Il mosaico della Sindrome di Tôret arriva a Napoli: Willie Peyote si fa sentire forte e chiaro

A cura di Fiorella Todisco

Il classico sabato napoletano, solitamente, si compone di tappe cult che si ripetono: è, sostanzialmente, un diligente marciare tra il centro storico e i “baretti” a Chiaia, un eterno ritorno dell’uguale, come lo avrebbe definito Nietzsche, in cui, a volte, ci si sente così annoiati da desiderare il letto già pochi minuti dopo aver messo piede fuori di casa.
Eppure, in questo incessante migrare alla ricerca dello spritz migliore che ti svolti la serata, ci sono locali che fanno robe forti, invitando musicisti validi e cantautori che vale davvero la pena di ascoltare.
Uno di questi locali è l’Hart che, ultimamente, sta organizzando bei concerti, per citarne alcuni ExOtago, Frah Quintale, prossimamente anche Ghemon.
Ma, sabato 10 Marzo in particolare, ha ospitato Willie Peyote, il quale, come si dice a Napoli, ha letteralmente SPACCATO.
Noi c’eravamo, c’eravamo perché Willie è un grande e live, se si può, lo è ancora di più.

Ha iniziato il suo Tour “Ostensione della sindrome” a partire da ottobre scorso e non si è mai fermato, portando il nuovo disco “Sindrome di Toret” in giro per l’Italia e, con esso, tutta la sua personalità, accompagnandosi alla sua estrema capacità di lanciare messaggi che centrano dritti al cuore con una semplicità disarmante ed un’efficacia che colpisce nel profondo.
Qui a Napoli ha fatto sold out in poco tempo e sabato scorso Via Crispi era un fiume di gente che aspettava di entrare all’Hart per vederlo.

Willie sul palco è pazzesco, sarà il suo look non propriamente ricercato, saranno i testi arguti che scrive, il tono caldo della voce, i baffi e la chioma un po’ spettinata, ma, nel complesso, dimostra, tra le altre cose, un notevolissimo sex appeal.
È stato un vero peccato non riuscire a capire, post concerto, dove sia andato a fare lo spuntino di mezzanotte con i taralli (Instragram, ragazzi, è meglio della guestapo), perché sarebbe stato bello farci quattro chiacchiere insieme.
Ciò che, infatti, Willie, ispira più di tutto è il dialogo, lo scambio di riflessioni, insomma spunti su cui intavolare un discorso diverso da quello che ti propongono solitamente gli altri uomini, tristi, vuoti e noiosi.
Ma, tornando al concerto, come dicevamo, la sala era stracolma di gente che lo ha accolto sul palco con un calore che quasi commuoveva.
Di lì un susseguirsi di canzoni, oscillando tra il vecchio “Educazione Sabauda” ed il nuovo disco, stracolme di un mix potentissimo di sentimenti, di nichilismo, rivoluzione, critica sociale, amore, in tutte le sue forme, quella pura (“Willie Pooh”) e anche quella “pagana” (“Ottima Scusa”).

È un rapper con sfumature indie il cui stare sul palco ricorda molto la stand up comedy a stelle e strisce, che trasuda una fine ironia, un’intelligenza ormai poco comune.
Non è un rapper militante, ma una persona pensante, come si è definito lui stesso, e si vede, è palpabile, tangibile.
È incredibile la capacità di Willie di raccontare, cantando, sensazioni, situazioni, emozioni e pensieri con profili critici così veri e così reali da consentire un’immedesimazione massima in chi lo ascolta.
Era un continuo accompagnarlo, da parte di tutti, nella sua marcia di pezzi incessante.. “C’era una vodka”, “Donna bisestile”, “Metti che domani”, “Le chiavi in borsa”, “C’hai ragione tu” con il celebre sketch –“Of course, but maybe”– di Louis C.K., “I cani”, “Metti che domani”, “Portapalazzo”, “La dittatura dei non fumatori”.

Breve uscita di scena, seguita dall’esortazione-minaccia “Se non canti l’ultima noi non ce ne andiamo”, e poi l’ultimo regalo “Che bella giornata”.
A conclusione, un messaggio che è rimbombato forte e chiaro tra le mura dell’Hart e che faceva più o meno così “Seguite i vostri sogni senza fottervene del resto, perché la vera rivoluzione è essere sé stessi”.
Parole che possono sembrare inflazionate solo alle orecchie di chi la rivoluzione la fa solo copiando il prossimo, dopo averlo, magari, criticato ferocemente in pubblico.
Willie trasuda originalità e la potenza del messaggio va ben oltre le parole.
Lui la rivoluzione l’ha fatta, la sta facendo e gli siamo infinitamente grati per averci dato dimostrazione che qualcosa di bello c’è, che ci sono ancora persone che pensano e lui lo dimostra in ogni parola, sacrosanta, dei suoi testi.
Forse il momento che più ci ha toccati della serata è stato vedere un gruppo di amici in fondo alla sala raccolti vicino ad uno di loro in sedia a rotelle, che rideva con gli occhi e pogava insieme agli altri. È il quel momento che abbiamo pensato che Guglielmo avesse fatto davvero centro, non ci sta niente da opinare sul punto.

Forse in “7 miliardi”, decima traccia del disco “Sindrome di Toret”, contenente un monologo del comico satirico marchigiano Giorgio Montanini, si può cogliere la vera essenza della filosofia di vita di Willie, senza che siano necessari ulteriori encomi.

“Perché un punto di vista viene elevato a pensiero dominante, quindi giusto
E un altro punto di vista mi deve venire scartato e deve venir definito estremo
Quando estremo e centro sono semplicemente delle connotazioni geografiche, non c’hanno dei giudizi a prescindere
Se tu giudichi, sai perché lo fai? Perché vuoi rafforzare l’immagine che c’hai di te
Mica ce l’hai cu issu che è un pervertitu
È che vuoi fa pensà che tu stai nel meglio
Semo sette cazzo di miliardi di persò
Non ce ne frega un cazzo di te
Quello che fai tu non conta un pezzo di cazzo, niente
7 Miliardi
E statte sciolto, liberati de ste convenzioni, luoghi comuni, puttanate
Togli st’involucro
Sai che rimane?
Na cosa sola, semplice
L’essere umano”

Semplicemente grazie.

Ostensione della Sindrome Tour

30/03 Milano – Base
02/04 Mesagne (BR) Torre Regina Giovanna
06/04 Cesena – Teatro Verdi
07/04 Arezzo – Karemaski
13/04 Parma – Campus Industry
14/04 Asti – Palco 19
27/04 Vicenza – Totem Club
13/07 Collegno (TO) – Flowers Festival

 

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