[Intervista] Il cubo di Nikki. Fabrizio Lavoro, da radio Deejay a La Superluna di Drone Kong

 

Abbiamo incontrato Fabrizio ‘Nikki’ Lavoro, musicista e voce di Tropical Pizza su Radio Deejay, per parlare de
LA SUPERLUNA DI DRONE KONG, il nuovo progetto e nuovo album, in uscita il prossimo autunno.

 

A cura di Andrea Gritti

 

Ciao nikki! Inizierei parlando della tua infanzia in relazione alla musica. Per esempio, io che sono un grafico, a 5 anni non sapevo nemmeno dell’esistenza di questa professione, però ricordo che ero affascinato dalle insegne dei negozi o dal lettering di alcune targhe di automobili che avevano la sigla della provincia in arancione, rispetto ad altre che l’avevano in nero. Parlando di musica, fu così anche per te?

Assolutamente si, concordo col fatto che  fin da piccoli siamo molto meno scemi – se mi passi il termine – di quello che si pensi; un bambino  sa già molto bene cosa gli accade intorno.

Sono entrato seriamente nel mondo della musica intorno ai 10 anni, anche se già prima la ascoltavo, mi piaceva sentire insieme a mio papà i dischi di Frank Sinatra la domenica mattina. Ho avuto  la fortuna di crescere in un periodo in cui la musica – nell ‘81 – per molti era sinonimo di una cosa frivola, ma credo fino ad un certo punto perché il primo album che mi fece impazzire fù: “La voce del padrone” di Franco Battiato, che era ed è un genio. Suo fù il mio primo concerto, in cui lui, sull’onda del suo primo album di successo, iniziò questa tournée , come potrebbe fare oggi Rovazzi. Mi piace fare questo paragone perché c’erano molti bambini come me che andavano matti per le sue canzoni e ricordo durante il concerto, il timore che la potenza dell’impianto potesse far esplodere le mie ossa piccoline di bambino. 

A 12 anni e mezzo invece, ricordo un amico più grande di me che viveva nel mio stesso condominio; aveva il motorino, la tv, andava a vedere il Toro lo stadio… Insomma, faceva tutte le cose che data la mia piccola età, non potevo fare! Un giorno mi invitò in cameretta, stava ascoltando “Hell’s bells” degli AC/DC ed io dissi: “Madonna che musica pazzesca!” lui rispose: “Tra l’altro questa canzone non è neanche difficile da suonare”, così spense lo stereo e iniziò a suonarla con la chitarra. In quel momento mi dissi: “Wow, io voglio suonare la chitarra!” e fu così che nacque la passione.

 

Come hai avuto l’opportunità di entrare in radio?

Diciamo che a me piace il mondo della musica a 360° e quindi anche parlare di musica. Ricordo ad esempio dei quaderni – probabilmente della scuola – su cui scrivevo delle recensioni molto spontanee dei quattro dischi che avevo in cameretta.  L’occasione per entrare in radio si presentò verso la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, quando su Italia1 andava in onda un programma chiamato “Deejay television”. Era un programma quotidiano presentato da Linus – che poi sarebbe diventato quel Linus – insieme a Jovanotti, Fiorello e Pieraccioni; il tutto gestito da Claudio Cecchetto, un grande scopritore e appassionato di personaggi dello spettacolo. Con l’arrivò del fenomeno dei Guns’n Roses,  Bon Jovi, Motley Crue… Insomma il Glam rock, metal, hard rock; qualcuno si accorse che mancava uno spazio all’interno di Deejay Television, dedicato a questo tipo di musica e fù così dato l’input di cercare un ragazzino che potesse coprire questo ruolo in televisione. All’epoca suonavo in una band e il ragazzo che ci trovava le date fu preso ad una nuova rivista che avrebbe parlato di hard rock, venne così a conoscenza che a Deejay Television stavano cercando un volto nuovo, perciò mi disse: “Guarda che cercano qualcuno per fare questo provino, ecc.”

Mi presentai al provino che ero terrorizzato, trovai davanti  a me Jovanotti, Fiorello, Linus… Però andò bene perché comunque mi piace parlare della musica che amo. Mi chiesero anche di farlo in inglese e per fortuna l’inglese mi è sempre piaciuto, l’ho sempre studiato. Evidentemente poi qualcosa scattò in Cecchetto che successivamente guardò il provino e quindi mi ritrovai in un attimo, inizialmente su Italia1 e poi come presenza fissa in radio.

 

Come mai hai deciso di fare un disco de La Superluna di Drone Kong proprio ora?

Covavo questo desiderio da circa vent’anni ma l’ho fatto ora perchè si sono creati i presupposti giusti in questo momento. Non volevo andare a bussare a tutte le case discografiche per dire: “Hey ciao, mi fai fare un disco?” Per fortuna adesso – come tu stai registrando l’intervista su un iPad – esistono dei software con cui registrare la chitarra – che magari non è come registrarla nello studio di Rick Rubin a Los Angeles – però garantiscono un ottimo risultato. Lo spirito che volevamo comunicare c’era anche senza registrare in studio e quindi questo disco, è un po’ come il primo album dei cani,  un disco che sa tanto di band. Si capiva che i cani avevano pensato l’album proprio con quel suono lì: chitarra, basso, batteria, synth; tant’è vero che quando le facevano dal vivo, mi ricordavano assolutamente il disco. Allo stesso modo le canzoni della Superluna di Drone Kong, sono state registrate in cameretta e masterizzate in uno studio e che fa solo quello.

 

Quale è il significato de “La Superluna di Drone Kong”?

Innanzitutto diciamo che mi piace l’idea che “La Superluna di Drone Kong” sembri quasi il nome di un fumetto o di una serie tv. Detto ciò, “Superluna” perché le canzoni sono state quasi tutte concepite e registrate, sotto l’influsso della luna piuttosto che del sole. “Drone” invece, perché parlando di droni musicali – non in termini di telecamere – mi ha sempre affascinato la musica in cui c’è una nota fissa e delle altre che le si muovono intorno. Mentre “Kong” è il riferimento a King Kong, nonchè il mio primo super eroe. Più in generale, sullo sfondo delle canzoni della Superluna di Drone Kong c’è un pianeta a clima tropicale, un collegamento con il surriscaldamento globale, diretta conseguenza di un peggioramento delle condizioni del nostro pianeta che non tutti vogliono arginare.

 

Un pezzo dell’album che mi ha colpito è “Futuro ascetico”. Qual’è la tua interpretazione del futuro ascetico?

Ho sempre pensato agli asceti come delle persone che si ritirano da questa vita fatta di social, traffico e lavoro; un’interpretazione influenzata da Battiato, senza il quale non avrei mai approfondito determinati temi. Nella canzone il protagonista è in difficoltà perché vede le persone attorno, non rendersi conto dei danni provocati dall’uso sconsiderato di automobili ed arie condizionate. Questo disagio teme che lo porterà ad estromettersi dalla società per ritirasi su una montagna o in una spiaggia sperduta, pur realizzando che così facendo non avrà più modo di condividere le proprie emozioni e pensieri con altri esseri umani. Un riferimento al protagonista di “Into the wild”, la cui frase: “Happiness is real only when shared” è frutto di mesi e mesi in completa solitudine tra le montagne dell’Alaska, per fuggire dalla società. C’era un periodo della mia vita in cui andavo spessissimo nella spiaggia di Rosignano Solvay – dai cui prende nome il bicarbonato Solvay – un luogo dall’aspetto incredibile per via degli scarti del bicarbonato, che rende la spiaggia bianca proprio come alle Maldive. Un posto un po’ malsano in cui andavo spesso durante i weekend, dormendo in auto, per scappare dalla città. Non a caso, per l’illustrazione del brano, all’illustratrice Giorgia Marras ho detto: “guarda, ispirati a quella spiaggia lì, perché il concepimento di questa canzone è avvenuto a Rosignano Solvay, quando avevo 25-26 anni”.

 

Milano, almeno in Italia, incarna l’ideale della città dalla quale si vuole scappare non appena si ha la possibilità, no?

Beh, si. Diciamo che ci arrivi perché vuoi realizzare dei sogni ed è una città che ti porta spesso a convivere con cose faticose da reggere; lo vedo come un prezzo da pagare per realizzare le tue ambizioni.

 

Qual è il significato del tuo soprannome “Nikki”?

Negli ultimi anni dicevo che Nikki – scritto proprio così – vuol dire “diario” in giapponese; addirittura ci fu un movimento letterario importante chiamato con questo nome, era composto prevalentemente da scrittrici donne, i cui racconti erano basati sulle loro esperienze, proprio come se fosse un diario. 

In realtà il vero motivo per cui mi chiamo Nikki è che – quando feci il provino di cui abbiamo parlato prima – mi venne detto: “Senti, ma non hai un soprannome? Perché Fabrizio non funziona”.

Erano gli anni ‘90 ma di fatto era come se fossimo ancora negli ‘80, per essere figo dovevi chiamarti James. Allora io, pensando che quest’esperienza sarebbe durata solo i 3 mesi per cui venni scritturato, iniziai a sfogliare la rivista con tutti i miei begnamini che stavo per reclamizzare, vidi una foto di Nikki Sixx dei Motley Crue e mi dissi: ”Ma senti… grande Nikki Sixx! Questo è uno che spacca! Vada per Nikki”.

 

IL CUBO DI NIKKI

In questo gioco ho chiesto a Nikki di immaginare un deserto in cui appaiono una serie oggetti, è stata poi la sua mente a creare inconsciamente metafore che rivelano emozioni e aspetti della sua personalità. Sotto alle descrizioni di questi oggetti si trova la legenda per interpretarli e fare un vostro identikit di Nikki; ovviamente è tutto aperto a libere interpretazioni e quindi non c’è nulla di scientifico.

CUBO:

Grigio scuro, direi antracite opaco, di un materiale alieno. All’interno 22 gradi temperati, si sta bene. Grandezza proporzionata al contesto, sospeso dal suolo e rivolge uno spigolo verso terra.

SCALA:

Direi stesso colore del cubo, appoggiata su una faccia di esso. È una scala a pioli, quindi si appoggia al cubo…si sorreggono a vicenda.

CAVALLO:

Cavallo nero, massiccio, come Furia cavallo del west. Ha anche una specie di unicorno, come se fosse magico ed è proporzionato al cubo.

SCENARIO POST TEMPESTA:

La scala è caduta, il cubo è nella stessa posizione di prima, mentre il cavallo che è impolverato si è accucciato per ripararsi, quasi come se fosse un cane.

 

Legenda:

Cubo: la visione di te stesso che hai nel mondo

La scala: le amicizie

Il cavallo: l’amore

La tempesta: un periodo difficile che si attraversa durante la vita

 

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