[SoSample!] Con David Corio abbiamo parlato del rapporto tra foto e musica. Ha immortalato James Brown, Bob Marley e Nina Simone

A cura di Carmine Errico

 

Quanto iconiche sarebbero potute diventare le star della musica, se non ci fossero state le foto a immortalarle?
Per darmi una risposta, ho dialogato con il leggendario fotografo inglese
David Corio.
Nel suo portfolio, scatti a
Aretha Franklin, Bob Marley, James Brown, Marvin Gaye, Nina Simone, Whitney Houston, Fugees, George Clinton, Fela Kuti, Missy Elliott, Beenie Man. Una lista interminabile di artisti, fotografati per importantissime riviste come The Times, New Musical Express, Daily Telegraph; immagini ora esposte nelle gallerie di tutto il mondo.
Il rapporto tra musica e fotografia è il tema attorno a cui ruota il nuovo aggiornamento della playlist
SoSample!.
Essendo un grande amante del reggae, ho scoperto David Corio anni fa per la sua prolifica attività per l’etichetta
Greensleeves per cui – tra gli altri – ha fotografato il controverso Shabba Ranks. Ho voluto cominciare la nostra chiacchierata, ascoltando uno dei suoi brani che adoro di più – ‘Hearth of Lion’ – chiedendogli degli aneddoti su quello shooting.

Ho realizzato quelle foto a Harlesden, nord London, nel 1990 per le copertine dei dischi ‘Golden Touch’ e ‘Rapping With The Ladies’. E’ accaduto prima che Shabba diventasse realmente famoso e si esponesse con i suoi commenti omofobi. L’ho fotografato il giorno del suo ventiquattresimo compleanno per cui era in un ottimo ‘mood’. L’ho incontrato in un appartamento e non c’era nessun altro a parte noi due e questo mi è servito affinché non ci fossero distrazioni. Non c’erano parrucchieri, stylist o art director allora, ed era anche uno shooting con un budget molto basso“.

E ha continuato:

Penso che lui sia davvero pentito per le sue dichiarazioni omofobe perché gli hanno tolto ogni chance di affermarsi nel mainstream. La stessa cosa è accaduta a altri artisti dancehall e al reggae in generale che, credo, per questa ragione non sia riuscito a raggiungere l’audience che meritava. L’omofobia dilaga ancora in Giamaica e di questo me ne dispiace“.

Ma della musica di quell’Isola ne siamo davvero innamorati e proseguiamo ascoltando un brano dell’artista che l’ha esportata in tutto il mondo: Bob Marley. I suoi brani, parlavano di tutt’altri temi rispetto a quelli di Shabba Ranks e gli hanno permesso di diventare la voce di intere generazioni. In sottofondo, la bellissima ‘Heathen’ da cui è tratto il sample del brano precedentemente ascoltato. David Corio ha fotografato Bob Marley nel 1980 durante il suo live al Crystal Palace Bowl, l’ultimo a Londra prima di morire. Le sue foto sono tra quelle che hanno immortalato Bob per sempre. Era un artista unico, e chi lo ha visto dal vivo, ha tramandato il racconto dell’aurea mistica che ipnotizzava il pubblico in quelle oltre due ore di concerto. Ho quindi chiesto a David le sensazioni vissute durante quel live.

E’ stata l’unica opportunità che ho avuto di fotografare Bob e non ho mai fatto un set con lui, se non avergli scattato una foto mentre entrava in auto, andando via dalla venue. In quel periodo stavo lavorando per il New Musical Express e mi commissionarono quel lavoro, molto importante per me che ero appena ventenne. E’ stata una vera e propria sfida fotografarlo. C’era un lago davanti al palco e l’unico modo per scattare, era entrarci. Ero completamente bagnato e dovevo anche districarmi tra la folla. Per cui non mi sono concentrato molto sulla musica ma ricordo che il concerto non fu totalmente soddisfacente. Bob si muoveva poco, forse anche a causa di un palco che non era troppo grande. O forse per la sua malattia di cui ancora nessuno conosceva l’esistenza. Inoltre immagino fossero stanchi: erano atterrati quello stesso pomeriggio dalla Germania“.

Una risposta che ridimensiona il ruolo da privilegiati che in molti pensano possano avere quelli che lavorano ai concerti dietro le quinte. A tal proposito mi faccio raccontare un altro aneddoto che avevo già in parte letto sul suo sito, e che riguarda il suo incontro con James Brown. Faccio partire ‘Funky President’.

Fu un giorno davvero interessante. Dovevo fare uno shooting con lui: appuntamento a mezzogiorno in hotel. Quando sono arrivai mi dissero che si sarebbe dovuto sistemare prima i capelli; poi volle andare a fare shopping; dopo esser tornato doveva di nuovo pettinarsi. Quindi ci dissero di andare alla venue per il soundcheck dove, una volta arrivati, ci confessarono che lui non si era mai presentato a un soundcheck in trenta anni di carriera. Finalmente lo incontrammo prima del concerto, in camerino, dove era a sistemarsi i capelli con dei bigodini rossi. Lì mi disse che se avessi tirato fuori la fotocamera dalla mia borsa, mi avrebbe buttato via dalla finestra del terzo piano e così obbedì. Poco prima che salisse sul palco dissi a Mr. Brown (così voleva che tutti lo chiamassero) che c’avremmo messo solo un minuto per scattare e mi rispose che lo avremmo fatto dopo il concerto. Così fece. Finita l’esibizione, si risistemò i capelli e mi fecero entrare nel camerino dove mi cronometrò e mi diede sessanta secondi per scattare. Aspettai 12 ore per un set di un minuto“.

Ho i brividi. Ascoltare i racconti di David mi emoziona. Vorrei passare tutto il tempo a farmi raccontare degli aneddoti ma decido di virare su una domanda. E nel mentre, faccio partire ‘3005‘ di Childish Gambino che ha utilizzato un campione di ‘Funky President’ di James Brown. Utilizzo la comparazione tra i periodi storici dei due artisti, per farne un’altra, sull’uso della fotografia. E gli chiedo: “Quando hai scattato quelle foto di James Brown, era il 1985. Quanto erano importanti le foto in quel periodo? Per la nostra generazione, sono viste più come qualcosa che è stato lasciato in eredità che come materiale utilizzato all’epoca, soprattutto se non apparivi sui giornali, anche considerando che non c’erano siti internet o social media“. E lui prontamente:

Questo è un ottimo punto di vista. E ti dirò una cosa: proprio perché non c’era internet, i giornali avevano molta più influenza e erano davvero popolari. Li acquistavi anche per vedere le foto degli artisti. Questo avveniva quando non c’erano ancora le camere digitali. Per rendere l’idea: quando finì quel concerto di James Brown, presi l’ultima metro e arrivai a casa all’1 di notte. Guardai le pellicole e le lavorai per scegliere 4 o 5 foto, per poi andare a letto alle 5 del mattino e risvegliarmi alle 8 per prendere il treno e farle stampare al giornale entro le 10 di mattina, quando era la deadline“.

E gli chiedo oggi, con la sovraesposizione dell’immagine attraverso i social, cosa è cambiato:

“Tutto. Ora i social sono dominanti e i giornali sono pure troppi se consideriamo la loro utilità. Così come poco necessarie sono le fotocamere considerando che tutti possono scattare con il cellulare. Ma più le cose sono alla portata di tutti e più si abbassa la qualità. Io preferisco di gran lunga la pellicola. Lì puoi davvero segnare il tuo stile. E parallelamente è cambiato il mondo della musica. Prima le case discografiche imponevano gli artisti sul mercato, pagando giornalisti e fotografi per scattare in località esotiche e realizzare foto particolari. Ora, nell’era digitale, la forza dominante sono i social media”.

Giungiamo verso la fine della conversazione e mi faccio raccontare un altro aneddoto. In particolare gli chiedo di quando scattò una foto a Nina Simone, durante un suo concerto a Londra e poi gliela mostrò mesi dopo, a margine della presentazione di libro della cantante. Quando lei la vide iniziò a urlare chiedendogli cosa fosse quella foto e chi gli avesse dato il permesso di scattarla. E faccio partire ‘Four Women’.

Questa canzone è perfetta perché riassume ogni suo carattere, tra cui quello legato all’attivismo politico.  Penso sia una tra le più potenti e indubbiamente tra le migliori. Io l’ho sempre adorata ma quella storia mi ferì particolarmente perché io ascoltavo i suoi dischi, li ho collezionati per anni e soprattutto mi piaceva tantissimo quella foto, per cui rimasi deluso dalla sua reazione e non ho ascoltato la sua musica per tanto tempo“.

Gli chiedo se altri artisti hanno avuto lo stesso atteggiamento:

Per fortuna non tanti ma tra quelli più famosi posso citarti Phil Collins e Ray Davies. Forse non li ho incontrati nelle loro giornate migliori“.

Il sample di ‘Four Women’ è stato utilizzato per la bellissima ‘The Story of O.J.‘ di Jay-Z, contenuto nel suo disco ‘4:44’: un lavoro che include canzoni in cui il rapper fa un esame di coscienza, chiede perdono per la sua condotta e parla di alcuni suoi rimpianti. E chiedo a David se anche lui ne ha qualcuno:

Sicuramente quella di aver scattato soprattutto in bianco e nero per gran parte della mia carriera: un po’ a causa dei costi e un po’ perché allora i giornali chiedevano quello. Inoltre mi sarebbe piaciuto fotografare molto di più quello che ruota attorno alla musica: i fan, o anche gli artisti meno noti. Potrei anche fare un elenco molto lungo delle persone che avrei voluto fotografare. Sin dall’inizio della mia carriera mi sono concentrato sulla black music e ho trascurato il pop o la scena indie che non mi interessavano per niente o non mi piaceva il sound. Però ecco una lista di artisti che mi sarebbe piaciuto fotografare ma sono morti prima: Muddy Waters, Donny Hathaway, Donna Summer, Tupac Shakur, King Tubby, Prince Far I, Hugh Mundell, Garnett Silk. Potrei andare avanti e deprimermi ma invece mi ritengo molto fortunato ad avere avuto la possibilità di incontrare,fotografare e ascoltare molti grandi della musica e non me ne pento affatto“. 

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