Birthh w/ This Boring Party @ Comfort Me – Alt Art, Rende (CS) – 10 Novembre 2016

Comfort Me è ormai una certezza. Una rassegna nata poche stagioni fa, che ha puntato tutto sulla dimensione intima della proposta musicale, riuscendo nell’intento di riportare, nell’hinterland cosentino, la musica in luoghi d’incontro diversi dai soliti pochi spazi, prediligendone di nuovi, più piccoli e raccolti. Questa politica ha permesso ai promoter di potersi impegnare in un cartellone che difficilmente avrebbe trovato spazio in luoghi più ampi ed impegnativi. E la scelta fatta, nel tempo (per quanto breve), ha pagato eccome.

La stagione invernale della rassegna recita nel sottotitolo “on tour” e porta in dono la prima eccezione a questa regola: sotto al tendone dell’Alt-Art arriva quella che, con toni paternalistici, un tempo sarebbe stata definita come “una giovane promessa”. Birthh è l’ennesimo caso, figlia della nuova ondata del cantautorato italiano, di cui si parla già da mesi e per l’occasione c’è bisogno di uno spazio adatto e che possa contenere il pubblico che merita la proposta.

La sera del concerto, a Cosenza diluvia e già da sopra al divano immagino il delirio che troverò nel piazzale sterrato attiguo all’Alt-Art, adibito a parcheggio. Per prepararmi al meglio alla serata ho ascoltato tutto il pomeriggio il disco di questa diaciannovenne toscana, uscito a Marzo di quest’anno per We Were Never Being Boring ed il pensiero (inutile negarlo) è andato subito a gli evidenti rimandi ad altre band anglofone e blasonate: Daughter, The XX ed un pizzico di Beach House.

Il lato positivo della cosa è che sono tre band che adoro, per questo la curiosità di vedere la giovane Alice Bisi (questo il suo vero nome) dal vivo, invece di scemare, monta ancora di più. Alle 22:30 in punto mi infilo in macchina e dopo aver saltato quattro pozzanghere entro finalmente nello spazio bianco che ospiterà l’evento. In un angolo c’è un albero con dei fogli appesi: sono le tavole di NUDO che è seduto proprio lì sotto e continua a sfornare con matite e pennarelli, live, delle assolute meraviglie.

Ho giusto il tempo di scambiare poche chiacchiere con i tanti amici presenti che è già il momento della band di apertura: This Boring Party sono del posto e sono un trio anomalo, composta da due chitarre ed elettronica varia. Il suono è minimale, abbozza appena paesaggi sonori rarefatti che fanno da tappeto ad un cantato leggero, quasi sussurrato, che ricorda a tratti il primo Bon Iver ma più diluito. La loro performance ha emozionato il pubblico attento che man mano affluiva, stupendo piacevolmente per alcune soluzioni armoniche degne di nota.

Fatto il loro dovere di band spalla, This Boring Party smontano la loro strumentazione e lasciano spazio a quelli col nome scritto grande grande sul cartellone. Alice sale sul palco con il minimo sindacale di emozione, ché se a diciannove anni fai il suo esordio al SXSW ed al primo disco sei già sulla bocca di tutti al punto da mettere in piedi un tour internazionale vuol dire che le carte ce le hai in regola. La accompagnano Lorenzo Borgatti alla chitarra e programmazioni e Massimo Borghi alle percussioni. Io afferro il cellulare e filmo in diretta per la pagina Facebook di Più O Meno Pop il brano di apertura.

Finita la diretta Facebook mi frana il cellulare a terra, ma non impreco. Non penso neppure ad avvicinarmi al bar, perché il concerto è una sorpresa inattesa. I tre musicisti dal vivo sono una macchina perfetta; gli arrangiamenti sono curatissimi e costruiti con crescendo pieni di intensità. Una goccia sopra l’altra aumenta un flusso sonoro emozionale compatto ed organico che punta su una tecnica di cesello e finezza.

I brani sono scritti bene, non c’è dubbio, ed anche se il fantasma dei Daughter aleggia costantemente in fondo al palco, la personalità del trio non ne risente per nulla. Alice Bisi tiene il palco con sicurezza e spavalderia, lanciandosi anche in qualche scambio di battute con i presenti. Lorenzo è preciso e puntuale, nelle trame sonore così come nei cori che aprono finestre ariose in più di una occasione.

Ma la vera rivelazione della serata è Massimo, che dietro la batteria è una bomba ad orologeria. Il suo set si divide tra un sampler pad, fusti acustici, ride e crash con i quali riesce a creare una serie di nuance ritmiche, di chiaroscuri, di contrappunti ed intarsi dall’espressività impressionante. E’ precisissimo, sicuro e carismatico, nonostante la sua (evidente) giovane età. Ammetto che in più di un brano mi ha stregato: sono rimasto imbambolato a guardare a lungo la sua tecnica e la sua attitudine, il suo apporto preziosissimo all’economia dei brani, il suo saper essere il vero (anche perché unico) motore ritmico della band e reale responsabile delle variazioni dinamiche all’interno delle composizioni.

Birthh ha all’attivo un solo album di dieci brani e poco più di trenta minuti per cui il live è, gioco forza, molto breve ed il pubblico ne vuole ancora. Il giochetto di uscire prima dei bis è un cliché che si deve fare, e si farà; i tre ripropongono il singolo di successo, Chlorine, e salutano tutti. Li ritroveremo al banchetto con i dischi in bella vista ed anche al bancone del bar, e saranno tutti ben propensi a scambiare due chiacchiere.

Mi disseto con una birra e poi compro il vinile, fatto bene, che vale la spesa (qualcuno, fuori, mi racconterà scherzando che è stato stampato a Catanzaro, per via di una sigla sul retro, ma questa è un’altra storia che se volete vi racconto in privato). Resto giusto il tempo di finire la birra e poche altre battute, poi sfruttando un attimo di calma atmosferica scappo verso il parcheggio.

La calma dura poco, ricomincia subito a piovere e mentre corro sento un botto: una ragazza, al buio, è andata contro ad una aiuola con l’auto rimanendoci incastrata sopra. Tutto quello che accadrà nei successivi venti minuti non ve lo racconto, rimarrà tra le storielle e gli aneddoti che tiro fuori quando sono ubriaco. Vi basti sapere che con il mio aiuto e quello di altre tre o quattro persone alla fine lei è riuscita ad uscirne viva, per quanto sono convinto che almeno la coppa dell’olio e qualche altro importante pezzo dell’autovettura siano andati a farsi benedire. Cara amica, di cui ignoro il nome, sei riuscita poi a raggiungere un tetto o l’auto ti ha lasciata in panne per strada? Chissà!

Cos’altro mi rimane da raccontarvi? Nulla, se non che arrivato a casa ho asciugato via la pioggia dal vinile e l’ho messo sul giradischi per riascoltarlo e questo la dice lunga sul fatto che il concerto mi sia piaciuto, no?

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