Peppe Voltarelli è uno dei cantautori italiani più stimati ed apprezzati dalla critica e dalla gente. Una carriera ultra ventennale che lo ha visto girare il mondo declinando la sua arte in modi sempre nuovi eppure coerenti, con uno sguardo al futuro ma sempre ben contestualizzati nella nostra cultura.
Instancabile musicista, si spende in tour infiniti con un richiamo di pubblico senza eguali e sforna progetti coraggiosi e sempre ineccepibili. Come il suo ultimo disco Voltarelli Canta Profazio: una rilettura del canzoniere del grande menestrello del Sud Italia, fatta con orgoglio e rispetto, che gli è valsa la Targa Tenco come miglior interprete.
Dopo aver portato il suo spettacolo in lungo ed in largo per l’Italia, Peppe si è imbarcato per l’ennesima volta in un viaggio oltreoceano, per un tour nel nuovo continente. Lo abbiamo raggiunto virtualmente per fargli i complimenti e per capire cosa lo rende così unico nel panorama musicale italiano.
Più O Meno Pop – Prima di tutto, Peppe, complimenti per la targa Tenco!
Voltarelli – Grazie! Sono felice della Targa e sono molto legato al Club Tenco
P – Certo, tu non sei nuovo al palco dell’Ariston. Tra premi e nomination in cinquina ti sei fatto valere un bel po’ nel corso della tua carriera. Ti starai mica abituando?
V – Quando è nato il progetto dedicato a Profazio era mia intenzione riproporre queste canzoni sotto una nuova veste che potesse idealmente abbracciare la canzone d’autore per far vivere insieme le radici e il cantautorato.
P – Quest’estate sono riuscito a vederti dal vivo al Cleto Festival, e l’impressione che ho avuto è la stessa di sempre: qualunque cosa tu faccia riesci a centrare il colpo. Dal mio punto di vista hai vissuto almeno tre fasi della tua carriera artistica e ad ogni cambio di pelle hai messo da parte un repertorio forte, consolidato, riuscendo a vincere la sfida contro la nostalgia dei fan, quella sfida che il 90% dei tuoi colleghi perde clamorosamente. Tu invece sforni nuovi cavalli di battaglia ad ogni tua incarnazione, qual’è il tuo segreto?
V – Intanto grazie per questa tua osservazione. Ogni volta che inizio una nuova fase creativa parto dal mio entusiasmo di bambino, dalla gioia di divertirmi e giocare; per questo a volte passano anni prima di fare un lavoro nuovo, perché non è facile divertirsi ed emozionarsi. Continuare a fare lavoro creativo significa continuare a sognare che le proprie opere attraversano il tempo e lo spazio esponendosi all’usura e al giudizio dell’ascoltatore, amico, fan, critico. A me questo gioco piace. Hai presente quando una battuta funziona e la fai ad ogni tavolo, ad ogni cena? Potrebbe succedere che un momento ti stanchi di lei.
Se non ti stanchi mai diventa un lavoro vero, allora cominciano i cattivi pensieri.
P – Hai sèguito in tutto il mondo, anche in posti dove i dialetti calabresi non sono così comuni. Eppure non sei mai sceso a patti con la scelta di un idioma più fruibile. Quanto ha contato nel tuo percorso questa ostinazione e quanto, invece, pensi ti abbia limitato?
V – Non ho mai pensato al mio dialetto come un limite. Il pensiero locale non è un limite se è sentito e necessario. Il limite è lo sguardo; bisogna sempre cambiare le traiettorie altrimenti si finisce nelle turbolenze. Il mio dialetto, ad esempio, è sconvolgente perché non segue le mode.
P – I calabresi hanno tutti uno spiccato istinto individualista oltre alla testa più dura della terra. Andando dritto per la tua strada sei riuscito a raggiungere un livello di autorevolezza e di stima, all’interno del panorama cantautorale italiano, che probabilmente oggi non ha eguali. Cosa serve, secondo te, ai tanti artisti che ti hanno preso a modello negli anni, per uscire dalla nicchia dei circuiti regionali?
V – Nell’arte bisogna essere sinceri, sentire il bisogno di scrivere e cantare. Non basta solo l’ambizione, quella serve ma non è tutto. C’è molto da fare, ad esempio si potrebbe andare a suonare a Magdeburgo oppure a Telč oppure a Usti nad Labem in Repubblica Ceca, dove persino Celentano è uno sconosciuto. Allora senti il brivido di essere solo un punto nell’universo e chiedi aiuto alla tua musica. Se lei ti risponde bene, altrimenti devi tornare nella tua parrocchia e trovare altre strade. In quei momenti devi riscrivere i confini della tua carta geografica artistica.
P – Prima dell’avvento dell’ondata di Tarantella Punk (che praticamente hai inventato tu, con il Parto) le canzoni del folklore calabrese erano viste, dai più, come roba da osteria e serate nei palmenti a bere vino. Non solo non esisteva una vera e propria conoscenza del canzoniere, per quanto i dialetti calabresi, storicamente, non hanno mai avuto l’orgoglio del siciliano, del campano (per citarne alcuni tra i più inflazionati). Eppure siamo uno dei popoli più presenti ed integralisti, in giro per il mondo, in quanto legame con tradizioni e radici. Qual’è oggi, secondo te, il confine di questo fenomeno?
V – Mi piace l’idea di un tarantella punk che si suona in giro per il mondo. Mi piacerebbe che fosse più completo, pieno di poesia, più letteratura e più ricerca. Solo cosi si conferisce storia ad un fenomeno che altrimenti rischia di sedersi su se stesso e diventare routine.
P – Non è la prima volta che rendi omaggio ad altri artisti, da Claudio Lolli a Leo Ferrè ed ora Otello Profazio. Cosa accomuna queste esperienze e quanto, invece, c’è di diverso in termini di attitudine ed approccio?
V – Amare un artista è appassionarsi al suo lavoro, curiosità per la sua opera, scavare nel repertorio, nella sua storia. Ognuno di loro è un mondo in cui entri con la tua attitudine e lo mescoli con il tuo. La musica di Claudio è poesia, è impegno, è amore. La musica di Ferrè mi fa sentire internazionale, mi da coraggio, mi spinge. La musica di Otello è come la mamma: ti da la buonanotte sempre con il sorriso. La musica di Jannacci è ironia e magia, la musica di Tenco è infinita come il nostro viaggio. Cantare canzoni di altri autori è spogliarsi e rivestirsi sempre diversamente. Ma dentro è il tuo stile, la tua faccia.
P – Nel reinterpretare le canzoni di Profazio si percepisce uno sforzo nel cercare quanto più possibile di preservare la pronuncia del dialetto originale. Più che rispetto sembra quasi una forma di reverenza nei confronti dei brani originali.
V -Bisogna sempre rispettare l’artista! Questo lavoro era sin dall’inizio rispetto e cura e amore per l’opera originale. Così mi sta bene oggi.
P – A te che hai analizzato a fondo la sua opera posso chiederlo: quanto è cambiato il sud cantato da Otello Profazio, anche in termini di immaginario, rispetto a quello che racconteresti tu oggi?
V – Il Sud cambia sempre e non si muove di un millimetro. Otello è molto moderno e non guarda mai al passato; lui è molto più attuale di tanti autori giovani anagraficamente. Il suo Sud è quello di sempre: fermo e immobile sulla ruota panoramica
P – Ci vuole tanto coraggio per proporre oggi un disco come Voltarelli Canta Profazio. In molti lo riterrebbero una follia, salvo poi ricredersi quando arrivano riconoscimenti di pubblico e critica. E’ ancora attuale, utile, secondo te, in un mondo iperconnesso come il nostro, dove tutto segue pattern prevedibili, dove tutto sembra dover essere per forza racchiuso in categorie, soprattutto il music business, rompere gli schemi?
V – Non so cosa dire…per me tutto questo è spontaneo, necessario, vero. Il resto è inseguimento.
P – Una domanda scomoda devo fartela, perché me lo chiedo da anni. C’è una canzone de Il Parto Delle Nuvole Pesanti che ogni calabrese (ma non solo) non può fare a meno di cantare o anche solo citare tutte le volte che attraversa il confine campano in autostrada. Quella pompa di benzina è la tappa obbligata di ogni viaggio in macchina. Sarà che intitolare il primo album “Lotta Al Salario” dovrà pur presupporre un certo retroterra, sarà che Gli Anarchici di Leo Ferrè ti riesce particolarmente bene, sarà che recitare in Sahara Consilina “quel comunismo ormai lontano da me” lascia pensare ad una evoluzione di pensiero; ma mi piacerebbe conoscere il tuo parere riguardo a quanto pensi sia anacronistico, oggi, avere degli ideali politici e sociali controcorrente rispetto a gli imperanti modelli economici che hanno ormai contagiato tutti, anche quello che un tempo veniva definito proletariato. Qual è la tua opinione riguardo a certe concezioni utopiche dai più ritenute oggi ottocentesche?
V – Sono militante credulone. Mi fido, prego, urlo e corro. Mi piace ascoltare gli altri e dare fiducia, mi emoziono per chi crede ancora nelle lotte e provo a sostenerle. Sono cresciuto in una casa di socialisti e forse lo sono anch’io. Mi piace mettere la mia arte a servizio di persone che sognano e che costruiscono, anche in una piazzola di Sahara Consilina.
Le prossime date di Peppe Voltarelli:
09/01 Buenos Aires (Arg) CCK con La bomba de Tiempo
12/01 Buenos Aires (Arg) Cafe Vinilo
19/01 Buenos Aires (Arg) Cafe Vinilo