Sons of Kemet: Shabaka e le sue regine

A cura di Marlene Chiti

 

 

Se a volte si cade ancora nell’errore d’identificare il Jazz come un genere polveroso, cerebrale, relegato in club frequentati da uomini in papillon e matrone ingioiellate, un concerto come questo appena passato dei Sons Of Kemet venerdì 11 maggio al Deposito Pontecorvo di Pisa, può aiutare a schiarirsi le idee, abbattere i pregiudizi e rammentare che questa musica nasce come musica da ballo, viscerale, istintiva, libera da schemi ristretti.
Ci si può domandare anche se una band dalla formazione atipica, due batterie, Eddie Hick e Tom Skinner, e due fiati al sax e Theon Cross alla tuba, volutamente senza alcuno strumento a corda, possa essere in grado di sostenere un concerto garantendo varietà e ampiezza di sfumature musicali.
Una risposta convincente e positiva si trova proprio nell’esibizione di questo quartetto, elemento di punta della scena del nuovo jazz britannico, capace di offrire uno spettacolo intensissimo e ricco di sfumature diverse, dal free jazz alle influenze afro caraibiche, fino a sprazzi quasi rock, fra l’incalzare della doppia batteria e il chiama e rispondi di sax e basso tuba.
La serata è caldissima, il club è affollato seppure non sold out, e la curiosità per questo concerto di chiusura della bella stagione di Pisa Jazz è alta e palpabile.

Shabaka Hutchings, sassofonista poco più che trentenne è il fondatore e l’anima dei Sons Of Kemet, così chiamati in onore di una certa fascinazione per la cultura egizia e forse anche in un indiretto omaggio alle innovazioni sincretiche di un altro grande appassionato di quel crogiolo culturale, Sun Ra.
Ma rispetto alle svisate cosmogoniche e lisergiche di Sun Ra, musiche e tematiche dei Sons Of Kemet paiono molto più terrene, concrete e legate ai moderni contrasti sociali; il loro più recente album, Your Queen Is A Reptile, uscito nel 2018 per la prestigiosa Impulse Records, pare una critica al colonialismo bianco incarnato nella figura della Regina Inglese ed è dedicato ad una serie di figure femminili di origine afro caraibica, fra cui si distingue la bisnonna del sassofonista, Ada Eastman, matriarca a cui è intitolato il brano di apertura del disco, My queen is Ada Eastman, con cui viene anche dato inizio al concerto.

A piedi nudi sul palco, colli gonfi, perle di sudore che scendono copiose e impregnano gli abiti, Hutchings e Theon Cross dialogano senza parole, in uno scambio ininterrotto sostenuto dal tappeto ritmico creato dalle due batterie e portano il folto pubblico in uno stato di quasi trance, a dimenarsi e rispondere con fisicità al richiamo di ritmi che possono riportare alla mente immagini di riti vodoo in lontane terre. In finale, un concerto davvero bello e coinvolgente che costituisce degna chiusura per la riuscitissima stagione della rassegna pisana dedicata al jazz.

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