Pazzesco! La Primavera di Colapesce e Dimartino è un grande splash (ma anche no)

© Mattia Balsamini

A cura di: Antonio Bastanza

Potrei farla breve e non tirarla troppo per le lunghe, potrei risparmiarvi qualche preziosissimo minuto di lettura e andare dritto al punto.
Potrei, ma non ne ho nessuna voglia.
D’altronde se ho lasciato sul campo 90 minuti io, che nemmeno ormai spreco tutto questo tempo per guardare la mia squadra del cuore, allora a voi toccherà impegnarne almeno un paio per scoprire cosa ho da dirvi.

Ecco, i più prevenuti di voi penseranno: sta per dirci che La primavera della mia vita, film scritto dal leggerissimo duo Colapesce/Dimartino e diretto dal loro sodale storico Zavvo Nicolosi, è una novella corazzata Potëmkin di Fantozziana memoria.
Beh se qualcuno dovesse dirvi una cosa del genere potrebbe non avere torto, magari potrebbe essersi perso lungo le strade di una Sicilia che sa di Inland Empire, ma potrebbe non avere torto.
Quel qualcuno, però, non sarò io, perché tra tanti limiti e qualche pregio, La primavera della mia vita è lungi dall’essere un buon film ma non è certo una cagata pazzesca.

Lorenzo e Antonio, in arte i Metafisici, sono un duo musicale di successo che, all’apice della propria carriera e con un singolo, Moscow mule mon amour, pronto al lancio, divide le proprie strade.
Il barbuto Antonio, insofferente alla pressione dei numeri, delle visualizzazioni, degli aspetti più commerciali del successo, decide di andarsene e scompare per 3 anni lasciando il suo Compare al proprio destino.
3 anni dopo Lorenzo, che si barcamena nel mondo della musica senza troppa gloria e con qualche difficoltà economica, riceve dalla sua manager la proposta di ricongiungersi al vecchio compgno, ricomparso all’improvviso e desideroso di rimettersi a lavorare con lui.
Ma, contrariamente alle aspettative, Lorenzo riceverà da Antonio non la proposta di fare un disco o un tour ma quella di scrivere un libro sulle leggende della Sicilia a capo di un viaggio di 7 giorni tra le strade della loro regione.
A commissionare il tutto una fantomatica setta, i Semeniti, di cui il “redivivo” Antonio fa ora parte.
Il viaggio inevitabilmente porterà a un chiarimento tra i due, a un surreale ritorno sul palco, in una delle sequenze più riuscite del film, al confronto di Lorenzo col proprio passato fino al finale, dove viene rivelato il reale motivo di questa sorta di pellegrinaggio da Palermo, città natale di Di Martino, fino a Siracusa, patria di Colapesce.

Se la trama raccontata per sommi capi vi pare debole vi sbagliate.
La trama è praticamente inesistente, non regge nella sua interezza ed è semplicemente una scusa per una serie di brevi sequenze legate tra loro in maniera poco riuscita.
Di certo non si salva la prova attoriale del duo, con Dimartino più a suo agio nel ruolo dello stralunato Antonio, e nemmeno dei graditi ospiti, dal professor Vecchioni a un Brunori, per il quale giova ricordare che il cantante è la cosa che gli riesce meno bene su un palco, col freno tirato, mentre Erlend Øye dei Kings of Convenience e Madame fanno quello che sanno fare, cantare, e lo fanno bene.
Certe simpatiche trovate e le atmosfere bizzarre, talvolta oniriche, stralunate, saltuariamente grottesche, vagamente, ma molto vagamente cipriemaresche che permeano questo road movie di redenzione e crescita aiutano ma non bastano a salvare il film.
E quindi alla fine della fiera è stato tutto tempo sprecato, il mio nel guardarlo e il vostro nel leggere queste righe?

No. Perché se davvero vogliamo parlare de La primavera della mia vita dobbiamo parlare anche di quello che è una storia oltre la storia, delle emozioni e delle intenzioni che ci sono dietro.

Una storia, piccola e delicata, sognante, eterea, leggera anzi leggerissima, col suo finale dolceamaro è quello che resta una volta tolto tutto quello che non va del film.
Non è poco, perché è di storie di questo tipo che abbiamo bisogno, di racconti che carezzino l’anima, di riflessioni importanti ma non troppo serie nei modi sul nostro posto nel mondo, sul cambiamento, sulle scelte, sui compromessi, di storie sulla nostra identità che si mescolano alle leggende senza soluzione di continuità.

La primavera della nostra vita è un film cui si può voler bene per quello che si porta dentro, per il suo spirito e le sue intenzioni e quindi no, andarlo a vedere, in fondo, non è tempo perso, che il tempo perso è altro e si butta via in minchiate indicibili, tipo i video dei balletti su tiktok.

O certi articoli sui cantanti che fanno i film, ma non quelli tipo i Musicarelli degli anni ’60, che se fossero furbi dovrebbero pensarci bene e farne uno davvero.

Con questo vi saluto, vi ringrazio per l’attenzione e per la pazienza e vi do appuntamento al prossimo articolo dal titolo ” 100 cose da fare prima di andare a vedere un film con Levante come protagonista”

Ma anche no, grazie.

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