi come “Volume”, “Agosto”, il nostro primo amore “Mela”, il duetto con la cantautrice Levante “Corri Corri” per concludere con il giretto “ooooh-ooh-oh-oh” di “Le stelle di giorno”.
E proprio perché le stelle ventiquattro ore lavorano, ci apprestiamo a fare qualche domanda a Bianco subito dopo il live.

 

Cosa rende Alberto Bianco “Felice”?
Mi rende felice stare bene, che sembra un po’ un giro di parole maldestro. Stare bene, almeno per me, è una condizione assoluta molto rara perché c’è sempre qualcosa che mi crea del disagio, anche se poi trovare la via per risolvere questa condizione è la strada per la felicità. Molto banalmente la cosa che mi fa stare bene è quando sento che quello che sto facendo fa del bene anche a qualcun altro e non solo a me: questo è quello che spero di fare con la mia musica, generare emozioni positive.

 

A tal proposito, ci sono dei momenti sporadici durante il giorno in cui ti fermi a pensare che proprio in quel preciso istante qualcuno ti stia ascoltando e stia gioendo o piangendo su qualche tuo pezzo?
Purtroppo questo pensiero, e lo dico un po’ come autocritica, viene inquinato da mille altre sovrastrutture. Dovrei iniziare a fare una pulizia dei pensieri e dare più valore al fatto di essere scelto ogni giorno, in auto, sotto la doccia o come accompagnamento a qualche sigaretta. Mi capita di percepire le emozioni del pubblico durante i live, soprattutto quelli invernali nei piccoli club dove c’è più contatto e più intimità. Fermarmi a pensare, però, che durante il giorno qualcuno abbia
scelto una mia canzone come colonna sonora di un particolare momento non mi succede quasi mai, inizierò a farlo più spesso.

 

Come fai a capire quando un pezzo che hai appena scritto è da inserire nel prossimo disco? Quando ti senti pronto a premere il tasto rec senza rimpianti?
Semplicemente quando mi viene voglia di ascoltarlo tanto, a ripetizione, senza freni. Quando un
pezzo lo provo con la mia band e funziona, quando suona “da paura” allora è pronto, non serve
altro. L’importante è che il pezzo segua il mio gusto, che non si allontani da quel cantautore chitarra
e voce che sono, che lasci trasparire la mia vera identità.

 

Alberto Bianco 18enne come si vedeva da grande?
Non mi sarei mai visto come un musicista di professione. Ho sempre avuto troppo la testa sulle spalle purtroppo. Dico purtroppo perché fa parte di me ponderare troppo le decisioni ed ignorare troppo spesso l’istinto. Ma scrivere canzoni e poi suonarle è nato come un modo di dire le cose che non potevano essere dette altrimenti. Penso sempre che se non avessi fatto questo mestiere, sarei stato uno sfigato.

 

– Con chi vorrebbe collaborare Bianco in futuro?
La voglia che sento è di collaborare con delle persone che non sono per forza deli artisti, nel senso stretto del termine, nella musica. Mi piacerebbe collaborare con delle persone che lavorano dietro le quinte, persone che rendono immenso il lavoro dei musicisti. Sono affezionatissimo a Riccardo Parravicini, produttore, tecnico del suono e amico incredibile con cui ho lavorato per “Guardare per Aria”. Potrei farti 25 nomi diversi con cui vorrei collaborare nel mio prossimo disco, non perché non mi fidi di una persona sola, ma perché so che con ognuno di loro ci sarebbe un’intesa pazzesca e stimolante.

 

Insomma Bianco ci ha fatto innamorare delle stelle, delle onde del mare, del suono del campanellino della bici, ci ha fatto immaginare un aeroplano pronto a portarci mai troppo lontano dalle cose che amiamo. E tutto questo in una sera. Ci ha fatto capire che ci meritiamo di essere sognanti, ma con i piedi, purtroppo, sempre ancorati bene a terra. Ci ha fatto pensare positivo, ammettere a noi stessi di non essere così forti come pensavamo, ma alla fine perdonarci perché prima o poi finirà anche il gioco del nascondino.
Ci ha ridato la voglia di ritrovarci.
Grazie Bianco, anche se non ti perdoneremo mai la decolorazione ai capelli.

P.s: Credo che tutto il genere femminile si meriterebbe qualcuno che “la luce che non ho spento l’ho
lasciata per te.”

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