TAFUZZY DAYS 2016

Parto per il Tafuzzy con metà dei capelli, il doppio dei rullini rispetto all’anno scorso e tanta voglia di fotografare visto che non faccio seriamente foto da maggio. Ho anche molta voglia di rivedere il mare e ripenso a quella canzone dei Cosmetic mentre fa abbastanza caldo sul regionale e ho sonno.
Ci mettiamo poi in viaggio per Riccione quando ormai è calata la sera, in macchina risuonano e si alternano i The Jesus and Mary Chain, un po’ di Setti, canzoni trash in radio come Alghero e Un’estate al mare di Giuni Russo, passiamo le varie uscite dell’autostrada Faenza, Ravenna, Rimini. Finalmente Riccione, uscita, ci accoglie una rotondona con la mega scritta RICCIONE bianca, poi un’altra con la conchiglia dietro, ci giriamo un attimo attorno a vuoto per capire quale uscita prendere, poi capiamo e ci infiliamo in viale Sardegna, io penso ad Iosonouncane e alle sue rive lontane. Ecco l’insegna del Tafuzzy, parcheggiamo ma prima di svoltare intravediamo la piramidona del Cocoricò. Arriviamo giuste in tempo, un saluto a chi non si vede da quando faceva ancora troppo freddo per non indossare la giacca e anche a chi non si vede da quando si sudava troppo  all’inizio dell’estate. Breve salto in bagno dove si sente una musichetta tra La danza della fata confetto de Lo schiaccianoci e qualche soundtrack thriller.
Il primo a suonare è Setti con il suo cantautorato delicato, viene raggiunto sul palco da Brace prima e da Avocadoz poiseguono le adorabili In.versione Clotinsky, duo chitarra voce e batteria, ci propongono dalle canzoni più sentimentali e tranquille a hit più danzerecce come Papaya.

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Poi tocca ai beat e schitarrate di GIUNGLA che scuote i lunghi capelli al tempo dei suoi graffianti brani urlati a tratti con voce distorta.

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Arrivano i Ponzio Pilates, di loro avevo già adocchiato la curiosa batteria arancione alle spalle degli artisti esibiti nel corso della serata. Prima che inizino Urali mi dice “questi spaccano, le percussioni nel mio album le han fatte loro”  io nell’attesa li guardo, curiosamente agghindati come sono con un ragazzo vestito da fungo ai tamburi e alla tastiera uno che sembra Contessa prima dell’abbandono del sacchetto in testa, addobbato con un poncho di Mickey Mouse. Iniziano a suonare e ci travolgono letteralmente con le loro sonorità e il loro ritmo incalzante, i testi ironici, simpatici, a volte provocatori, allusivi, giochi di luci pirotecnici.

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Magari li stai ascoltando distrattamente seduta sulle gradinate, che un po’ ti stanno ghiacciando il culo, mentre stai rollando una sigaretta e ad un tratto senti “Figamalapena ti ho scopata fino a qua” e scoppi a ridere, muovi la testa a ritmo, curiosa di sentire cos’altro s’inventeranno. I Ponzio Pilates suonano a lungo in un concatenarsi infinito di canzoni fino a quando non tocca agli Holiday Inn, per loro ci si sposta all’interno nella sala dove sono esposti vari pezzi, tra questi un cartellone molto eloquente.

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Le luci si tingono di verde, Gabor, con cui parlavi fino a poco tempo prima e ti sembrava anche un po’ timido, esce fuori, presto a petto nudo con le sue solite scritte addosso (TAFUZZY NIGHT per l’occasione), la birra in mano e Bob Junior con il cappello da pescatore e una camicia colorata sta riversato sui synth. Urlano una canzone dopo l’altra, snocciolano brani e cover. Gabor tra il pubblico, Edward, il cartellone, i volantini, prima ancora in un angolo stava a terra a bere birra con ancora indosso la maglietta Crime. I don’t trust either of my shadows si copre gli occhi, ci manda tutti a fanculo e con questa luce sembra un Hulk più magro e abbronzato. Si conclude così la prima serata del festival.

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Prima di andare ci tratteniamo a parlare con gli artisti, discutiamo di occhiali del nonno, di come non aprire birre con un cacciavite e troppe altre cose, poi il ritorno sonnambulo in autostrada e infine il letto quando ormai è l’alba e la tua amica tra due ore deve andare a lavoro.
Il giorno dopo, nell’attesa della serata finale, provo a studiare ma nella testa risuonano ancora le canzoni della sera precedente e qualche viso rimasto impresso. Mi faccio un bagno, l’acqua diventa viola e poi quando Giulia ritorna si riparte per Riccione. Vogliamo fare le spavalde e ci organizziamo malamente per dormire al Castello, ancora i Jesus and Mary, l’autogrill della sera precedente, che all’alba ci eravam fermate a far Gpl ma il giorno dopo non si lavora per fortuna. Ci perdiamo purtroppo i Qlowsky ma il resto ce lo becchiamo tutto:
i Little Pony scaldano l’atmosfera con il loro mix di funk, blues e jazz, i testi cantati con un simpatico accento americano, Ciao nè, il sassofono, si incominciano a muovere le teste mentre si ricomincia con le birre, ti viene un po’ da ballare e chiudere gli occhi per apprezzare meglio storie di padri sotto l’effetto di cocaina e troppe scuse.

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Arriva il turno di Io e la Tigre con l’immancabile abat-jour, il loro cuore sottovuoto, i bei vestititini, tanto fiato e i capelli davanti agli occhi.

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Finalmente i Camillas. Bramavo un loro live da troppo tempo, avevo sofferto per il mancato concerto a Verona e ora finalmente eccoli. Salgono sul palco e dopo qualche parola, accordo, qualche foto di fretta arriva la mia infatuazione tra anche e agolanti che si sono estinti perché non riuscivano a comunicare, la storia inventata da Ruben quando, in un momento di pausa, si sente in lontananza la musica dei bagni. Mentre la narra muove il bacino e le mani lanca lanca lanca, mi fa male il Tafuzzy. Il microfono ingoiato, Zagor in mezzo al pubblico con i suoi scatti e la Canzone del pane, il postino con il motorino ma tu non la leggere, tu non la leggere.

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Altra canzone poi i Lantern all’interno con la gente per aria, il cantante che urla e salta come un grillo inferocito, avanti e indietro, urtando la folla presa bene.

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In chiusura le Eurogirls in pantadisco, megaocchiali e sonorità elettroniche, beat serrati, una vocina miagolante ripete eurogirlseurogirls interagisce con il pubblico, incita a muoversi, un ombrello rotto e aperto a terra.

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La musica finisce, il castello si svuota pian piano, s’incomincia ad infiltrare appena quella sensazione di fine scacciata dalle ultime birre, gli ultimi discorsi, l’anguria e il dove dormire. Alla fine due dormono in macchina e io e l’altra ragazza nel castello, in tre su un lettino gonfiabile. Al mattino la luce c’inonda, con ancora un po’ di alcool in circolo io e C. ci svegliamo, con un mal di testa della morte e una sete allucinante usciamo dallo stanzone principale senza fare rumore. Appena fuori mi fermo a guardare il Castello, alla luce del giorno e senza nemmeno una persona in giro sembra più piccolo, gli uccellini scinguettano, più svegli e attivi di noi, fa abbastanza fresco da aver bisogno della camicia che poi scordo in bagno. Con il sole alto che veglia su di noi e i cessi muti constatiamo i resti della serata tra bicchieri di plastica defunti, l’angolo delle birre abbandonato a sé stesso e due paia di scarpe sulla stessa gradinata dove fino a poco prima si fumava e scherzava. Mentre vaghiamo per il castello deserto ci sentiamo già un po’ nostalgiche, proviamo a ridere di qualche aneddoto accaduto giusto qualche ora fa ma senza riuscirci troppo, perché il festival è finito e con lui in fondo anche un’altra estate.

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Foto scattate con una Minolta Riva zoom 135 ex con pellicola Kodak

Gallery Tafuzzy day 1

Gallery Tafuzzy day 2