La verità, vi prego, sull’amore – il nuovo album di Marika Hackman

© Joost Vandebrug

 

A cura di Serena Coletti

 

Marika Hackman

“Any Human Friend”
(Sub Pop Records)

Tracklist

  1. wanderlust
  2. the one
  3. all night
  4. blow 
  5. i’m not where you are
  6. send my love
  7. hand solo
  8. conventional ride
  9. come undone
  10. hold on
  11. any human friend 

 

“Any Human Friend” è un disco sulla fine di una storia di amore. O, meglio ancora, è un disco su ciò che segue la fine di una storia d’amore. Questo è chiaro da subito, quando nei primissimi versi di “wanderlust” Marika Hackman ci fa entrare nella sua stanza, che è però ormai solo una “silent room”, e ci parla del dolore che questo silenzio porta con sé. Lei stessa ha dichiarato di aver scritto molti dei pezzi presenti nell’album sul letto che condivideva con la sua compagna Amber Bain, musicalmente nota come “The Japanese House”. Se questo fosse il disco sulla fine di una relazione probabilmente la recensione sarebbe finita qui, ma la cantante originaria dell’Hampshire decide di fare qualcosa di più interessante: prende in mano le redini, passa da una melodia malinconica al pezzo, per sua ammissione, più pop che abbia mai scritto (“the one”), e inizia a parlarci di tutto quello che segue. 

Così, in un disco che poteva semplicemente diventare intriso di tristezza e solitudine entra invece prepotentemente il sesso. La canzone più erotica è sicuramente “all night”, l’ultimo singolo rilasciato prima dell’uscita dell’album, in cui con grande personalità Marika decide di parlare di un rapporto tra due donne nella maniera più onesta possibile. Le poche canzoni che hanno affrontato questo tema sono quasi tutte scritte da uomini, e quindi aggrappate a banali cliché, “all night” sgretola questi cliché uno ad uno, riportando al centro i corpi: non dei corpi perfetti da rivista patinata, ma dei corpi veri, come quello che vediamo sulla copertina del disco, corpi viventi che parlano.

“We never have to talk, you just take your tongue

And press it up against my mind”  

La cantante ha raccontato il turbamento dei suoi genitori nell’ascoltare questo brano, eppure, come lei stessa evidenzia, il testo non manca mai di rispetto alla persona a cui si rivolge. Questa è la dimostrazione di quanto sia utile e al tempo stesso per nulla scontato il lavoro che questa artista ha scelto di intraprendere, lavoro che continua ad abbattere barriere in “hand solo”, canzone che rivela la capacità della Hackman di affrontare una rottura senza risultare pesante, anzi lasciando affiorare una sorprendente auto-ironia. Una volta rimasta sola, tutto ciò che può fare è appunto darsi piacere da sola. Così “hand solo” è un’apologia della masturbazione, in cui troviamo il verso preferito della cantante, che è probabilmente il più significativo per sintetizzare il suo atteggiamento in tutto l’album:

“I gave it all, but under patriarchal law

I’m gonna die a virgin”

È grazie a boccate di ossigeno come questa che riusciamo ad affrontare anche le coltellate inferte da canzoni come “send my love”, nata da un momento di sofferenza, in cui la cantante decide di riversare la sua rabbia nei confronti di chi la ha lasciata, a colpi di:

“If you loved me tonight, you’d get the fuck out my sight

‘Cause it’s never gonna be we can start again

Strangers in my bed”

Questo brano diventa particolarmente interessante quando si scopre che Marika Hackman lo ha scritto immaginando di avere se stessa come ex, e, infine, diventa quasi preoccupante quando si vede che la sua vera ex, Amber Bain, lo ha condiviso su Instagram definendolo il suo pezzo preferito all’interno dell’album. Ma questi sono problemi che, per fortuna, non ci riguardano e che lasciamo volentieri alla nostra cantante. 

La chiusura è affidata alla title track, che si prende qualche libertà in più dal punto di vista stilistico e ci lascia con l’idea che la cantante ha della natura umana:

“’Cause everybody wants to be made of stone

We’re golden”

“Any Human Friend” è in definitiva questo, un disco onesto sulla natura umana. L’autrice decide di spogliarsi, sia metaforicamente che praticamente, nella copertina ispirata a Rineke Dijkstra e alla sua serie di fotografie sulle madri, e di offrire tutta la sua umanità al pubblico, mostrandone ombre, luci, e tutti gli abbaglianti riflessi che queste producono su un metallo come l’oro. Lo sfondo a tutto ciò è senza dubbio il territorio più pop che Hackman, emersa come promessa del folk britannico, abbia mai calpestato, ma rimane un pop estremamente curato, di alta qualità, come del resto garantisce l’etichetta che ha accompagnato Marika in questo lavoro, la Sub Pop, e il co-produttore David Wrench (Frank Ocean, The xx) che le ha permesso di sperimentare, abbracciando per la prima volta anche l’elettronica, senza perdere se stessa. 

Viene in mente il Battisti che dichiarava “Coesistono, nella mia musica, il desiderio di fare della musica molto bella e di fare della musica molto popolare”. La cantante stessa ha infatti spiegato “No musician is writing music for themselves to listen to. It’s a dialogue, a conversation, a connection. I’m creating something for people to react to”. Io penso che ci sia riuscita. 

 

 

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