ONE BOY BAND – esce il 17 marzo “33 giri di boa”

Il 17 marzo 2017 è prevista l’uscita del primo album di ONE BOY BAND, dal titolo 33 Giri Di Boa per l’etichetta Discipline, masterizzato da Andrea Ravasio al Frequenze Studio di Monza (MB).
Dieci tracce originali e una cover dei Joy Division, di cui One Boy Band ha curato interamente arrangiamenti ed esecuzione, con le backing vocals di Irene Facheris.

ONE BOY BAND è il moniker dietro il quale si nasconde Davide Genco, cantautore e musicista siculo-brianzolo accompagnato da chitarra, loop-station e ukulele. Ha diversi progetti, alcuni ancora attivi, che l’hanno portato a esibirsi su diversi palchi in tutta Italia. In questo disco OBB ha voluto raccogliere i brani più intimi che sentiva di dover presentare da solo, canzoni personali che indagano, con una leggerezza mai frivola, le dicotomie amore/morte e passato/futuro. Il suono è la giusta miscela tra le sonorità folk rock alla J Mascis e Kurt Vile e un certo rock cantautorale italiano che va dai Marta sui Tubi a Brunori Sas, in cui prevalgono gli strumenti a corda, chitarre elettriche e acustiche, ukulele, mandolino e banjo.

Volevo che “33 giri di boa” suonasse come una fotografia. Fissare cioè nella forma canzone l’istante in cui un trentenne si volta indietro per capire cosa è successo nella sua vita e cosa lo ha reso la persona che è adesso, premessa indispensabile per capire le prossime direzioni verso cui volgere. In questo senso il “viaggio” dell’album è circolare, come un vinile: si apre con un’ode all’amore, parla di morte e paura oscillando fra passato e futuro, per poi congedarsi con una situazione di calma fugace. Lungi da me trattare i Grandi Temi col piglio del lucido cantautore, ho provato ad affrontarli con quella sincerità, senza difese e “di pancia”, che ha una certa outsider music che mi piace. Sul piano musicale l’esperimento è stato provare a internazionalizzare il mio suono per avvicinarmi alle produzioni cantautorali più recenti (Kurt Vile, J Mascis, Sufjan Stevens e Sun Kil Moon su tutti) ed evitare il più possibile qualsiasi consolatoria atmosfera vintage. Tutto affinché l’album suonasse come una confessione che avviene qui e ora, perentoria. Almeno fino al prossimo giro di boa.

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