Tarlo della Sete – Bachi Da Pietra

bachi

 

Odore di piscio che si alza dai marciapiedi sconnessi per l’incuria.

Una carezza di scirocco e solitudine immersa in una goffa mattina di agosto, mentre vago per le strade che da qui portano alla stazione.

Una coppia di randagi con la lingua di fuori si muove pietosa,  tutto attorno un silenzio irreale che copro col rumore della musica nei miei auricolari.

Non mi piace la gente qui, non mi è mai piaciuta e io non devo piacere a loro.

Deve essere una qualche forma di repulsione inconscia che mi porto dietro dai tempi dell’università. Oppure, più semplicemente, io non sono come loro.

In mezzo alla gente mi sono sempre sentito alieno, distante.

Al mercato, la sera nei pub, in libreria nei lunghi sabati pomeriggio estivi in cui non lavoravo.

Avrei fatto di tutto per farmi andar bene questa città, mi sarei lasciato corrompere, lo giuro.

Mi sarei condannato all’insoddisfazione di pulire cessi e piatti, riordinare letti e scaricare e caricare bagagli. Mi sarei venduto l’anima per un posto in cui sparire, per un orizzonte oltre cui lanciare lo sguardo.

Non posso voltarmi indietro perché ho bruciato tutto ma guardare avanti è un esercizio di immaginazione che non riesco a far durare più di un secondo.

Vedo che dopo una porta c’è una porta, dopo un muro un altro muro,

Scendo troppo spesso nelle pieghe di giorni persi a riempirmi la bocca di quello che non ho, è questa la verità.

La mia valigia è diventata uno zaino, il resto è rimasto nella camera al piano seminterrato dove ho passato alcune delle ultime notti nella speranza di renderle meno insonni.

Solo le scarpe sono rimaste le stesse perché ne ho bisogno, di qualcosa che mi aiuti a ricordare chi non voglio più essere, quante volte sono inciampato rotolando su me stesso per la troppa foga o il troppo timore.

Con i pugni in tasca che stringono le chiavi di casa attraverso la strada verso la fermata del bus, incurante del rosso del semaforo e del sole a picco sulla testa rasata di fresco, senza affrettare il passo.

Avrei potuto anche invecchiarci qui, ricostruirmi sulle macerie, inventarmi diverso e scoprirmi nuovo.

Mi rendo conto che in tutto il tempo trascorso qui non ho provato nemmeno una volta a fare qualcosa che mi potesse rendere più completo, come imparare a nuotare, facendo felice mia madre.

Ovunque ma non qui.

L’autobus si muove e io mi posiziono in fondo, appoggiato a un’obliteratrice che sembra non funzionare da tempo.

Mentre ci allontaniamo pian piano, tra il fumo dei vapori di scarico vedo i due randagi dirigersi verso un barattolo di latta, colmo d’acqua per la pioggia della notte scorsa: timorosi avvicinano i loro musi e io li vedo iniziare ad abbeverarsi e subito dopo abbaiare l’uno contro l’altro per averne l’esclusiva.

Distolgo lo sguardo e ripenso a me, a come vivo e a quello che mi aspetta. Ho imparato a scrivere al buio, a contare i sorrisi e a dissetarmi con i silenzi che trovo per strada.

A farmi bastare quello che c’è e a non aspirare a nulla di più.

Non ho imparato a farlo, ma almeno ci sto provando.

 

IL BRANO

Tetro, cupo e denso. “Tarlo della Sete” è, nenache a dirlo, la terza traccia di “Tarlo Terzo”, terzo disco della premiata ditta Succi/Dorella. E se vuoi scoprire se 3 è il numero perfetto, almeno nel mondo malato e soffocante che ci circonda non devi fare altro: Just Push Play