Il braccialetto fotografo del Mi Ami è un’arma a doppio taglio.
E’ bello perché ti puoi godere per bene tutti gli artisti, senza dover essere spintonato dalla folla o macchiato dal sudore altrui.
E’ forse un po’ spiacevole perché comunque bisogna fare delle foto decenti e quindi ci sta un po’ di ansia da prestazione.
Di base però il bello supera il brutto.
Quest’anno non son riuscita a richiederlo e quindi ad ottenere cotanto privilegio. Quando mai.
Arrivo a Milano e il caldo è lo stesso dell’anno scorso, se non peggio
Mi dirigo alla fermata del 90 e vedo già un bel gruppo di persone in attesa. La navetta che arriva a caricarci è ben più grande dell’anno scorso, uguale a quella del servizio urbano del mio paese, frequentato primariamente da vecchietti che si chiedono a vicenda se il loro conoscente Gianni è ancora vivo (ti prego andiamo a Peschiera del Garda a parlar di morti e d’infortuni con i vecchi).
Comunque arriva questo super bus presto denso di gente con la radio che manda canzoni in netto contrasto con quello che andremo a sentire. Scendiamo e mi trovo davanti il raduno del Diesagiowave, salto addosso a qualche amico che non vedevo da mesi poi fuggo verso l’entrata.
Guardo con malinconia il bancone degli accrediti, mi faccio timbrare la mano mentre studio la legenda del colore dei braccialetti staff/musicisti.
Incominciamo a vagare per il festival, studiando distrattamente il programma, cercando di capire i palchi e chi vale la pena guardare.
Il Pertini è ancora vuoto, fanno qualche soundcheck, sulla collinetta non più di Jack ma della Rizla suonano già, ci accomodiamo sul prato, dopo aver salutato ancora un po’ di gente che non si vede da troppo.
Passa la ragazzetta sponsor Rizla e ci chiede se fumiamo e ci regala delle cartine e dei robi gonfiabili rosa che se si scontrano fanno rumore, visti maneggiare già da altre persone.
Il fatto che ci sia un terzo “palco” verso l’inizio il Waxman Brothers Backyard un po’ mi confonde ma è comunque intrigante.
Andiamo in esplorazione tra i banchetti e vedo tutti capi d’abbigliamento che bramo, tipo le giacchette scamosciate e quelle simil adidas da 90s/early 2000s kid poi intravedo il banchetto con Baronciani e gli regalo un bel lecca lecca a forma di cuore (comprati per l’occasione) prima di immortalarlo con la mia Minolta.
Guardo con malinconia anche i fotografi ufficiali/accreditati, ma non troppa e mi ritrovo a pensare che il Magnolia l’estate è più bello del solito. Intanto la gente continua ad aumentare.
Giunge il tempo dei Verano sul Rizla stage, la curiosità di vederli live finalmente si placa, tento timidamente di fare qualche foto ma:
1) la transenna è molto più spaziosa e distante dal palco rispetto all’anno scorso (in cui dovevo fare le acrobazie per passare da un lato all’altro del palchetto e sicuro qualche graffio me l’ero fatto)
2) è già invasa di fotografi dai mega obiettivi
Quindi riesco a scattare giusto una foto veloce, sperando di non aver beccato qualche parte di qualche professionista della fotografia.
Not bad.
Poi arriva Motta al Pertini (anche se a me sapeva molto di più da collinetta) che come al solito fa la sua bella figura tra salti, sudore e tanta energia, ci fa sentire giusto qualche pezzo per caricarci e ci prepara al resto degli artisti che invaderanno quel palco. Il pubblico è tranquillo, ancora scarno, intravedo un bambino nella folla.
Prima di Motta intercetto Ilaria dei Verano (ex Officina della Camomilla) con il nuovo look che le dona molto ma che io non riesco ad immortalare decentemente, però è bello rivederla.
La sera scende, io perdo il libricino con l’orario e la cartolina del nuovo fumetto di Baronciani, ne prendo uno nuovo, ma il foglio con il programma è stato staccato. Ne riprendo un altro: tocca a Cosmo, ma non riesco a vederlo, troppo gente e troppa fatica, lo sento in lontananza.
Mi rilasso dietro la collinetta, già invasa dalla gente e in sottofondo Tommaso Paradiso alterna canzoni di Vasco a tormentoni dei Thegiornalisti come Promiscuità e La fine dell’estate. Vedo da lontano il banchetto dei tatuaggi temporanei circondato dalla folla.
Lì sdraiata e assetata, incomincio pensare che forse ci sta troppa gente, facendo emergere il mio lato misantropo e alla mia pigrizia.
Durante i Cani ho la conferma di quello pensato qualche minuto prima: orde di gente si dirigono dalla collinetta al Pertini. Ormai è buio e riesco ad intrufolarmi lateralmente, senza purtroppo intravedere granché, se non a tratti il tastierista e il cappellino di Contessa, vedo benissimo la gente attorno a me che canta spensierata/ubriaca/presa bene le canzoni. Tento di districarmi dalla folla sfiorando un attacco di panico e procedendo molto lentamente, vedendo facce su facce su facce. Prima di allontanarmi, meno celermente di quanto avrei desiderato, riesco comunque a godermi Hipsteria e qualche altra vecchia song tra cui Le Coppie e vedere coppie con ragazzi che abbracciavano le proprie ragazze da dietro mentre I Cani cantavano: “Le coppie escono insieme e vanno ai concerti tenendosi strette: lui le ha fatto conoscere il gruppo ed essendo più alto l’abbraccia da dietro” è stato un trip.
The view from the pubblico durante i Cani.
Mi libero finalmente dal blob di gente e, nonostante l’act de I Cani sia il fulcro del festival, constato che c’è comunque una fila chilometrica ai bagni e stessa cosa per il cibo.
Mi dirigo verso i Gazebo Penguins, lì in un angolino assisto al quasi cedere della transenna, sostenuta dalla sicurezza e persino da qualche fotografo, sotto il peso e l’entusiasmo dei fans.
Mentre osservo questa scena penso a come sarà la situazione durante Calcutta e un po’ fremo, ma io Calcutta poi me lo perdo, un po’ per la paura di morire schiacciata, un po’ perché me lo sono già goduta altre volte (suona molto male) e principalmente perché ho troppa fame.
M’incammino verso la zona cibo ma prima sosto ad osservare qualche matrimonio con Elvis e la sua formula magica da ripetere che cita varie canzoni di vari artisti nella line-up del festival. Ci si scambia gli anelli, ci si bacia, ci si sposa in 2 o più. Attestati su attestati.
I food truck sono in esaurimento scorte, ci tocca uscire.
“Quando finisce il Mi Ami?”
“Alle 5”
“Ah”
Questo scambio di battute tra due amiche ubriache sedute a terra mi ipnotizza. Le cinque dita affaticate e deluse come la padrona impresse nella mia testa, quasi come tutti visi della gente famosa a piede libero per il Magnolia.
Appena riesco ad addentare un panino sento in lontananza la gente cantare “la pioggia scende fredda e su di te” e alla mia amica dico sorridendo sorniona “Per fortuna non ha piovuto, t’immagini?”
Parole e scarne foto di Esel Ciulla (AKA Esel che fa foto)
Foto scattate con una Minolta Riva zoom 135ex
Racconto del primo giorno di festival, venerdì 27/05