Traum: secondo album de “Il Vuoto Elettrico”

vuoto elettrico

 

Da pochi giorni è uscito per Dreamingorilla Records / I Dischi del Minollo / La stalla domestica (distribuzione Audioglobe)  il secondo disco de “Il Vuoto Elettrico, “Traum”. Il nome del gruppo prende ispirazione dal titolo del secondo album di uno delle migliori band noise-rock italiane: i SIX MINUTE WAR MADNESS nella quale suona tra gli altri l’eclettico chitarrista di Afterhours, Todo Modo e mille altri progetti, Xabier Iriondo, che è anche produttore di “Traum“. In realtà, il gruppo, già nel primo lavoro, “Virale”, si era avvicinato a questo mondo musicale e si era fatto produrre il disco da Fabio Magistrali, uno tra i più stimati produttori della musica indipendente italiana e amico dello stesso Iriondo.

Il risultato di queste collaborazioni, del buon lavoro in studio e dell’esperienza maturata negli anni dalla band, è un disco dal giusto tiro, carattere, verbosità, grinta che di certo non conosce compromessi.

I testi sono molto forti e intensi, i pezzi camminano lungo un filo diretto che collega trauma e sogno, “traum” in tedesco, in cui ciascuna canzone è rappresentata da una stanza e da un periodo della vita stessa. Si tratta del secondo capitolo di una trilogia di concept album della band: se in “Virale” il tema trattato era la paura, oggi è il tempo, inteso come il trascorrere inesorabile della vita, una vita ricca di ostacoli e difficoltà che va avanti in maniera spietata e veloce, una vita dalla quale non si può scappare. La trappola, che è l’esistenza stessa, è ben rappresentata dalla copertina, in cui una casa galleggia a stento in un mare ostile sotto un cielo plumbeo, quasi la raffigurazione di un’apocalissi che sta per incombere su ciascuno di noi.

Resta a noi saperla affrontare e guardarla dritta in faccia.

E apocalittiche, dirompenti, urticanti sono tutte le 9 tracce che compongono “Traum”.

 

L’impronta data dalla produzione di Iriondo è fondamentale, evidente nel suono delle chitarre ma anche nel veder crescere, rispetto al passato, la necessità impellente di esprimersi, urlare, irrompere in maniera diretta e spigolosa. Il disco, seppure nella sua urgenza punk, è tuttavia molto suonato e ben costruito. La teatralità della voce, che ricorda quella del cantante del Teatro degli Orrori, è capace di far immergere l’ascoltatore, sin dai primi brani (“In Door” , “Corridoio 41”) direttamente nelle atmosfere nere e cupe dei brani grazie anche ad una nuova scrittura diretta ed evocativa. Le chitarre, il noise e il tappeto sonoro, fanno il resto. Nascita e morte sono strettamente vicine e collegate come le stanze di una casa, soffocanti e claustrofobiche come viene descritto nel video di “Lame in soffitta“. Il disco possiede anche momenti più pop e nuovi suoni synth (“Un bagno di vita“), che si amalgamano comunque bene al resto dell’album, che, in definitiva, riesce a portarci dritti davanti ad un precipizio dal quale sarà difficile non cadere per poi rialzarsi e ricominciare a lottare con tutta la disperazione e la forza che abbiamo.

“Ogni volta che giri la chiave è come la tua prima volta / eppure sai che cosa ti aspetta”; “chiudi la porta, mi raccomando / e tieni in serbo il tuo sorriso migliore / per quando si sveglierà di nuovo”.

 

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