A cura di Carmine Errico
Ho avuto la reale percezione di quel che rappresenta Fela per gli africani, solo quando ero in tour con suo figlio Seun. Alla fine di ogni concerto, il backstage era pieno di nigeriani, venuti a incontrarlo per rendergli omaggio. Tra loro, al Monk di Roma, un uomo sulla quarantina, mi fissò e mi disse:
“Seun è un mito ma suo padre ancor di più, ha fatto tanto per noi”.
E sembrava parlasse di quel nonno su cui si è retta un’intera famiglia o di quel padre che si prende cura dei suoi figli per destinarli a un futuro migliore. Quello sguardo penetrante fu convincente tanto quanto le sue parole che divennero la chiave di volta per trasformare, nel mio immaginario, la vita di Fela da leggenda a realtà. A 82 anni dalla sua nascita, la Nigeria lo piange più che mai. Da giorni il popolo marcia nella capitale Abuja, per protestare contro la brutalità della polizia, non senza subire conseguenze. Una mobilitazione partita dal web con l’hashtag #EndSARSnow e trasferitasi nelle strade dopo la diffusione di un video che mostra alcuni agenti della Sars (Special Anti-Robbery Squad), uccidere a sangue freddo un uomo a Ughelli, nello stato del Delta Meridionale. Le manifestazioni rimbalzano con prepotenza, in tutta la Nigeria, a New York e Londra.
Fela aveva più volte testato su di se la pericolosità della polizia e dell’esercito nigeriano. Furono gli stessi che nel 1974 compirono la prima retata a Kalakuta, la comune fondata dal musicista nel 1970 e proclamata dallo stesso indipendente dal governo. Tornarono a fargli visita un anno dopo. Erano in mille e distrussero tutto, appiccando fuoco allo studio di registrazione da cui era venuto fuori, poco prima, “Zombie”, disco in cui Fela non aveva risparmiato critiche ai militari nigeriani, paragonandoli a dei mostri addestrati per sparare a comando. Questo scaturì le ire del governo. Fu proprio in quella occasione che perse la vita sua madre (insegnante e prima donna nigeriana ad avere la patente di guida) mentre lui fu ridotto in fin di vita a seguito di un duro pestaggio.
“Fear Not For A Man”, pubblicato nel 1977, può essere considerata una risposta a questo duro attacco. Il titolo prende spunto da un detto del rivoluzionario e politico ghanese, nonché figura di spicco della decolonizzazione e del panafricanismo, Kwame Nkrumah, “The secret of life is to have no fear” (Fu il primo presidente del Ghana indipendente e il primo leader dell’Africa nera a far ottenere al suo paese l’autogoverno). Il senso del brano lo si comprende già dalla copertina che ritrae il volto di Fela, sanguinante, che – nonostante tutto – continua a suonare il sax. Il brano è stato campionato nelle prime due canzoni che aprono “Black on Both Sides”, album di Mos Def pubblicato nel 1999: “Fear for a Man” e “Hip Hop”. Non è un caso che il rapper ci abbia spalancato le porte di questo capolavoro, con due canzoni che fan riferimento a Fela: l’album guarda all’Africa come Madre Patria della comunità nera americana ponendo i suoi ascoltatori dinanzi al paradosso dell’appropriazione culturale dell’hip hop da parte dei bianchi. Mos Def ha più volte ricordato Fela. Su Youtube c’è la cover del brano “Water no get enemy” ricantata con l’Hypnotic Brass Ensemble (e contenuta in versione strumentale nell’ep del gruppo jazz, “The Heritage” del 2010). E non è un caso se Seun Kuti accompagnò Mos Def, in occasione del suo concerto del 2015 al Lagos Jazz Series, a visitare l’Afrika Shrine a Ikeja, centro culturale ricostruito da Femi Kuti nel 2000, e rinato dall’omonima venue che ospitò più volte Fela negli anni Settanta. Oggi in quello stesso luogo viene programmato il Felabration, evento che ogni anno, nel giorno dell’anniversario di nascita del musicista e attivista nigeriano (15 Ottobre), ospita alcuni tra i migliori artisti nazionali e internazionali che si esibiscono in sua memoria. Quest’anno per la prima volta, è stato programmato online a causa delle restrizioni anti-covid.
“Penso che la musica di mio padre – mi ha detto Seun – abbia avuto il potere di influenzare diversi generi musicali, andando al di là della scena africana. Artisti rock, hip hop, alcuni tra i più grandi musicisti della storia, si solo lasciati ispirare da Fela. Questo è positivo non solo per la diffusione di un genere musicale, ma di tutta la cultura africana”.
Nel mondo dell’hip hop sono tanti i collegamenti che ci riconducono a Fela Kuti. Pensiamo al disco “Fela Soul” (2011) prodotto da Amerigo Gazaway che comprende mash-up in cui le rime dei De La Soul vengono adattate ai beat ricostruiti sulle sonorità afrobeat del nigeriano. Oppure ricordiamo le sue raccolte curate da artisti come Questlove e Erykah Badu. Degno di nota è anche il videoclip di “This is America” in cui Childish Gambino si è lasciato ispirare dall’estetica di Fela.
Tanti sono gli artisti che hanno ripreso i suo samples. Tra loro, J Cole: utilizzò il campionamento di “Gentleman” brano del 1973 che invitava gli africani a non sottomettersi all’immaginario culturale europeo, un’idea rilanciata anche dal suo amico Thomas Sankara. “In Africa fa caldo, ma loro si vestono come gli europei, e dentro le loro camicie, le loro giacche, le loro cravatte, i loro calzini, sudano, sudano come ossessi, e puzzano, puzzano come la merda. Io non sono per niente un gentleman, sono un africano autentico”. In questa canzone Fela mise da parte la tromba e abbracciò il sax per sopperire alla mancanza di Igo Chico che abbandonò gli Africa 70 dove aver litigato col suo leader. J Cole rivitalizzò quell’energia per “Let Nas Down”, un omaggio al suo idolo Nas. La scintilla che innescò la scrittura del brano ha dell’incredibile: Nas giudicò negativamente “Work Out”, pezzo di J Cole pubblicato nel 2011 e lo fece con No ID, mentore e producer dell’allora esordiente collega che – quando lo venne a sapere – ci rimase così male da decidere di dedicare una canzone al suo rapper preferito, che apprezzò.
Lo stesso Nas ha campionato Fela Kuti in “Warrior Song” (in cui collabora con Alicia Keys). La canzone, contenuta nel disco “God’S Son” (2002), contiene un messaggio fortemente politico e volutamente riflette il carattere militante di Fela: Nas si fa portavoce dei diritti degli afroamericani, definendosi uomo del popolo. Il sample utilizzato è quello di “Na Poi”, brano del 1971 bannato in Nigeria a causa del testo dal forte contenuto sessuale. Quello stesso sound influenzò un altro grande musicista: George Clinton che rimescolò le carte accostando l’afrobeat al funk e alla disco. E lui stesso nel 1983 campionò “Follow Follow” di Fela (contenuta nel disco “Zombie”) per realizzare “Nubian Nut”, hit di grande successo inserita nell’album “You Shouldn’t Nut Bit Fish” (1983).
La rielaborazione del suono di Fela arriva fino ai giorni nostri mentre in tutto il mondo si fa largo un nuovo genere musicale: l’afrobeats. “Attenzione – rivendica Seun Kuti – a distinguerlo dall’afrobeat. L’afrobeat è quello che faceva mio padre e faccio io; l’afrobeats è il sound più pop e commerciale a cui non mi sento legato”. Tra i nomi più rappresentativi di questa nuova scena c’è senza dubbio Burna Boy. Suo nonno, Benson Idonije, è stato il primo manager di Fela Kuti e gli ha dedicato un libro pubblicato nel 2016, “Dis Fela Sef!: The Legend(S) Untold”. Una connessione tra passato e presente che guarda al futuro. In molti brani di Burna Boy sono state campionate canzoni di Fela. Sin dagli esordi, quando pubblicò il singolo “Ye” (“L.I.F.E”, 2013): in quell’occasione riprese il sample di “Sorrow Tears and Blood” (1977) e nel video ci sono chiari riferimenti a Fela e alle ballerine che accompagnavano i suoi concerti.
“Con la mia musica creo un cambiamento”.
Lo disse Fela e oggi siamo qui a dimostrare quanto questo sia assolutamente vero.
di +o- POP