Addio a Ezio Vendrame, poeta del rettangolo verde.

A cura di Michele Stalteri

 

Il 4 Aprile, in piena quarantena per questo dannato Coronavirus, ci ha lasciato Ezio Vendrame.

A modo suo ha voluto, per l’ultima volta, protestare contro la costrizione delle regole e affermare la sua esigenza di libertà.

Che siate amanti di musica o di calcio, a molti di voi questo nome non dirà molto.

Eppure, è stato uno dei personaggi più eccentrici del mondo del pallone degli anni ’60 e ’70.

Nato a Casarsa della Delizia (Pordenone), 21 novembre 1947, da una famiglia che non aveva abbastanza soldi per mantenerlo, è cresciuto in un orfanotrofio.

Proprio lì Ezio ha iniziato a dare i primi calci al pallone e a sviluppare insofferenza agli schemi e alla disciplina.

Ezio è stato uno dei tanti che, se avesse avuto la testa, sarebbe diventato qualcuno di cui avremmo sentito parlare per molto tempo.

Invece la sua visione del mondo era troppo ampia per accontentarsi di un rettangolo d’erba e per pensare ad allenarsi con costanza, seguire una corretta alimentazione e ad andare a letto presto.

Si narrano diverse vicende divertenti legate al numero 10 friulano e, non essendoci filmati che possano testimoniarle, queste storie assumono un carattere ancor più leggendario. 

Per citarne una, stagione 1976-77, Vendrame al Padova, in serie C. Mancavano due giornate alla fine del campionato e il Padova ospitava la Cremonese.  Alle due squadre bastava un pareggio e, prima dell’inizio dell’incontro, le due dirigenze si accordarono per il pari.

La partita scorreva lenta e senza emozioni e i tifosi iniziavano a fischiare.

Allora Ezio decise di non arrendersi alla logica – ahinoi così Italiana – del biscotto e del risultato pur che sia,  anche a costo di danneggiare lo spettacolo (per contrappasso ci lecchiamo ancora le ferite per quel maledetto Svezia – Danimarca 2-2 del 2004) e iniziò a dribblare uno dopo l’altro, come birilli, tutti i suoi compagni di squadra arrivando davanti al proprio portiere con la palla tra i piedi.

A quel punto, nell’incredulità generale, finse di calciare, guardò negli occhi il portiere e fece finta di battere a rete lasciando con il fiato sospeso tutti i suoi tifosi, per poi riprendere il gioco come se nulla fosse accaduto. Quando svelò le proprie carte e riprese il gioco verso la porta avversaria, tutti i suoi tifosi tirarono un sospiro di sollievo.

Tutti tranne uno che, la leggenda vuole, sia morto di crepacuore in tribuna per quello che stava accadendo.

Tutto questo per regalare un’emozione e vivacizzare il pomeriggio, come lui stesso dichiarò qualche tempo dopo nella sua autobiografia “se mi mandi in tribuna godo”.

Questo era Ezio.

Un uomo prima di un calciatore.

Alcuni lo definiscono un George Best di casa nostra.

Ezio però, a differenza del campione nordirlandese, non ha avuto grande fortuna sportiva.

Forse gli mancava quella dose di ambizione a raggiungere trofei individuali o di squadra perché, da buon anarchico, li ha sempre considerati solo dei pezzi di metallo buoni per raccogliere la polvere.

Con Best aveva in comune l’amore per le belle donne e per il bicchiere.

Ma il talento friulano aveva anche qualcosa in più.

L’amore per l’arte, la poesia, la musica e la forte amicizia con Piero Ciampi.

“Amare significa capire le sofferenze di chi ti sta vicino” era la definizione che lo stesso Ciampi diede al rapporto.

E Vendrame amava profondamente il cantautore livornese tanto che, scorgendolo in tribuna durante un incontro, arresta l’azione e ferma la palla con le mani, interrompendo, di fatto, la partita. 

Si rivolge poi verso la tribuna per salutare Piero Ciampi e per rendergli omaggio perché “Il gioco del calcio diventa una cosa volgarissima di fronte ad un poeta come Piero.”

In una sorta di testamento musicale Ezio (con Filippo Andreani) ci ha lasciato in eredità il suo modo di vedere la vita e il calcio. 

Il primo non esiste.

Il primo tempo non esiste.

Non esiste una vita fatta di passaggi corti e fasi di studio.

La vita di Ezio è stata tutto un secondo tempo, magari passato a combattere in 10 contro 11.

Una vita fatta di grandi rincorse, squadre lunghe e contropiedi.

Di fallacci duri ma onesti, di grandi esultanze e di grandi delusioni.

Forse Ezio ha vissuto l’amore vero per il calcio.

Quello che ognuno di noi provava quando andava al campetto da bambino ed era tutto un unico secondo tempo.

O quello giocato per strada, quando i pali erano gli zaini e il fischio finale era dato dalla vicina incazzata che ti bucava il pallone per averle sporcato le lenzuola.

Quando si partiva a 100 all’ora dal primo secondo e si sputavano sudore e felicità fino alla fine di quelle 2, 3 o 4 ore di un interminabile secondo tempo.

E anche se la nostra vita da adulti è un interminabile andare, camminare, lavorare, forse, anche nelle piccole cose di tutti i giorni possiamo provare a mettere un po’ di Ezio e un po’ della sua indisciplinata poesia.

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