[RECENSIONE] KULBARS IL PROGETTO MUSICALE E POLITICO DI GAUBE

(c) Giovanni Laghetto

A cura di Erica Biscuolo

 

Gaube

Kulbars
(Bonimba/Santeria/Audioglobe)

 

Tracklist

  1.     Kulbars
  2.     Verme
  3.     Spettro
  4.     Sangue (parte I)
  5.     Sangue (parte II)
  6.     Confini
  7.     Muro
  8.     Arriverà
  9.     La crepa, il declino

 

In uscita il 10 marzo, Kulbars è l’album d’esordio di Gaube, all’anagrafe Lorenzo Cantini, giovane cantautore italiano che propone un progetto della visione artistica fortemente intrecciata a quella politica, uno stile compositivo che prende in esempio il cantautorato militante italiano degli anni ‘70 e i suoni del rock progressivo ad esso contemporanei, e se ne serve per riflettere sui temi di natura sociale dei giorni nostri. 

 

“L’arte deve tornare a farsi politica e per farlo deve necessariamente legarsi alle grandi questioni del presente” 

                                                                                                                                                       – Gaube

 

L’intenzione politica è chiara fin dalle prime battute del disco, come dimostrato dalla title track Kulbars, da “kolbar” o “kolber”, termine usato per indicare quei lavoratori che trasportano merci sulla schiena, legalmente o illegalmente, attraverso i confini di Iran, Iraq, Siria e Turchia. Il brano apre il disco anche a livello tematico affrontando argomenti quali la migrazione, lo sfruttamento da parte delle mafie dei migranti come braccianti a basso costo, ma anche illusione e le contraddizioni legate all’attivismo digitale, pratica utile a ripulirsi la coscienza ma inefficace sul piano di un’effettiva trasformazione del reale; tutti temi che verranno ancora approfonditi nelle tracce successive. 

In Verme, Spettro e Sangue (parte I e II), Gaube crea una narrazione unitaria che vede al centro un immaginario protagonista, esponente dei ceti più deboli, e il flusso dei suoi pensieri in questo “romanzo di formazione” politica che si articola in sequenze che vedono: la presa di coscienza di classe (Verme), la presa di coscienza politica e la conseguente radicalizzazione ideologica (Spettro); e l’attualizzazione del desiderio di cambiamento in militanza politica (Sangue). Sono quattro canzoni che trovano un’ulteriore sintesi in Arriverà, brano che ruota attorno ai temi del lavoro, dell’illusoria mobilità sociale e della repressione delle rivendicazioni politiche. Confini e Muro sono invece un dittico formato da due tracce speculari: entrambe si concentrano sul tema delle migrazioni, ma mentre la prima sviluppa un discorso più generale e introduttivo, la seconda scava più in profondità evocando il dramma delle frontiere balcaniche, dove centinaia di giovanissimi esseri umani tentano disperatamente di entrare in Europa, quella terra promessa che in realtà dimostra di essere un “castello di false libertà”. La crepa, il declino, ultima (e forse meglio riuscita) traccia dell’album, è il brano più intimo e autobiografico, l’atmosfera è quella di una ninna nanna, della quale preserva la delicatezza, pur mantenendo i toni scuri e pessimisti che caratterizzano l’identità del progetto. Malinconica e cupa, sfuma chiudendo il disco in maniera quasi cinematografica, dipingendo un paesaggio di desolazione e disillusione.  

A livello sonoro, forte è l’influenza della musica degli anni Settanta, lo stesso Gaube afferma di guardare con ammirazione a De Andrè, Area, ma anche ai più contemporanei Verdena e Iosonouncane, mentre in ambito internazionale, sicuramente è forte l’influenza di gruppi progressive rock, quali Pink Floyd e Genesis, dei quali ha assimilato perfettamente il linguaggio, soprattutto nella costruzione delle strutture dei brani che rinnegano le forme della musica pop, preferendo invece frasi libere che concedono ampi spazi a momenti strumentali e permettono alla complessità del suo pensiero di concretizzarsi nella scrittura.

In conclusione Kulbars è un progetto sicuramente ambizioso e Gaube è un giovane cantautore con un’identità chiara e ben messa a fuoco, con un talento indiscutibile nella scrittura, capace di affrontare temi difficili senza mai scivolare nella banalità o superficialità. Tuttavia, ascoltando l’album sembra di fare un tuffo nel passato: la sensazione è che le lancette si siano fermate a cinquant’anni fa e questo, pur essendo una scelta stilistica, penalizza la ricezione chiara del messaggio che il cantautore vuole trasmettere, un messaggio oltretutto così forte e importante. Se la musica è il mezzo attraverso cui trasmettere un pensiero, che si vuole venga colto dalle persone, è necessario comunicare con un linguaggio che possa essere compreso dal pubblico a cui si vuole comunicare. La conoscenza e l’influenza di un patrimonio così significativo come quello del cantautorato italiano degli anni Settanta, o del rock progressivo britannico, è un riferimento che permette di dare tanta qualità alla musica, soprattutto in un momento storico in cui la quantità prevarica, ahimè, sulla qualità, ma è importante che sia un punto di partenza e non un punto di arrivo. I testi di Gaube parlano del presente, ma si rivolgono irrimediabilmente al futuro (per natura stessa del genere politico e militante), eppure lo fanno con un linguaggio che parla al passato, più incline ad essere ricevuto da due, tre generazioni prima di quella che effettivamente avrà parte nella creazione di questo futuro. Sarebbe così interessante ascoltare un album di tale profondità e lucidità, con temi così significativi, calato nel panorama della musica contemporanea, con il linguaggio della musica contemporanea, capace di arrivare anche alle generazioni più giovani. Non parlo di snaturalizzarsi, ma di usare questi riferimenti in modo che non siano solo un esercizio di stile o una citazione, se l’obiettivo è quello di creare una trasformazione reale e non solo di pulirsi la coscienza (un po’ come succede per l’attivismo digitale citato nel progetto). 

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