“Il tempo ci sfugge come un cappello”, intervista ad Alessandro Pieravanti de “Il Muro del Canto”

A cura di Serena Coletti

Il 19 ottobre è uscito “L’amore mio non more”, quinto capitolo per il gruppo Il muro del Canto, che da ormai otto anni si distingue grazie alla sua musica di ispirazione folk e western cantata però in dialetto romano. Insieme alla consueta narrazione della città, con le sue mille contraddizioni, affrontata dal punto di vista della popolazione più umile, l’album porta avanti una riflessione importante sul tempo, che si articola tra i testi delle canzoni a cura di Daniele Coccia (voce), e quelli dei monologhi scritti da Alessandro Pieravanti (voce narrante e batteria). Ad accompagnare le loro parole il basso di Ludovico Lamarra, la chitarra acustica di Eric Caldironi e l’immancabile fisarmonica di Alessandro Marinelli, che per l’occasione si siede anche al pianoforte.

Ci siamo fatti raccontare questo lavoro direttamente da Alessandro Pieravanti, che ci ha lasciato la sua interpretazione su alcuni dei temi più importanti dell’album.

 

 

Partiamo proprio dalla copertina, a cura di Lucamaleonte, carica di significati simbolici. Come è nata la collaborazione e cosa avete voluto rappresentare?

A curare tutto l’artwork c’è Paolo Campana, che lavora nel mondo dell’arte figurativa e del fumetto; da fan del Muro si è proposto di prendere la direzione artistica di tutti i progetti grafici e di affidare le nuove grafiche agli artisti che ritiene via via in linea con il nostro lavoro. Lui ci ha presentato Lucamaleonte con il quale c’era stima reciproca quindi ne siamo stati molto contenti. Il processo creativo infatti è partito dall’ascolto dei brani e poi in base alle ispirazioni hanno provato a sviluppare una rappresentazione grafica. Sicuramente è molto evocativa, rappresenta una lotta tra il bene e il male e al centro c’è il tempo che passa, tematica molto importante del disco che ha ispirato anche loro ascoltandoli.

Citavi la tematica del tempo che è sicuramente molto presente, addirittura il disco si chiude con un tuo monologo sviluppato su questo. Come mai avete deciso di affrontare così profondamente questo argomento?

In realtà è stata una cosa spontanea partita da me, che scrivo i monologhi, e Daniele (Coccia), che scrive le canzoni, forse sarà che ci stiamo invecchiando. La band ormai ha 8 anni, anche noi cresciamo, e quando si matura il tempo è una tematica sempre più presente.

 

Altro filone conduttore è Roma, da sempre presente nelle vostre canzoni. In questi anni è cambiata un po’ l’idea che voi avevate della città?

Roma si porta dietro talmente tanta storia che difficilmente si possono percepire cambiamenti tanto radicali in un tempo limitato. Rimane un rapporto ricco di contraddizioni, tra i suoi aspetti più belli e quelli più problematici. Poi ci sono alcune questioni più attuali e legate alla cronaca che sicuramente incidono, ma ad influenzare un testo è più spesso l’immaginario radicato in te, noi tendiamo a raccontare di cose che sono rimaste impresse nel nostro modo di vedere il mondo magari nella fase della crescita, quando si era più piccoli e quindi anche più sensibili.

 

Ci sono molti sguardi al passato e alla storia, che uniscono un po’ i due temi citati, quello del tempo e della città. Quando guardi al passato cosa pensi di poterne trarre per la tua narrazione?

Penso siano tutti riferimenti al servizio di riflessioni più intime, non abbiamo un’attitudine né documentaristica, né nostalgica, né storica. Raccogliamo avvenimenti che risvegliano in noi delle emotività che ci portano a riflettere nei nostri rapporti con gli altri, che sono poi la cosa più importante nella vita, quindi per esempio in “Novecento” Daniele guarda a passato più che altro per ricreare un’atmosfera. Io in “Roma Maledetta” concludo dicendo che la Roma che ci fa più paura è quella indifferente, perchè alla fine può succedere qualsiasi cosa, qualsiasi fatto più o meno efferato, però i conti poi si fanno sempre con se stessi, con l’intimo delle persone, quindi è l’indifferenza che viene messa sul piatto della bilancia, ed è un sentimento che prescinde dal tempo o dallo spazio.

 

Nella volontà di raccontare una Roma che non c’è più rientra sicuramente anche a scelta di inserire “Ponte Mollo” di Lando Fiorini, come vi è venuta questa idea?

Diciamo che noi non abbiamo mai calcato troppo la mano sulla canzone romana tradizionale, cosa che invece magari sarebbe sembrata scontata per un gruppo come il nostro. Però ci sono alcuni brani particolarmente belli che meritano di essere riscoperti: tra questi c’era “Ponte Mollo” che ci sembrava una storia particolarmente romantica nel senso più ampio del termine. Abbiamo quindi deciso di proporla nel disco, anche per spezzarne un po’ l’incedere con un brano più lento.

 

Torna più volte la figura di Pasolini, più o meno direttamente, che sicuramente porta riflessioni importanti per un gruppo come il vostro che canta in dialetto. La sua è una presenza voluta o è stato quasi un caso?

Pasolini, con diverse forme d’arte, è riuscito ad esplorare tematiche a noi molto care, compresa la sua stessa storia che in qualche modo rientra in questa narrazione. Io l’ho inserito proprio come fatto di cronaca, però molto spesso i temi trattati da lui entrano in comunicazione con quelli che noi affrontiamo quindi è senza dubbio una personalità intellettuale che ha influito in maniera importante sulla nostra poetica, penso ad “Accattone” che per noi è un film importantissimo. Quindi parlarne ci viene davvero spontaneo, anche senza che ci sia una volontà a monte.

 

Abbiamo parlato della canzone in dialetto, ma una delle grandi novità di questo album è l’inserimento anche di testi in Italiano, avete notato la differenza nel metterli in musica?

Il nostro è un dialetto molto spontaneo, dettato da un’esigenza di immediatezza comunicativa, quindi non è una scelta, allo stesso modo è stato molto naturale lavorare su brani come “Stoica” e “Il tempo perso”. Ci fa sorridere il fatto che qualcuno l’abbia vista come volontà di lanciarsi su un mercato più vasto. Sinceramente se avessimo voluto farlo avremmo scelto dei brani più adatti, mentre questi sono profondamente intimisti e non così immediati, quindi la scelta è stata completamente senza secondi fini.

 

Infatti nel tour che partirà a breve suonate un po’ in tutta Italia, quindi immagino abbiate un buon seguito anche fuori da Roma, che, a proposito, non è in lista. State preparando una data anche nella capitale?

Le altre volte avevamo deciso di festeggiare l’uscita del disco con la prima data a Roma, ora vogliamo dare ancora più importanza a questa data usandola per festeggiare la fine del tour. Vogliamo dare il meglio di noi in quello spettacolo e per questo sarà molto utile anche fare un po’ di rodaggio nelle date precedenti. A volte si tende ad entrare in una comfort zone che spinge a fare sempre le scelte più facili, ora vogliamo prima confrontarci in territori più complicati per poi tornare in maniera liberatoria in un posto dove siamo sicuri.

 

All’interno dell’album la vostra cifra stilistica è sempre riconoscibile, ma viene unita a influenze molto eterogenee: dal reggae a delle chitarre che richiamano un certo rock americano a ritmi da valzer. Questa voglia di allargare gli orizzonti nasce da vostri gusti personali?

Tutte queste sono in realtà influenze nuove di band che abbiamo deciso di esplorare insieme; i nostri gusti personali, quindi la musica western, il folk, il cantautorato, li avevamo già espressi nei lavori precedenti. Forse ora sentivamo l’esigenza di scoprire qualcosa di nuovo e lo abbiamo fatto insieme, un po’ divertendoci e un po’ stupendoci perchè anche a noi fa abbastanza strano suonare stili apparentemente così lontani da noi.

 

I due singoli usciti sono accompagnati da video che vedono come protagonisti attori romani molto importanti in tutta Italia (Vinicio Marchioni e Marco Giallini), come nasce questa collaborazione?

Loro sono due simboli di Roma ma di livello nazionale quindi siamo molto fortunati ad avere le loro partecipazioni. Pur essendo personaggi di successo loro sono ancora legati a un mondo più popolare, alle persone, all’impegno per questo è stato tutto piuttosto semplice. Incontrandoci abbiamo scoperto che c’era stima reciproca e quindi gli abbiamo chiesto di collaborare.

 

Nei video loro incarnano il ruolo degli “ultimi”, voi spesso nei vostri testi parlate delle lotte di queste persone contro i potenti, i “padroni”. Credi abbia ancora senso fare una distinzione così netta?

Il termine “padrone” nello specifico, anche se sicuramente potrebbe rispondere meglio Daniele che lo utilizza, secondo me ha un senso più che altro allegorico, macchiettistico. Noi sicuramente narriamo degli ultimi perchè ci piace l’idea di portare conforto a quelle persone che ascoltando le nostre storie ci si possono rivedere, capire che le loro sono problematiche comuni a tante persone ma anche che sono superabili con l’unico metodo possibile, ovvero continuando a creare energie positive e a vedere il lato positivo della vita. Quindi sono dinamiche che esistono, c’è gente che non ha privilegi, e noi continueremo a trattarle in maniera forte perché lo sentiamo anche come un dovere della nostra poetica.

 

TOUR DI PRESENTAZIONE

16/11 ASTI, Indieavolato at Diavolo Rosso

17/11 SETTIMO TORINESE (TO), Suoneria della Musica

24/11 MODENA, OFF

29/11 MILANO, Circolo Ohibò

30/11 PADOVA, Hall

01/12 BRESCIA, CSA Magazzino 47

08/12 IMPERIA, La Talpa e l’Orologio

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