PASSEPARTOUT. Romanzo breve.

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scritto insieme ad Ada Schettini.

 

CAPITOLO VI

Giammo aveva fatto di tutto per essere puntuale all’appuntamento. “Ore 20, sotto casa mia” gli aveva ordinato Ali. Non era una persona ritardataria e questo avrebbe potuto scusarlo. Avrebbe raccontato la verità, che si era addormentato sul libro di analisi 1, era un tipo sincero d’altronde. Ma mentre levava la catena dalla sua moto si chiedeva se avrebbe dovuto raccontare ad Ali anche il sogno che l’aveva tormentato e turbato in quella mezz’ora di sonno in cui, grazie alla noia e alla stanchezza, era caduto velocemente.
Il sogno era a tratti confuso, fatto di scene veloci ma chiare. Ali era intrappolata in una gabbia dorata sospesa in aria, oscillante e luccicante, legata al soffitto da una catena massiccia, annerita dalla ruggine e logorata dal tempo. Al centro della gabbia un grande lucchetto, con intarsiature floreali e sotto al lucchetto l’entrata per una chiave evidentemente troppo piccola rispetto al lucchetto e a tutto il resto. Alcune scene Giammo non le ricordava con chiarezza. Ricordava il terrore negli occhi di Ali, chiusa in una gabbia tanto elegante quanto spaventosa. Ricordava bene la sua sensazione di paura e di inquietudine, che aveva sentito ancora addosso appena sveglio. Ricordava l’avvilimento che aveva provato nell’accorgersi che, se anche avesse avuto la chiave, la gabbia sospesa era troppo alta per permettergli di farlo arrivare al lucchetto. Soprattutto, ricordata con una nitidezza che ancora lo sgomentava, che la chiave che avrebbe potuto aprire il lucchetto e liberare Ali, era la stessa che proprio la ragazza gli aveva regalato, la piccola chiave dorata con l’incisione, che ormai portava sempre appesa al collo. Ma nel sogno il collo era vuoto e la chiave che disperatamente cercava era stretta nel pugno di Ali, che non accennava né a dargliela né a liberarsi, né a smettere di gridare e chiedere aiuto. Il sogno si era concluso con un grido disperato di Ali, che aveva il suono del campanello della porta di casa di Giammo, che la madre aveva iniziato a premere senza sosta non vedendo nessuno accorrere ad aprirla.
Giammo era rimasto profondamente scosso dal sogno, non solo perche l’aveva stranito trasmettendogli uno sentimento di inquietudine, ma anche perché l’aveva trovato piuttosto significativo, quasi emblematico.
La preparazione per il concerto con il gruppo e lo studio universitario gli avevano concesso poco tempo per ripensare a quel giorno sul pontile con Ali, al regalo di lei, alla sua scelta, ai loro problemi.
Dalla festa in cui si erano conosciuti, Giammo era rimasto colpito da Ali, da quella ragazza che aveva diviso lui e Pietro durante una rissa con una dimestichezza e una naturalezza tali da lasciar pensare che avesse quotidianamente a che fare con affari simili. D’altronde Ali sembrava aver familiarità con qualsiasi cosa facesse, e questa sensazione era tanto più forte per quelle cose che, invece, non aveva mai fatto. Lui che invece cadeva nel panico ogni qual volta accadeva qualcosa che non aveva preventivamente progettato o quanto meno ipotizzato, amava la padronanza della ragazza, che diventava una caratterista ancor più singolare e attraente quando si intrecciava con la goffaggine un po’ buffa che la contraddistingueva.
Giammo amava di lei tutto quello che lui, invece, non possedeva.
Amava soprattutto tutti i mondi che Ali sapeva costruirsi, accuratamente, e in cui riponeva i suoi pensieri, i suoi sogni, le sue certezze, su cui costruiva le sue curiosità, le sue passioni, le sue ambizioni. Mondi che la portavano a camminare sempre ad un passo da terra, ma mai lontana dagli altri. Ma forse Ali amava quei mondi più di quanto li amasse Giammo, e li custodiva gelosamente, li apriva agli altri con parsimonia. E Giammo lo sapeva. Sapeva che ogni volta che riusciva a creare un contatto con i mondi intorno ad Ali era perche lui aveva saputo conquistarselo, e lei aveva voluto concederglielo. Ma tante altre volte lui aveva trovato la porta chiusa, ed Ali chiusa dietro la porta. E gli era pesato. Aveva reagito con rabbia, altre volte con dolcezza, altre volte con comprensione, altre volte ancora, invece, non aveva reagito.
Quella piccola chiave nel pacchetto blu regalatagli da Ali con la scritta “Ho scelto te” significava tanto. Significava un passepartout per muoversi dentro i suoi mondi, dentro di lei. Significava “ho scelto di donarlo a te”. Significava “ho scelto te a cui mostrare tutti i miei mondi, tutta me”. Significava “ Ho scelto di donarli a te, di donarmi a te.” Lo sapevano entrambi, ma quel sogno, mosso forse dalle paure più inconsce, aveva sollevato in Giammo il dubbio, doloso, che Ali quella chiave, insieme ai suoi mondi, potesse riprendersela.
Ore:20,15. Se l’era cavata con solo un quarto d’ora di ritardo, poco male.
-Sei arrivato finalmente!!- disse Ali portandosi alla bocca la sigaretta che aveva finalmente trovato, dopo aver frugato, con impazienza, nella borsa.
– Polli ti stai accendendo la sigaretta al contrario!- urlò Giammo strappandole la sigaretta da bocca e porgendogliela nuovamente nel verso giusto, con il filtro arancione verso le labbra.
-Lo faccio sempre, incredibile!-
Lui le sorrise, divertito e dolce, e non gli venne nessuna voglia di raccontarle del sogno. Accese la moto e si diresse, più sereno, verso il cinema.

 

…to be continued!

Informazioni su Fiorella Todisco 56 articoli
Classe '92, laureata in giurisprudenza alla Federico II di Napoli. Ama il diritto, la letteratura, la scrittura, la musica e prova a fare di tutto un po'.