MILANO PER GABER – Gli incontri con Cesare Cremonini e Willie Peyote parlando di come il Signor G. abbia influenzato la loro carriera artistica

Parole a cura di Lucia Filardi
Foto a cura di Lucia Cirillo

In occasione della dodicesima edizione di Milano Per Gaber, siamo stati il 27 aprile al Teatro Strelher di Milano dove Cesare Cremonini è stato intervistato da Marinella Venegoni, e al Piccolo Teatro Studio Melato da Willie Peyote con Lorenzo Luporini. Sono stati due incontri molto intensi che personalmente mi hanno fatto uscire col sorriso ma anche con riflessioni importanti.

Ma iniziamo dall’incontro pomeridiano con Cremonini che ci ha raccontato di sé, del suo tour negli stadi e di come Giorgio Gaber abbia influito nella sua vita.

Prima di far entrare Cesare Cremonini viene proiettato un video della sua esibizione di Al Tuo Matrimonio fatta allo Stadio San Siro lo scorso Giugno. Credo scelta proprio per il concetto di teatro-canzone di Gaber, cantata seduto su uno sgabello con un archetto e il chitarrista di fianco è stato sicuramente il momento più intimo del concerto allo Stadio che porta il cantante a mettersi a paragone con Gaber dicendo:

“La mia carriera è stata sicuramente diversa da quella di Giorgio Gaber, io ho scelto di parlare alle masse, lui aveva scelto gli individui. Però secondo me la teatralità, il modo di porsi, anche negli spazi grandi può creare un’individualità con il pubblico molto forte”.

E su come e quando ha conosciuto il Signor G:

“Ho conosciuto Gaber a ventitrè, ventiquattro anni, dopo una sbornia molto grande, quella della mia carriera. Dopo il boom dei Lunapop ero un imbecille incredibile. Penso che non ce l’avrei mai fatta se non avessi cercato delle figure sorveglianti, dei padri artistici, e Giorgio Gaber per me è stata una importantissima figura sorvegliante per tutta la mia carriera”.

Infatti grazie a Gaber, e ad altri miti della musica, Cesare ammette che è riuscito a mettere in discussione alcune regole sia nel vivere che nello scrivere canzoni, a pensare che la musica leggera possa contenere un’analisi o un’autoanalisi.

Il discorso va poi sulle figure di riferimento e sulla loro importanza nella vita in generale, la stessa Marinella Venegoni ha chiesto a Cremonini se sente la mancanza di un ”Luporini”, riferendosi al collaboratore e amico più stretto di Gaber, Sandro Luporini. Cesare Cremonini risponde:

“Secondo me un Luporini manca a tutti nella vita. Manca soprattutto agli artisti giovani. Io lo intendo come una persona amica, qualcuno che ti protegge e con cui ti arricchisci veramente. Io mi auguro di trovarlo un giorno. I giovani di oggi sono soli e la solitudine nella creatività e nell’arte ti porta su strade sbagliate”.

Parlando d’arte e della sua carriera artistica si cita inevitabilmente uno dei suoi miti, Freddie Mercury, ormai quando glielo nominano alza subito il braccio per far vedere il tatuaggio che ha dedicato al front-man dei Queen.

“Nella loro diversità Freddie Mercury e Giorgio Gaber sono ravvicinati da una capacità di teatralità, dall’inchino, dalla gestualità, dalla capacità di rendere teatrale un momento. Quando ho affrontato gli stadi avevo bisogno di visualizzare nella mia mente figure che conoscevo: Gaber e Freddie Mercury in quel momento erano i miei angeli custodi sulla spalla destra e sulla spalla sinistra”.

La sera ci siamo spostati al Piccolo Teatro Studio Melato, dove in un ambiente molto rustico ci siamo trovati con Guglielmo Bruno, in arte Willie Peyote, che annuncia di essere al lavoro per un nuovo disco, senza dire molto, e parla del suo ultimo concerto tenuto all’Alcatraz, incalzato da Lorenzo Luporini che lo ha definito uno spettacolo quasi teatrale.

I riferimenti, mentre Willie Peyote parla, sono sulla musica cantautorale italiana, da Fabrizio De Andrè, di cui ha anche inciso una cover del brano Bombarolo, ad appunto Giorgio Gaber. Nel brano Metti Che Domani infatti cita una celebre frase di Gaber:

“Libertà è partecipazione”

continuando con

“ma se il maestro vedesse adesso in che situazione forse cambierebbe opinione”

e spiega che secondo lui quando Giorgio Gaber parlava di partecipazione intendeva una partecipazione consapevole, mentre oggi noi non scegliamo di partecipare ma siamo costretti.

“Se non posti per tre giorni vuol dire che ti è morto qualcuno, se tu sparisci dai social la gente si preoccupa, se tu non dici cosa pensi su qualsiasi argomento ti senti escluso. E se questa è la partecipazione allora penso che bisogna fermarci tutti un attimo e fare un passo indietro”.

Se definite Willie Peyote un rapper, sbagliate, se lo definite cantautore, sbagliate ancora, e questo lo dice lui perché:

“Quando facevo rap non ero abbastanza rap, nell’altro contesto invece usavo troppe parole, non mi presentavo con la chitarra come tutti gli altri, e quindi non venivo preso sul serio. A un certo punto mi sono detto che non mi serviva etichettarmi, che dovevo fare la mia roba e che prima o poi avrebbe funzionato”.

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