A cura di Fiorella Todisco
Quando atterrai a Copenhagen l’ombra del tramonto si era appena calata sulla città.
Avevamo appuntamento agli arrivi dell’aeroporto ed un’insolita ansia iniziava a fare capolino nel mio stomaco, rovistando emozioni come se fossero pagine di un libro.
Imposi a me stessa di gestire il disagio, recuperai la valigia e mi diressi verso l’uscita, rollando una sigaretta con il mio fedele antistress, il pueblo.
Lo vidi aspettarmi oltre i vetri, appoggiato ad una macchina grigia metallizzata. Si accarezzava la barba, guardando verso la mia direzione, in attesa che uscissi.
“E se non mi riconosce?” pensai, mentre annaspavo in un mare di melodramma. Mi ricordai di essere stata così tesa solo in un’altra occasione: mentre aspettavo di fare l’esame di procedura penale, uno dei più difficili alla facoltà di giurisprudenza, quello che se lo passi alla prima botta vai al duomo a ringraziare San Gennaro per il miracolo, accendendo un numero di ceri variabile dai tre ai sette, in base al voto preso. Io, superato senza bocciatura con un ricco 25, ne avevo accesi otto e dell’ottavo se ne era occupata mia nonna per omaggiare ulteriormente il Santo della grazia donataci.
Prima di partire per Copenaghen avevo chiesto alla nonna di fare una preghiera a Santa Chiara, protettrice delle cause perse, e lei mi aveva risposto che lo avrebbe fatto con tutto l’amore che aveva, stringendomi le mani con fare sicuro, lo stesso fare di chi la sa lunga in materia di richieste ai Santi.
“Ma non te la vuoi portare una mozzarella da qua? Chiedo a Michele di farci fare la confezione da viaggio!” aveva insistito, fino all’ultimo secondo prima che partissi, nonostante le avessi risposto di no durante tutta la settimana precedente.
Solo chi vive a Napoli può capire il significato di portare la mozzarella all’estero: é una sorta di marchio di appartenenza, di garanzia di qualità della persona, di strumento per affermare in lande sconosciute la ricchezza di risorse del nostro territorio, prima fra tutte la cara vecchia città di Mondragone, foriera di criminalità e monnezza, ma madre indiscussa della vera mozzarella di bufala, che non ha nessun altro al mondo se non noi.
Uscii dall’aeroporto, accesi la mia agognata sigaretta e respirai l’aria danese.
Lo guardai aspettarmi, nascosta dietro i miei Ray-Ban tondi dalle lenti azzurre che donavano al mondo che mi circondava un particolarissimo colore indaco.
Scacciai il disagio e avanzai con coraggio verso di lui, il quale aveva capito perfettamente che ero io e aveva iniziato a camminare verso di me a sua volta.
Era bellissimo.
Accorciammo le distanze fino a ritrovarci a pochi centimetri di distanza. Era altissimo, io gli arrivavo a mala pena al petto.
“Ciao” mi disse “non mi sembra vero” aggiunse, accarezzandomi una guancia.
Quel momento fu una scossa elettrica lungo la schiena. Avevo immaginato le sue mani sul mio corpo per mesi.
“Non sembra vero neanche a me.. Tutt’ appost’??” chiesi, ricordando che apprezzasse le colorate espressioni napoletane che, fino a quel momento, gli avevo potuto far sentire solo tramite note audio su WhatsApp.
“Sei bella, come ti immaginavo, forse un po’ più bassa!!” rispose, beffardo, accarezzandomi nuovamente il viso con il dorso della mano.
Non ero esattamente presente a me stessa, presa da loop interiori dettati dal critico momento emotivo.
“Tu invece sei più alto di come credevo.. Ed hai i capelli molto più gonfi!” gli dissi, affondando le mie manine affusolate nei suoi ricci. Avevo desiderato farlo sin da subito, sin dalla prima foto che mi aveva mandato.
“Dai, fatti abbracciare” sussurrai, salendo sulle punte dei piedi, per cingerlo intorno al collo con le braccia.
“Ma certo.. Che bel profumo che hai” rispose lui, stringendomi con un vigore tale da infondermi una strana sensazione di protezione.
Rimanemmo abbracciati per qualche secondo, sorridendo entrambi. Sentivo le sue labbra schiudersi, sfiorandomi il collo dolcemente.
In quel momento di timida unione che ci stava consentendo di prendere, finalmente, confidenza l’uno con l’altro, pensai che la vita é piena di sorprese e che, probabilmente, vale la pena di partire anche quando crediamo di essere già arrivati a destinazione.
di +o- POP