La Terza Guerra Sociale: Intervista a UFO (Zen Circus)

In vista dell’inizio della seconda parte del tour de La Terza Guerra Mondialedopo una prima parte a dir poco trionfale, sono stato incaricato di andare a sondare il morale del Circo Zen prima di una serie di concerti che li porteranno in Calabria, Sicilia e Sardegna. L’occasione è stata quella del Color Fest Winter Session promossa dall’associazione culturale Cosa sono le Nuvole, che ha organizzato tre fantastici concerti, quelli di Motta, Cosmo e Zen Circus capaci di scaldare alla grande l’atmosfera durante le feste natalizie calabresi.

Ecco cosa è venuto fuori da un’oretta di chiacchiere con UFO, il bassista degli Zen Circus.

 

Paolo-“Ciao Ufo, prima di tutto come va? Pronti per ripartire?”

Ufo – ” Alla grande! Siamo pronti per l’ultima tranche di questo giro, per ora siamo molto contenti di come stanno andando le cose.”

 

P – “Come ti è venuto l’olio quest’anno?” 

U – ” /ahahah/ (ridendo) Guarda, ce la siamo cavata perché devi considerare che nelle valli qui accanto tanti non hanno nemmeno raccolto, quindi alla fine possiamo ritenerci soddisfatti. C’era una forte presenza di mosca però siamo riusciti tutto sommato a salvare il raccolto quindi è stato degno, cioè buono dai.”

 

P – “Parlando del disco, uno dei temi ricorrenti di questo album è la violenza: una violenza che, come dite voi, sfocia più nelle tastiere che nella vita reale. Non pensi che questa valvola di sfogo sia diventata una soluzione che soddisfa un bisogno della società?”

U – ” Si si, è da capire qual è il motore di tutta questa frustrazione. Ci siamo resi conto, anche nel periodo in cui siamo stati fermi, che questa cosa andava sempre più verso un’escalation ma non se ne capiva bene la motivazione: cos’è che spinge la gente ad esser così astiosa? Da dov’è che viene fuori tutta questa rabbia? Questa è la domanda che pone il disco.
Sarà una mancanza di un vissuto collettivo o c’è veramente una sensazione d’impotenza, di fine della storia, che la gente percepisce e la fa sentire in questa maniera; oppure forse stiamo vivendo un clima un pò da anni trenta… Bisogna rifletterci un po’ sopra, per capire veramente questo clima, non solo in Italia od in Europa ma in tutto il mondo, questa voglia di regolare i conti alla spiccia, di trovare il capro espiatorio al volo da linciare.
E’ uno dei tanti punti interrogativi che l’album pone, senza proporre soluzioni che non è nel nostro stile, ma è una domanda centrale del disco.
Ma questa è una cosa che ritorna dai lavori precedenti, perché è una tematica che ritrovi anche in una canzone come Viva con un punto di vista contrario, perché si parlava di facili entusiasmi.
Questo non nasce solo da una solitudine di base grossa, perché questa connessione che c’è con tutti ha portato anche ad una componente di esaltazione dell’IO.”

 

P – “Forse sono venuti a mancare dei momenti di comunità dove esprimere liberamente le proprie idee, assieme ad una diffusa autocensura. Tutto questo ha creato un isolamento della persone, che finiscono per sfogarsi dietro ad uno schermo. È anche questa una chiave di lettura?”

U – ” Certamente, c’è una forte autocensura in pubblico ma, non solo, c’è anche sulle piattaforme. Alcuni studi dicono che quando un topic prende una determinata direzione si crea una forte autocensura di chi ha opinioni molto difformi.
Si vede come ci sia un senso di costrizione che agisce su più livelli, ed è veramente un risultato paradossale da questo punto di vista. C’è sempre la paura di trovare chi ti scanna e tutto questo porta a sfogarsi altrove, ma anche nello sfogo risulta sempre tutto distorto alla fine.”

 

P – ” Non pensi che tutti questi luoghi d’aggregazione virtuale stiano trasformando l’Italia e non solo in una grande provincia, con tutti i pregi e difetti del caso?” 

U – ” Ma sai che non dici mica male? È vero, e paradossalmente queste piattaforme dovrebbero servire a sprovincializzare il mondo ma alla fine lo provincializzano.
È strano perché ci sono molti fattori e molte opportunità che dovrebbero renderci meno provinciali, ma così non è e chi propugna ancora questa cosa è un pò fuori tempo massimo. Anche per questo sono molto scettico nei confronti di certi movimenti politici che si propongono come novità, ma in realtà esprimono concetti già sorpassati.
L’idea che la rete possa sprovincializzare o possa addirittura elevare l’intelligenza media delle persone dicendo che più la rete cresce e più cresciamo anche noi non funziona.
In realtà è molto più probabile che stia accadendo quello che tu hai segnalato, ossia l’opposto, che la rete si stia trasformando in una grandissima provincia.
Come se ognuno portasse in piazza le proprie piccinerie, la piazza diventa sì sempre più ampia, ma rimane pur sempre la piazza di un paese e non un vero luogo di aggregazione virtuale, come speravano gli stessi ideatori e sviluppatori.
La cosa è un pò scappata di mano e forse si assesterà però è vero, è diventata una grandissima provincia che copre tutto il mondo, non solo l’Italia.
Poi gli Italiani non sono in generale molto abili nell’uso di questi strumenti: molti non consultano i siti stranieri ed hanno difficoltà a confrontare varie pagine per verificare ciò che gli viene detto.
Se tu, ad esempio, vai a farti un giro in dei siti dei sostenitori di Trump negli Stati Uniti, ci ritrovi le stesse foto, usate per le varie meme o post sui social, che trovi qua. Ci trovi il militare che dorme in auto accanto ad i profughi che vengono ospitati, il tutto accompagnato da frasi del tipo “se sei indignato condividi”  e cose così. Sono le stesse cose che pari pari ti trovi in Italia ed in Europa.
Questo raffronto di base potrebbe già essere illuminante per alcune persone, ma questo non viene fatto perché, nonostante le opportunità di connessione con varie parti del mondo, alla fine si cercano persone simili a se stessi, quindi si finisce a dare ragione al proprio ambiente rimanendo in un dibattito che non porta a nessun cambiamento. Questo fenomeno è andato troppo più veloce rispetto agli strumenti di indagine che hanno i linguisti ed i semiologi, ed è per questo che fatichiamo anche a comprenderlo.”

 

P – “Ma in questo disco si parla non solo della violenza virtuale, ma più in generale dell’uso della tecnologia.
Non pensi che, mentre da un lato la tecnologia ci renda più partecipi e consci di quello che accade nel mondo, da un altro ci distacca dalla realtà?
Dico questo dal momento che molte persone devono convivere con un’immagine di sé che hanno costruito e che mettono di fronte agli altri ogni giorno in questa piazza pubblica, benché virtuale”

U – “Difatti è anche questo il discorso della guerra mondiale. Da un lato c’è la guerra vera, che arriva praticamente fino a sotto a casa nostra, con tutte le conseguenze che possiamo vedere tutti i giorni.
Poi c’è la guerra più sottile che è quella che si ha con se stessi. Ci si trova a convivere con l’immagine di noi stessi che diamo agli altri, che diventa un altro noi con il quale poi guerreggiamo.
C’è chi si pone come vincente e sempre in gamba, mentre c’è chi invece si propone come strano, bipolare, che usa il classico “mai una gioia”, con un mucchio di problemi che lo rendono originale,  che fa molto figo anche quello.
Entrambe sono delle costruzioni false chiaramente, perché nessuno è mai interamente o così o cosà, però portano ad una guerra con se stessi.
Questa è una tematica in continuità con i lavori precedenti, se pensiamo alle tematiche di Viva Ragazzo EroeRagazza Eroina, che riprendono sempre il tema della difficoltà di essere veramente se stessi e riuscire a raccontare agli altri quello che si è. Anche Ilenia parla della difficoltà di raccontarsi, un tema che è assolutamente presente in questo disco.”

 

P – ” Volevo appunto collegarmi con il testo di Ilenia, che mostra anche una certa disaffezione dalla realtà. Questa disaffezione, secondo te, ha portato i problemi considerati tipici dell’adolescenza a protrarsi fino ai 25, 30 anni?”

U-“Che ci sia un discorso di adolescenza protratta è fuori discussione, questo c’è già da molti anni, dagli anni ottanta in poi. Il giovane come categoria sociale ormai copre fino all’età mia si può dire, c’è una dilatazione del concetto.
Quello che abbiamo voluto sviluppare noi nel brano è capire il punto di vista di chi è più ragazzo di noi oggi, perché noi ormai siamo uomini. Per noi era quindi interessante inserire un altro narratore, ed abbiamo trovato questa ragazza che ci ha scritto una lettera dove condivideva i suoi pensieri.
Certo c’è questo senso d’insicurezza che si protrae a lungo, come si protrae a lungo tutto, a partire dagli studi, nella gioventù di oggi.
Rimangono quindi molti conflitti irrisolti, con se stessi e verso gli altri, che fanno forse parte anche della frustrazione di cui si parlava all’inizio, quindi rigirano il discorso un pò su se stesso volendo.”

 

P – “Questa insicurezza, la disaffezione ed anche la rabbia che abbiamo citato è figlia di una mancata emancipazione? Siamo in qualche modo incapaci di liberarci dalle costrizioni che arrivano da un uso sbagliato della tecnologia nella quotidianità?”

U – “È vero, sono delle situazioni paradossali. L’emancipazione del giovane si manifesta per vie paradossali oggi come oggi. Come dici tu, i ragazzi riescono ad emanciparsi molto presto dai vincoli dei genitori ma poi molti si creano le costrizioni, con le quali combattono, di cui abbiamo parlato prima.
Io non vorrei trovarmi ad essere un ragazzo ora come ora, perché ci sono molti problemi strani. Uno è un diffuso cinismo, una diffusa noia di vivere che è fuori tempo rispetto alle opportunità offerte dalla realtà che vivono, è molto strano. Poi ci sono un mucchio di nuove convenzioni che sono sorte date da alcuni ambienti creano una sorta di prigionia, penso all’uso delle varie chat o di WhatsApp.
È una nuova strana prigionia che i ragazzi si creano da soli e, per certi aspetti, li porta a vivere una vita da inferno, sopratutto sui social. C’è uno strano conformismo che va di pari passo all’affermazione della propria unicità dell’immagine virtuale che ci si crea da soli.
Ci sono ragazzi di tredici, quindici anni che manifestano un cinismo innaturale rispetto alla loro età. È una situazione complessa perché parliamo di persone che non hanno ancora raggiunto la maturità emotiva, quindi questo può scatenare cose molto strane. Ad esempio penso alla violenza gratuita fra i giovani, penso alle malattie alimentari che prendono piede in maniera preoccupante.
Sono fenomeni molto strani che non potevamo minimamente immaginare.
Pensa che in alcune scuole americane è stato fatto girare un questionario vecchio di 60 anni a professori e presidi dove gli veniva chiesto quali erano le problematiche più importanti che riscontravano nel comportamento degli studenti. Mentre sessant’anni fa i problemi principali erano cose come “masticano la gomma in classe” oppure “non seguono le lezioni”, ora sono cose come stupri e conflitti a fuoco; sono cose fuori di testa, una situazione infernale.
Oggi è molto difficile essere ragazzo e starci dentro con la testa, da qui nasce quello che noi cerchiamo di fare da sempre: dare un pò una voce a chi non ci si ritrova nella realtà in cui vive; dal momento che a me un certo tipo di musica e di controcultura mi hanno permesso di trovare persone che la pensavano un pò come me e di sentirmi meno solo.
Questo è secondo noi il più ampio auspicio che potremmo avere per noi stessi come band.
Questo è un pò il nucleo di quello che vorremmo raccontare, o poter far raccontare: parlare di cose che riguardano la gente che non ci si ritrova nel modo di vivere odierno. Non vogliamo proporre insegnamenti ma insinuare il dubbio sulla correttezza di come le cose si svolgono nel mondo d’oggi, anche perché il cantautore classico ha fatto, secondo noi, la sua stagione negli anni settanta.
Che poi si può comunque venire al concerto per ballare e basta, ma il punto è quello riuscire a fornire una comunicazione fruibile e leggibile da tutti.”

 

P – “Abbiamo parlato di una sorta di noia e di un disinteresse generale fra i giovani. Con questo bacino d’utenza che avanza, qual è il futuro per le band che, come voi, usa la musica per indurre una riflessione nell’ascoltatore?” 

U – ” Beh, nemmeno noi veniamo da una generazione che è stata esuberante. Alla fine la generazione slacker, scazzata, c’è da sempre, non è una novità, non è questo il punto. Noi non possiamo porci assolutamente come degli esempi, perché siamo dei pessimi esempi di adolescenza vissuta. Piuttosto vogliamo trasmettere il messaggio che è importante essere più che umani nell’analisi del mondo e della società.
Inoltre vogliamo sempre continuare a sperare in un cambiamento, perché in un certo senso è la rivolta che crea l’essere umano, la rivolta contro delle condizioni contingenti crea la persona.
Però ci sono anche tanti altri segnali che non mi fanno sperare male, ad esempio mi è capitato di assistere ad una discussione fra ragazzi delle superiori su quale fosse il miglior disco di Neil Young ed è poi venuto fuori che questi collezionavano vinili; cose che non ti aspetteresti mai basandoti su un giudizio superficiale.
In realtà i giovani nel privato fanno un sacco di cose interessanti, penso ad esempio ai tanti ragazzi che ci mandano video mentre suonano. In realtà una voglia di mettersi in gioco c’è, non è più corale come prima ma la rivolta è ormai, come diciamo in Non Voglio Ballare, un fatto personale. Pensa anche a tutte quelle persone che scelgono di non mangiare qualcosa o non comprare certi marchi per ragioni etiche: è principalmente una scelta personale, non influenzata da logiche di gruppo.
Probabilmente l’idea anni 70 di una palingenesi che possa risolvere le cose per tutti è tramontata, nessuno ci crede più e purtroppo credo che ci vorrà del tempo prima che un’idea così torni di nuovo.
Però non credo che i giovani d’oggi siano insensibili a questa sirena della libertà, più che altro navigano più sotto traccia rispetto al passato.”

 

P – “Qui cade a fagiolo una tua frase:

“a me garbano gli utopisti e le utopie, perché anche se so che non le vedrò mai nella vita, mi permettono di immaginare qualcosa di bello.”

Pensi che in qualche modo le persone abbiano bisogno di credere in qualcosa?”

U- “Esatto, questa è la centralità dei temi che trattiamo, quando creiamo quella festa, che è il concerto, che dura due ore noi non vorremmo finisse mai. È un po’ l’idea di festa permanente che alcune frange più ludiche profetizzavano nel ’68. Una festa permanente che avrebbe portato alla rivoluzione: questa è chiaramente un’utopia totale. L’abolizione del lavoro per instaurare è utopia al pari di Gesù Cristo in terra. È chiaro che le utopie sono impossibili, però l’idea di concepirle dentro di sé può avere un grandissimo impatto nella vita delle persone. La fantasia e la voglia di raggiungere l’irrealizzabile possono dare veramente una svolta all’esistenza, che può rimanere magari tapina ed oscura; però un idealismo di questo tipo può dare molto. Noi di questo ne abbiamo beneficiato perché, a suo tempo, siamo stati degli sventati a buttarci in questa cosa. Magari un giorno potrei anche pentirmene e rendermi conto che forse sarebbe stato il caso di essere più pragmatico, metti che mi prendevo in gestione un ristorante e finiva li, magari mi trovavo meglio, non lo puoi mai sapere. La fantasia deve esserci, è un obbligo morale per una persona avere delle fantasie.

 

P – “Mi viene in mente anche il pensiero di Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori, che in un’intervista disse  di essere una persona che seguiva delle utopie perché cercare di raggiungerle lo portava a dare il massimo possibile”

U – “Certo è proprio questo il discorso, anche il Teatro sa benissimo quali sono i limiti del loro messaggio e quanto esso possa incidere. Ti aspetti che il Teatro Degli Orrori possa capitanare una rivoluzione culturale in Italia? C’è un limite oggettivo dato dal fatto che il loro messaggio non può andare oltre un certo di numero di persone, ma loro ce la mettono comunque tutta. Ci stanno, dedicano la vita, ma mi sembra anche doveroso, perché Pierpaolo è una persona che segue le sue idee e le sue fantasie e fa bene a farlo perché è sempre giusto e legittimo perseguire le proprie fantasie. È la fantasia che è il motore delle cose, non dei cambiamenti politici macroscopici, ma di quelle cose che possono darti una ricompensa anche privatissima, ma comunque bella.”

 

P – “Su questo tema una canzone che mi ha molto colpito è Terrorista, dove ritrovo questa voglia di una vera emancipazione, di affermazione della propria identità, di libertà di essere se stessi. Mi sono immaginato il testo un pò come un dialogo, uno sprono interiore che una persona da a sé stessa. Condividi questa visione?”

U – ” Naturalmente il testo si apre a diverse interpretazioni, ma quello che dici non è sbagliato. È un paradosso dato da questo bimbo che ha le idee molto chiare e vuole essere un terrorista. Ma non quello di cui parliamo nella quotidianità, ma uno molto più pericoloso, dal momento che vuole fare degli attentati emotivi. Vuole essere una persona completamente sviluppata sia negli lati positivi che negativi o socialmente condannabili. Poi il punto di vista del narratore non cambia il significato principale della canzone.”

 

P – ” Parliamo un po’ della musica di questo disco: ho notato un cambiamento notevole nella sezione ritmica. Penso ad Ilenia, che è un pezzo che vedo benissimo in un qualsiasi dj set “indie”. Questo è un risultato figlio del suonare assieme oppure è una direzione che avete deciso più a tavolino? “

U – ” Lo è e non lo è; cioè se vai anche a ritroso i pezzi nostri sono sempre stati pop: nel senso di essere semplici e diretti. Non abbiamo mai fatto cose molto complesse, quindi il disco è il risultato di una continuità. Poi lo senti diverso perché è stato lavorato a posteriori in modo da avere suoni belli definiti, fruibili. Anche Canzoni Contro la Natura doveva essere così però è stato registrato in sala prove, mentre  La Terza Guerra Mondiale è stato fatto in studio, quindi è normale che risulti più pulito. In realtà i brani rimangono molto similari, coerenti con il nostro stile, è stato solo più lavorato a posteriori per ottenere un lavoro più power pop se vogliamo. Se vai vedere è più simile questo disco qui a Doctor Seduction, come impostazione, che  era marcatamente pop. Però non è che sia cambiata molto la band, è che adesso riusciamo a registrare e a farlo suonare più come diciamo noi. Come dicevo la cosa che più è cambiata è il lavoro a posteriori dove abbiamo cercato suoni ed arrangiamenti diversi per ogni brano, mentre prima tenevamo buoni gli stessi suoni per più pezzi del disco. Ogni brano ha la sua immagine ben definita, però è un disco sostanzialmente non molto dissimile a quelli precedenti, probabilmente è solo fatto meglio.

 

P – ” Siete ormai al secondo disco interamente autoprodotto e praticamente senza collaborazioni, ottenendo risultati ottimi. Quanto pensi sia importante la figura del produttore artistico oggi, per quelli artisti che ovviamente scrivono e compongono in autonomia?”

U – “Mmmm qui ci sono stati diversi momenti anche nel nostro percorso, dipende. Diciamo che mantiene l’importanza che ha sempre avuto. Prendi ad esempio Villa Inferno, senza Brian Ritchie, non sarebbe mai venuto un disco così, però anche lì è successo un pò un paradosso perché alla fine lui è diventato un musicista aggiunto e ci ha fatto fare tutto un pò come ci pareva a noi. In realtà noi sperimentiamo la nostra produzione da molto tempo. Parlando in generale se una band ha delle idee ben definite può anche fregarsene, ma anche se non le ha; è difficile darti una risposta anche se noi abbiamo sperimentato tutti i modi. Abbiamo sempre messo le mani nei nostri lavori anche quando collaboravamo  assieme ad altri. Prendi ad esempio Massimo Fusaroli, con cui abbiamo fatto Andate Tutti a Fanculo: doveva solo essere il nostro tecnico del suono ma alla fine anche lui ha dato il suo contributo. Bisogna vedere caso per caso: se una band ha delle incertezze nelle scrittura allora è bene che si rivolga ad un produttore, oppure che si rivolga ad un tecnico che sa dove mettere le mani e che possa impedire eventuali svarioni o vicoli ciechi che la band potrebbe prendere. Ma è molto più complesso di così, ci sono lavori scritti bene ma poi il fonico lavorando male lo manda in vacca oppure ci può essere chi ha idee ottime e non sa come spiegarle: è un’alchimia estremamente complessa. Non saprei cosa suggerire, va molto caso per caso. Pensa anche ai Fast Animals and Slow Kids, quando ci è stata offerta l’opportunità di produrli ci siamo resi conto che andavano solo registrati meglio, erano così dirompenti che non avrebbe avuto senso cambiare le canzoni.”

 

P – “In molte interviste dite che Andrea vi cita in molti modi, elabora quanto vi dite e sostiene che tu sia un inesauribile fonte di saggezza. Qual è il rapporto tuo e di Karim nei testi? Ci mettete mano oppure sono un totem intoccabile?”

U – “È più complesso di quello che sembra. In realtà Andrea ha una grandissima capacità di intercettare al meglio tante cose, non solo  quello che diciamo io e Karim. Poi io dico tante cose ma poi me le scordo perché sono un cialtrone , non me le segno. Andrea,invece, ha una capacità di interpretare un tipo di tematica senza richiedere nessun ritocco in linea di massima. Naturalmente ci mette del suo ed è bravissimo a farlo, ma tendenzialmente quando ci presenta un testo è già buono così, ci rappresenta tutti e tre. Noi non facciamo uscire niente, sia a livello di musiche che di testi, che non rappresenti ciascuno di noi, ed è difficile trovare una situazione nella quale lui ci presenta qualcosa che non ci rispecchia. Le poche volte che è capitato è stato con il materiale che poi è confluito nella sua produzione solista. Non ha mai insistito per infilarla nei lavori degli Zen e devo dire che riesce a distinguere molto bene fra il lavoro solita ed i lavori nostri come band. Chiaro che comunque c’è un minimo di lavoro di limatura che si fa assieme, sulla metrica o su alcune parole, ma quando ci porta un testo è come se al 90% lo avessimo già pensato noi, solo che ci mancava la maniera di esprimerlo.

 

P – “A proposito di totem intoccabili: come avete fatto a fare un disco senza Giorgio Canali?”

U – “Guarda, ce ne siamo accorti all’ultimo e ci siamo rimasti male. È andata così e speriamo che non ci porti merda. Noi diciamo che oggettivamente Giorgio ci vuole sempre, anche nel disco precedente dove c’era solo una telefonata. A questo giro ce lo siamo proprio scordati, speriamo non porti male.”

 

P – “Come vedi invece la situazione attuale per quelle band che non sono i super big del pop italiano, ma fanno parte della cosidetta  “scena alternativa”? Mi sembra che ci sia una maggiore voglia di qualcosa di diverso, rispetto ai soliti noti, che ne pensi? “

U – “Ne parlavo l’altro giorno con un ragazzo che ha fatto il promoter di una discoteca per vent’anni, mi chiederai cosa c’entra la discoteca ma in realtà offre uno spunto interessante. La discoteca è stato un grande aggregatore negli anni passati, ma non ha saputo innovarsi. Adesso c’è molto interesse verso i concerti, anche di band molto diverse: la persona che trovi a vedere noi puoi ritrovartelo la sera dopo a vedere gli Zu. La discoteca classica non si è saputa rinnovare ed è diventata il sinonimo di zarro, è diventata una cosa residuale, non è più il divertimento per antonomasia del sabato. Adesso invece i locali che propongono live, che hanno intercettato al meglio questa voglia, sono quasi tutti pieni in tutta Italia tutte le sere, indipendentemente da chi ci suona. Questo non vuol dire che il gusto degli italiani si è evoluto o cose di questo genere; vuol dire che i ragazzi stanno cercando un altro tipo di intrattenimento, un nuovo modo di stare insieme. Chi si lamenta dicendo che in Italia, quando si parla di musica, va tutto male è un pò in malafede perché, se penso a quando ho iniziato io, c’erano veramente pochi nomi. Quando noi abbiamo iniziato a muoverci per suonare in giro avevi solo i nomi big e poi saltavi direttamente alla cover band, mancava totalmente una proposta intermedia; ora invece c’è una scelta molto ampia. Anche  se tanti si lamentano della situazione attuale, se si fa un raffronto con un pò di anni fa il risultato non può che essere positivo. Chiaro che alcune band fanno ancora numeri giganti rispetto ad altre ma c’è un’offerta molto più ampia e diversificata: da un lato hai il comparto rap e hip-hop che fa dei numeri impossibili, fanno quello che vogliono; poi hai una lunga serie si artisti un po’ come noi. Tutto sommato le cose stanno andando bene non a pochi, ma a molti ed io non posso che esserne contento.

 

P – “Ho chiesto a dei miei amici, che vi hanno appena conosciuto, che domanda vi avrebbero fatto se fossero stati nei miei panni (dopo pochi ascolti del vostro ultimo disco). La più divertente è stata riguardo il successo de L’anima Non Conta sopratutto tra il pubblico femminile, che ha scaturito la domanda: vi sentite un gruppo da “fighette” ? “

U – Magari! (ride). Se facessimo roba così, sarebbe veramente un bel mondo, ma in realtà Justin Bieber dà la paga tutti. D’altro canto vorrebbe anche dire che c’è qualcosa che non funziona. In realtà  essendo la prima ballad classica che abbiamo scritto, chiaramente ha colpito anche gente che era fuori dal nostro giro, dalle nostre cose abituali. L’esperimento di fare la ballad classica, un pò soul, un pò strappalacrime, ci ha portato ad arrivare a persone a cui abitualmente non arriveremmo. Però poi se uno viene a vedere il live questa cosa della fighetta se la rimangia subito, ma ci piace che arrivino anche queste etichette. Un po’ di anni fa ci avevano inserito nella nuova leva di cantautori che aveva preso piede, assieme a Brunori o a Dente, però poi se uno viene ai concerti si rende conto che abbiamo poco da spartire con loro. Non è assolutamente un discorso di mancata stima, anzi sono artisti che ammiro, ma oggettivamente non è lo stesso genere. Può sembrare, se ti soffermi solo su alcuni pezzi, come Figlio di Puttana, ma nel complesso non è così, bisogna sempre fare la verifica di come una band suona dal vivo. Per questo noi siamo molto contenti dei nostri ultimi lavori, perché rispecchiano molto quello che poi si sente dal vivo. Ad esempio se prendi Andate Tutti a Fanculo, c’è una grossa discrepanza tra come sono registrati e come poi li senti dal vivo, anche perché c’è un limite oggettivo connaturato alla band. Un limite di cui noi siamo contentissimi, che però si vede stando sul palco. Alla fine siamo una band rock e questo porta a conquistare molte persone che vengono a vederci la prima volta, però questo genere ha una capacità di penetrazione limitata in Italia, quindi arriverà il punto in cui ci assesteremo su un livello. Anche Calcutta o i Thegiornalisti che propongono un rock leggero avranno un limite oltre il quale non potranno andare, non ci è riuscita nemmeno la Nannini a suo tempo. Probabilmente ora ci sta confluendo addosso la gente a cui piace la musica suonata in una certa maniera, ma anche questa non è illimitata. Ma a noi va bene così, non so se saremo in grado di fare i palazzetti, ma non è questo il punto. Io sono contento se ci sono gruppi tipo noi che li fanno, ma l’importante è che la gente alla sera esca e vada a vedersi qualcosa, che già questo mi sembra un grande risultato. Se noi riuscissimo ad avere 1000 concerti con 1000 persone ciascuno la stessa sera in Italia sarebbe un risultato immenso. Non è che i concerti nei locali pieni li vogliamo fare solo noi, vorremmo che tutti riuscissero a farli. Allora forse smetteremo di parlare di fighette o non fighette, ma parleremo finalmente di musica rock in Italia, e questo sarebbe veramente il paradiso.

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Nato sotto la stella dei Radiohead e di mani pulite in una provincia dove qualcuno sostiene di essere stato, in una vita passata, una motosega.

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