Una birra a Via Aniello Falcone

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Ero seduta sul solito muretto di via Aniello Falcone, da sola, perché come sempre in anticipo, ma in compagnia della mia solita Beck’s.
Sguardo rivolto verso il mare e la visuale coperta dal un lato da una vecchia quercia che incorniciava il collo del Vesuvio e dall’altro dai cerchi di fumo che facevo con la bocca, dopo aver tirato intensamente la mia marlboro prime.
Di fianco a me un insignificante umano consuma ossigeno si vantava con strani ominidi come lui della sua ultima conquista rimorchiata in discoteca.
Mi si accapponava la pelle a pensare alla vuotezza delle vite del Vomero e dintorni: caffè al Dolce Vita delle diciotto, termine più improrogabile del giro di memorie nel processo civile, il venerdì sera ai “Baretti”, il sabato all’Arenile.
Tutto scandito, preordinato, contingente e necessario.
La tristezza mi pervadeva, e non poco, perché in questo giro, storto o morto, ne facevo parte e mi sentivo annoiata.
Ma nel mentre che si srotolavano nella mia testa questi pensieri, proprio quando stavo dando l’ultimo sorso alla birra, una solitudine come la mia mi si sedette accanto, con gli occhi brillanti e la sagoma massiccia.
Ci guardammo per qualche secondo, dimenticai perché ero lì, perché ero seduta su quel muretto, a chi stessi aspettando.
Non ho mai creduto ai colpi di fulmine, cazzate.
Sono cazzate per i deboli dall’innamoramento facile, che vogliono attribuire tutto al destino, così da sentirsi giustificati.
Però, più mi parlava, più avvertivo difficile arrestare la conversazione, più mi guardava, più non riuscivo a distogliere il mio sguardo dal suo, impenetrabile ma dolce.
Che strana la vita, pensavo.
Quello che avrei sempre voluto, mi si palesava in un momento assolutamente sbagliato, fuori luogo, insensato.
E tornavo sempre al mio solito discorso, quello sulle rotte disegnate dal fato, dalla dea bendata, la Fortuna, che nell’ultimo periodo mi stava davvero prendendo per il culo.
Come si può fare? Ero sempre, incessantemente alla ricerca di qualcosa di più, che non trovavo mai, ma che immaginavo che qualcuno avesse, facendogli indossare “un vestito” emotivo totalmente realizzato da me, ma che in effetti stava un po’ a tutti male.
Con lui ebbi una sorta di vocazione. “È lui“, pensai in quel momento estemporaneo, eppure non era il momento, non ancora.
oh siamo arrivate, parli anche da sola adesso? – mi dissero, costringendomi a girarmi.
Chissà. {…}

Informazioni su Fiorella Todisco 56 articoli
Classe '92, laureata in giurisprudenza alla Federico II di Napoli. Ama il diritto, la letteratura, la scrittura, la musica e prova a fare di tutto un po'.