[Recensioni] Roger Waters: The Dark Side Of The Moon Redux e la necessità di riscrivere un capolavoro

ROGER WATERS
THE DARK SIDE OF THE MOON REDUX
6 ottobre
(Cooking Vinyl – Egea Music – The Orchard)

 

A cura di Renata Rossi

 

Compie 50 anni uno dei dischi più importanti della storia della musica: The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd.
Il disco ha avuto un successo planetario, osannato dai fan e dalla critica, arrivando sul podio, al terzo posto degli album in studio più venduti di ogni tempo.

Su TDSOTM è già stato detto tutto, a ragione o a torto è considerato il miglior album della band inglese, il loro successo insuperato: entrato nelle orecchie di tutti gli amanti della musica è simbolo per eccellenza di un viaggio lisergico attraverso i suoni, curati, perfetti, oltre ogni immaginazione, soprattutto se consideriamo l’epoca in cui è stato scritto. I testi racchiudono la visione dell’esistenza di Roger Waters divenuto portavoce di pensieri universali: l’album raffigura in parole e immagini il disagio, il disorientamento dell’uomo intrappolato in un labirinto di incomunicabilità, in cui appare confuso, allucinato, perso in una corsa contro il tempo che scorre ineluttabile.

Al cospetto di un album del genere, viene da chiedersi innanzitutto una cosa: qual è il senso di scrivere The Dark Side Of The Moon Redux, di reinterpretare uno degli album più famosi della storia? Non è certo pensabile di poter “migliorare” l’album: è un classico della musica, criticabile, certo, come ogni cosa, ma intoccabile, suona già perfetto così.
Bisogna dunque sapersi approcciare all’album nella maniera giusta, lo stesso Roger Waters afferma di non aver creato un sostituto del disco originale, ma di averlo voluto onorare con una reinterpretazione personale che vuole rinnovare il messaggio finale dell’album.
Alla soglia degli 80 anni, il cantante vuole ridar vita al disco, riscriverlo secondo una prospettiva diversa, dando nuovo significato a quei temi universali cui si era già fatto portavoce in The Dark Side Of The Moon.

La saggezza derivante dall’eta e il proprio malessere interiore scaturiscono fuori in una visione ancora più pessimistica e cupa della condizione umana, del dramma stesso di esistere, crescere, ammalarsi, morire. Non può non risaltare anche l’ego esagerato del musicista, il suo volersi ergere sempre una spanna sopra i colleghi, quasi come fosse l’unico a poter rivendicare la paternità agli album dei Pink Floyd. Sembra quasi che Waters voglia innalzare ancora una volta un muro tra chi canta e chi ascolta, tra un artista capace di rinnovarsi e un pubblico nostalgico che vorrebbe essere coccolato da suoni che conosce e ha fatto propri.
In quest’ottica appare chiaro il perché di quest’opera, la necessità di volerla riscrivere a cinquant’anni dalla sua uscita.

Il disco risulta scarnificato, essenziale, rallentato, con un approccio meditativo e solenne. Ciò che viene meno è il lato psichedelico del disco, quel viaggio onirico che si intraprende con l’ascolto di TDSOTM. Un album che lascia un po’meno sorpresi se si considera il nuovo Waters, quello dei suoi brani, o della rilettura di Comfortably Numb 2022, ma che lascia comunque, specialmente ad un primo ascolto, la sensazione di un capolavoro violato.
In risalto viene messa la voce, quel magma magnetico che entra nelle orecchie dell’ascoltatore sin dall’inizio, quando Waters, come un profeta, proclama in versi il suo pensiero, in Speak to me. Il testo è quello di Free Four tratto da Obscured by Clouds.

The memories of a man in his old age
Are the deeds of a man in his prime
You shuffle in the gloom of the sick room
And talk to yourself as you die…

Quella voce roca e decisa, che diventa monito, testimonianza, resta la cosa migliore del disco: il lavoro di chi, alla fine della sua esistenza, è giustamente libero di fare ciò che vuole, di andare oltre l’inutile rivalità coi colleghi, di dar voce ancora una volta a tutta la sua lucida e geniale follia.

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