Times They Are A Changin

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Se la vittoria del premio Nobel da parte di Bob Dylan sia veramente giusta o un mero atto mediatico toccherà ad altri dirlo, magari gente che di letteratura ne sa più di me e di tutti i soloni scribacchini come me che in queste ore hanno detto la loro sull’argomento.  Io ho la mia idea, ovviamente, ho un’idea per ogni cosa di cui ho un minimo di cognizione di causa, e penso che la mia idea valga esattamente quanto quella di coloro che si chiedono che senso abbia dare un premio del genere a uno scrittore di canzonette.

A scanso di equivoci il mio pensiero è questo: io il premio, più precisamente proprio questo premio, a Bob Dylan lo avrei dato già da almeno dieci anni e in ognuno degli ultimi dieci anni ho trovato profondamente ingiusto che non lo avesse vinto lui.
Qualcuno, mia madre nello specifico, mi ha chiesto quale fosse la produzione letteraria che aveva innalzato il buon Bob (posso chiamarti Bob, Bob?) oltre GIGANTI, della letteratura mondiale come Murakami Haruki, Philip Roth e Don DeLillo, i tre favoritissimi della vigilia.

Le madri ne sanno una più del diavolo, si sa, sempre pronte a mettere in dubbio le nostre certezze e la mia non è da meno, anche se i suoi opinabili gusti letterari da professoressa di italiano non sono mai andati oltre i confini italici.

Mia madre e tante altre persone che si pongono questa domanda hanno ragione, dannatamente ragione: De Lillo, Roth, Murakami ma anche Alice Munro o Patrick Modiano, per parlare di due recenti vincitori del nobel, sono scrittori di gran lunga superiori a Dylan. E, per quanto intensi e incisivi, i versi del nostro Bob non sono certo al livello dell’immensa Wislawa Szymborska.
Attenzione, con questo non sto dicendo che Dylan sia uno scribacchino da due soldi, un glorificato dalla fama di cantantucolo del cuore di autorevoli uomini e donne di potere: suoi versi sono potenti e suggestivi come pochi.

Dylan è stato, a modo suo, un innovatore capace di raccontare i suoi tempi in maniera spaventosamente vera e viva, un cantore della realtà com’era e non come sarebbe stato più semplice raccontarla.
Dylan è come Omero, qualcuno ha detto. Ed è vero, fottutamente vero, al di la di ogni valutazione stilistica al riguardo, perchè Iliade e Odissea sono opere inarrivabli, e se solo la scuola non fosse riuscita a farcele odiare probabilmente riusciremmo ad ammetterlo una volta per tutte.
Ma per entrambi il termine cantastorie calza a pennello e per entrambi vale l’affermzione che la loro arte non appartiene, formalmente, a quella della letteratura in senso scritto ma a quella della oralità, della trasmissione verbale della parola accompagnata da musica.
E parlando di musica e musicalità un “componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi” non è forse la definizione di poesia?
Dylan è stato un grande cantastorie, basti ricordare “Hurricane” e la capacità di riassumere in 8 minuti di canzone e in maniera mirabile una storia forte come quella del pugile Rubin Carter, e un ottimo poeta, in grado di emozionare animi e sollevare coscienze.
Ma ammettiamo che io stia esagerando, che Omero non sia altro che uno scrittore buono per sceneggiare qualche puntata di “Games of Thrones” e che a scriver due versi in croce siam buoni tutti, in fondo di poeti incompresi sono pieni i diari degli adolescenti di tutto il mondo, ora e per sempre.

Perché è giusto che abbia vinto Bob Dylan?

Perchè è stato un profondo ispiratore, una stella cometa, un modello e un miraggio per chi si avvicinava a scrivere seguendo il suo esempio o che, più semplicemente, si è lasciato condurre dalle sue canzoni nella propria vita.
Oggi in una intervista Tom Hanks, a domanda specifica, ha risposto che la vittoria di Dylan lo rendeva fiero come Americano, che è stato una sorta di musa ispiratrice della propria generazione, spingendola a un approccio impegnato alle cose della vita.
Probabilmente sono in tanti, al di là dei nazionalismi, a pensare la stessa cosa del buon Tom, di certo almeno altrettanti pensano che sia ridicolo che uno scrittore di canzonette possa meritare il premio più elitario tra tutti quelli esistenti.

La vittoria di Dylan è controversa quanto quella di chiunque altro abbia vinto in passato e non sia stato collocabile in maniera diretta all’interno di uno schieramento letterario inteso in senso classico. e porta l’eterna diatriba tra chi considera la canzone una forma artistica alta e chi invece ritiene quantomeno offensivo paragonare i due mondi, a un punto di non ritorno.
Il che è un gran bene, dal mio punto di vista, perché gente come De Andrè e Cohen, un altro che il Nobel lo meriterebbe, eccome, ha un valore artistico che va ben oltre quello di un pezzo passato alla radio in una mattina di estate.

Robert Zimmermann è stato un cantastorie popolare, che parlava alla gente con modi e linguaggio da fine poeta, questa è la realtà.
Per questo il suo è un Nobel moderno e innovatore, è un premio che guarda al futuro e che deve invogliare chi scrive a rivolgersi anche a forme diverse da quelle statiche e stantie dei romanzi, che spinge a ritornare alla poetica e alla poesia.
Moderno e Innovativo, quasi un controsenso, per un premio alla carriera, che guarda al passato di autori che raramente, foss’anche perchè  hanno già dato il meglio di loro, avranno un futuro non più che dignitoso, il che è già tanto visti i tempi che corrono, vero Haruki-sama?
Solo che se un establishment letterario di conservatori elitari, dei gerontocrati della scrittura ritengono che sia un oltraggio che la loro nobile arte sia stata imputridita da cotal accostamento, fa assai più impressione che a “difendere i loculi”, come dice il mio amico Fabio Izzo, della narrativa siano giovani o giovinastri che, evidentemente non vedono al di la della punta del loro naso.
E magari il prossimo anno torneremo a parlare della vittoria di qualche bravissimo esteta della parola,asettico e formalmente perfetto.
Non un De Lillo o un Roth per intenderci.
O potrebbe andarvi peggio, potreste avere a che fare con la potenza espressiva di un Alan Moore Nobel per la letteratura a ricordarvi quanto il potere della parola vivifichi le immagini.
Per cui ora rilassatevi e ricordate che Lui in fondo sono 40 anni che ve lo dice.

For the loser now
Will be later to win

Cause the times they are a-changing”

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