Russian Circles – Guidance 2016 – Sargent House
1. “Asa”
2. “Vorel”
3. “Mota”
4. “Afrika”
5. “Overboard”
6. “Calla”
7. “Lisboa”
La band di Chicago, una delle realtà più interessanti in ambito Post Metal strumentale, ci propone questo nuovo lavoro, il sesto in studio. L’album, intitolato “Guidance” ha una tracklist composta da sette episodi ed è in uscita per Sargent House.
I Russian Circles sono: Mike Sullivan alle chitarre, Dave Turncrantz alla batteria e Brian Cook al basso.
La musica del gruppo è profonda, poderosa e variegata, si passa da landscapes sonore delicate e sognanti fino a violente progressioni emotive tra muri di chitarre, enormi crescendo e strutture in continua evoluzione. Tra Post Metal, Post Rock, Heavy Psych, Cosmic Rock i tre ragazzi dell’Illinois si rifanno musicalmente a band come Tool, Mogwai, Mastodon, Godspeed You!Black Emperor, Slint e moltissime altre.
Guidance è un lavoro complesso ma che si fa apprezzare da subito per i suoi intenti chiari e diretti. Gli episodi iniziali sulla prima metà del disco si fondono uno dentro l’altro dando vita a una sorta di unico brano. L’album si apre con “Asa” e il suo intro incantato; layers incorporei e arpeggi soffusi di chitarre elettriche creano un’atmosfera serena ma solenne che, come in un risveglio, ci fanno scivolare nell’intricato drumming di “Vorel” che sgorga da una fessura nella roccia, come un ruscello che diventa fiume e poi cascata. Psichedelico e metallico, il brano cresce tra muri di armoniche e melodie intense che distorte bruciano rapidamente. Dalle ceneri rinasce “Mota” con il suo incedere vigoroso, chitarre splendenti, quasi accecanti, basso e batteria che spingono davvero forte. Il brano risulta essere lancinante ed emozionale, dalla suo eco finale emerge “Afrika” con i suoi incastri melodici di grande pathos. La sezione ritmica mastica metriche che risputa fuori in una escalation ultraterrena tra licks matematici, enormi distorsioni e breaks monolitici.
La soluzione di continuità iniziale dei brani qui si interrompe e comincia una seconda ipotetica parte del disco, gli ultimi tre pezzi. “Overboard” “droneggia” lussuriosa con la sua apertura evanescente ed intima, tra arpeggi meditativi e mistici e le sue riflessioni riverberate in reverse. Arriva poi la ruvida “Calla” con i suoi sei minuti ipnotici e dal ritmo cadenzato e colossale che esplode in un magma elettrico e primordiale. La degna conclusione del disco è affidata a “Lisboa”: lenta, strascicata e potentissima. Si tratta dell’ ennesimo crescendo di emozioni, egregiamente architettato dai “nostri” in un finale cosi devastante che anche le imperturbabili colonne marmoree dello spazio-tempo sembrano scricchiolare.
Il risultato è da pelle d’oca così come tutto questo lavoro che è incredibilmente a fuoco, complesso ma diretto, suona alla grande e, non ho dubbi: farà felicissimi i fan del genere ma non solo.