Le parole e la musica di Cristiano Godano al circolo Arci Khorakhané-spazio72 di Grosseto: il racconto di un artista poliedrico

A cura di Romina Zago

Un Cristiano Godano che si racconta, tra parole e musica, al Circolo Arci Khorakhané-Spazio72 di Grosseto, mostrando il lato più intimista del suo essere artista poliedrico, in cui forte si percepisce la costanza del suo processo creativo.
L’evento, organizzato dal Festival Resistente Arci in collaborazione con il Circolo, ha voluto regalare al pubblico un momento quasi riservato, in cui il leader dei Marlene Kuntz ha potuto spaziare dalla sua storia di cantante e autore dei testi della sua band, fino ad arrivare a tematiche inerenti il mondo musicale. Il tutto intervallato dalla sua interpretazione in chiave acustica, voce e chitarra, di alcuni brani del repertorio dei Marlene, riarrangiati proprio per questa occasione. Ad intervistare Godano è stato Federico Raponi, giornalista che vanta collaborazioni con “Liberazione”, “Terra”, “L’opinione”, ha curato le trasmissioni di “RadioTeatro”, “I visionari” e “Tracce di Cinema” a Radio Onda Rossa e oggi autore del blog “Tuttascena” che si occupa di teatro, cinema, libri.

Godano ha parlato del suo percorso artistico, di come è nato e come si è evoluto, di come l’indie degli anni ’90 ha trovato i natali in gruppi come i Marlene Kuntz e gli Afterhours, fortemente influenzati da quello inglese e soprattutto americano di quel periodo, di come quell’indie, il loro indie, non ha nulla a che vedere musicalmente con quello che oggi chiamiamo indie. Godano ha sottolineato che questo può essere il frutto dei cambiamenti di un’intera generazione in cui internet, i social, il virtuale detengono una forma di monopolio:

“Noi, posso dire, avevamo una purezza di intenti, il nostro unico obiettivo erano i risultati del suono, questo era il nostro imprinting, quello che ci faceva andare avanti. Internet ha spostato un po’ tutto e oggi più che purezza vedo una sorta di strategia dietro il prodotto musicale, quasi più costruita a tavolino. Questo nuovo approccio richiama anche noi ad una riflessione perché è un fenomeno che non possiamo non provare ad interpretare. Penso che sia veramente una questione generazionale, un ciclo della storia che periodicamente si verifica, così è stato anche in passato con altre forme. E così, oggi, non c’è più il rock.”

Raponi ha così colto l’occasione per investigare sul ruolo del digitale anche rispetto al peso che può avere un live:

“I musicisti, i fotografi, i videomaker sono stati i primi ad essere danneggiati dalla rete, anche per una questione di remunerazione: oggi produci un disco e sai già che ci saranno migliaia di persone che ne avranno accesso gratuitamente, scaricandolo dalla rete. E questo rappresenta chiaramente un problema, che si aggiunge anche alla difficoltà in Italia di fare musica dal vivo: i locali sono sempre quelli, i gruppi aumentano ed è difficile trovare spazio per tutti. La musica è indubbiamente in difficoltà”.

E le parole passano alla musica con “Lieve”, ricordando anche la cover fatta da Giovanni Lindo Ferretti con i C.S.I., un importante riconoscimento per i Marlene Kuntz. Raponi dalla musica torna alle parole, nel loro indissolubile intreccio, passando ad analizzare “Nuotando nell’aria”, come è nata e cosa rappresenta.

“E’ stato per un amore, una cosa post-adolescenziale che come tale è stata raccontata, nelle sue sensazioni genuine. Il filtro della maturità rende meno romantiche certe cose che invece dovrebbero rimanere tali. Quel pezzo forse lo scrissi che ancora vivevo con i miei genitori, facevo Economia e Commercio all’Università – scelta assolutamente lontana da me – e la mia stanza aveva pareti azzurre e davanti, visto che mia madre era molto religiosa, un paravento con la faccia di un Cristo. Da qui “Nuotando nell’aria”, un’occasione istintiva che ha fatto scaturire la mia intuizione. Io sono molto attratto dal processo creativo, per me è l’aspetto più interiore e pertinente di un artista e della sua opera.”

Ma del processo creativo che sta guidando il nuovo album, invece, non fa trapelare niente.

L’ultima chiacchierata, prima di lasciare all’ultima sessione di voce e chitarra, è un vero e proprio racconto dell’ispirazione che lo ha guidato per scrivere “Osja, amore mio”:

Mandel’stam era un poeta russo, la cui unica colpa era quella di non essere riuscito a piegarsi alla dittatura di Stalin e alla sua idea di cultura, per questo fu spedito in un gulag a morire lentamente. La moglie decise, però, di imparare a memoria tutta l’opera poetica del marito, per salvare il suo patrimonio artistico. Questa per me è una forma di amore puro. E da qui è nata questa canzone, per celebrare questo gesto d’amore.”

A chiudere la serata “Naufragio”, “L’Artista” e “Nuotando nell’aria”.

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