[SoSample!] I brani Anti-Trump e quelli da cui sono tratti i samples, commentati da Amir Issaa

A cura di Carmine Errico


Immagina una ragazzina nera americana che si è svegliata la mattina e ha visto che non c’è più un biondo ossigenato come suo presidente; uno che diceva che la gente come lei non vuol far niente. Al suo posto, un nuovo presidente affiancato da Kamala Harris, una donna che assomiglia a sua madre“: il mondo ha tirato un sospiro di sollievo. Trump non è più presidente degli Stati Uniti e Amir Issaa – con la sua affermazione – inquadra bene il sentimento che molti americani e cittadini da ogni parte del pianeta, hanno provato appena è stata proclamata la vittoria di Biden. E’ il candidato più votato nella storia delle elezioni presidenziali: un risultato che fotografa la necessità di voltare pagina, dopo quattro anni in cui “il mondo – continua Amir – sembrava stesse andando in una brutta direzione“. E osserva: “Trump era diventato un esempio per tanti dittatori che si sentivano legittimati dai suoi modi di fare volgari e dalla sua politica razzista. Lo abbiamo visto in piccolo con Salvini che spesso lo citava come modello da seguire“.
A mobilitarsi contro l’oramai ex presidente a stelle e strisce c’è stato un esercito di rapper e cantanti, che, nel corso della sua presidenza, hanno usato la musica come mezzo di propaganda e colonna sonora di una situazione politico-sociale complicata.
Ho voluto inserire alcuni brani
Anti-Trump nella playlist di SoSample, come sempre associandola alle canzoni da cui ne sono tratti i campionamenti. E non a caso, ho chiesto ad Amir Issaa di accompagnarmi nell’ascolto delle canzoni.

Nei miei testi – ha detto – parlo spesso di diritti sociali legati alle seconde generazioni. Non ho problemi a espormi a livello politico: sono stato alla Camera dei Deputati, ho fatto una campagna nazionale per il riconoscimento dello ius soli che ha contribuito a raccogliere oltre 10mila firme; in un mio videoclip (Ius Music, ndr) c’è Khalid Chaouki, unico parlamentare marocchino in Italia: quando è uscito, la Lega ha fatto un gran casino. Quando George Floyd è stato ammazzato, ho pubblicato un freestyle e due giorni dopo mi ha scritto Davide Shorty e abbiamo fatto un brano insieme. Parlo di minoranze perché so quel che significa: mio padre era un immigrato, venuto in Italia da un altro Paese e ha dovuto subire quello che solo chi ha vissuto la sua stessa storia, sa. Mio nonno era fascista, era andato in guerra con Mussolini, e così mio padre è stato allontanato dalla famiglia di mia madre“.

Amir è uno di quei rapper che usa le liriche con consapevolezza: sa da dove viene e dove vuole arrivare. “Non mi sento parte della scena hip hop italiana ma di quella mondiale“. E su queste parole faccio partire “The Heart Part 4” di Kendrick Lamar. “Donald Trump è un idiota“, dice il rapper di Compton nella canzone. Attacca l’ex presidente americano, facendo nome e cognome. E non ha paura di prendere posizione. Contrariamente a quello che accade in Italia, dove i rapper mainstream sembrano aver perso interesse nei confronti della politica, quasi come se fosse una discriminante per la scalata alla popolarità. Politica e rap per me vanno di pari passo. Negli States, un rapper partecipa tranquillamente alla campagna elettorale di un candidato: è ‘cool’ perché viene visto come un artista che si mobilita per la comunità. Qui in Italia se fai lo stesso, sei uno sfigato“. “Ma qualcosa sta cambiando – rassicura – perché il rap sta tornando a essere le voci delle periferie. Vedi quello che sta accadendo a Milano“. E mi fa i nomi di due giovanissimi rapper: Neima Ezza e Sacky. Amir si reca spesso negli States dove, negli ultimi anni, ha tenuto dei tour nei college, incontrando gli studenti e esibendosi. “Quando vado lì vengo presentato come ‘rapper attivista’. Ai ragazzi ho dovuto spiegare che se fanno lo stesso in Italia, mi associano ai movimenti politici anni Settanta, alle manifestazioni violente: è un aggettivo che diventa anacronistico e a cui non si dà il giusto valore“. Faccio partire la seconda traccia. E’ quella da cui è tratto uno dei samples utilizzati per il brano di Kendrick Lamar: è la struggente ‘Poverty Paradise’ (‘Ghetto: Misfortune’s Wealth’, 1973) della soul band 24th Carat Black. In questa canzone, il paradiso diventa la metafora del benessere, della pancia piena, del cibo in tavola.
Chiedo quindi ad Amir quale pensa che sarà il ruolo della musica ora che il nemico Trump è stato sconfitto e se pensa che per gli States si stiano (ri)aprendo le porte del paradiso: “
Biden non sarà Martin Luther King ma constatare che la gente ha aperto gli occhi, riuscendo con difficoltà, a togliersi di mezzo Trump, lascia ben sperare. La vita è difficile ovunque e continuerà ad esserlo ma sono fiducioso. E la musica continuerà a rispecchiare la società così come ha sempre fatto negli States e non parlo solo dell’hip hop ma di tutti i generi musicali“. Non mi è difficile introdurre “We The People“, bellissimo brano di A Tribe Called Quest e dal titolo che è un vero e proprio slogan. Questa canzone ha segnato il ritorno del gruppo americano sulle scene, nel 2016, ed è stato il primo singolo estratto da “We Got It from Here… Thank You 4 Your Service“. All’interno c’è la collaborazione di Busta Rhymes, che con la tribe ha mosso i suoi primi passi: paragona Trump all’Agente Arancione (defoliante che fu ampiamente irrorato su tutto il Vietnam del Sud, tra il 1961 e il 1971, durante la Guerra) e lo critica aspramente per la sua politica razzista nei confronti del mondo musulmano di cui Q-Tip e Ali Shaheed Muhammad.

La presa di posizione da parte degli artisti – afferma Amir – ha contribuito alla sconfitta di Trump. La maggior parte della comunità hip hop è islamica e c’è un forte contatto con la spiritualità e la religione. Quando è stato emanato il travel ban, che non permetteva ai cittadini di alcuni Paesi islamici di andare negli States, sono state accentuate le differenze sociali“.

E anche il mondo dell’hip hop si è rivoltato, chiamando a raccolta i propri fan. Pare che anche un altro fattore abbia inciso sulle elezioni americane e per alcuni in maniera decisiva: la gestione del covid da parte dell’amministrazione Trump. Giro questa considerazione ad Amir, riprendendo una dichiarazione di Ozzy Osbourne nei confronti dell’ex presidente, commentando l’emergenza sanitaria: “Si sta comportando come uno scemo“. E nel mentre faccio partire “Behind The Wall Of Sleep” dei Black Sabbath, brano campionato da ATCQ per quello precedentemente ascoltato. Trump è un fan della metal band inglese. Lo ha detto più volte. Ma questo non gli è bastato a evitarsi le critiche da parte del loro cantante. “Trump è ricco e ha cercato di salvaguardare la cerchia di persone vicine a lui, prediligendo la tutela economica a quella sanitaria. Il fatto è che gli States hanno una società molto stratificata e le elezioni ci hanno dimostrato che, nonostante la vittoria di Biden, in molti hanno votato per Trump e per questo gli assomigliano in qualche modo. In Italia il limite tra ricchezza e povertà non è così ampio: lì c’è chi muore di fame e chi, invece, ha gli ascensori d’oro dentro casa; c’è chi ha l’assicurazione sanitaria e chi no“. E aggiunge: “E’ chiaro che Trump ha gestito la situazione da incosciente. Ha dapprima parlato di complotto internazionale, poi ha detto di iniettarsi la clorotina. E così c’è chi l’ha seguito e alcuni sono morti o c’è chi è andato in giro senza mascherina. Il fatto è che se sei il leader di una nazione come gli Stati Uniti, da te ci si aspetta più responsabilità. Dovresti essere un esempio“.
Amir esamina la società americana ricordando alcuni episodi che gli son rimasti impressi nella sua mente tra cui aver visitato la casa di
Kool Herc sulla Sedgwick Avenue (“in quella strada ci sono grattacieli in cui, per ogni piano, c’è una gang che gestisce traffici differenti“) o esser andato in un college del Bronx “dove c’erano ragazze che andavano a scuola con due o tre figli” e in cui “la percentuale di abbandono è dell’80% e solo la restante parte si laurea” e ancora di quando si è recato alla Temple University di Philadelphia, in un quartiere per benestanti ma vicino ad un altro povero, in cui “c’erano incursioni di ladri che svaligiavano il college“. E suggerisce un libro. E’ ‘Stand4What‘ di Giuseppe Pipitone aka U-Net: “Sono stato a New York con lui e mi ha insegnato tanto, consiglio la lettura dei suoi libri e in particolare dell’ultimo perché offre degli ottimi spunti di riflessione sul rapporto tra musica e politica negli States“. Proseguendo sullo stesso tema, ascoltiamo l’ultimo brano anti-Trump della selezione, ‘FDT‘ di YG & Nipsey Hussle. Un verso recita: “I like white folks, but I don’t like you”. Si riferisce a Trump. Ma un po’, indirettamente, sottolinea una divisione tra bianchi e neri. “Più che tra neri e bianchi – afferma Amir – il razzismo negli States è tra ricchi e poveri. Non parlerei di neri ma di minoranze in generale. Qui YG vuol dire che non è che non gli piacciono i bianchi ma quelli che si comportano come Trump. Dire che lì non ci sia il razzismo è da folli ma la convivenza è più palese dell’Italia. E’ chiaro che ci sono zone e zone: una cosa è New York, l’altra è l’Alabama. Ma se vai in una metropolitana della Grande Mela e chiedi a qualcuno da dove provenga, lui ti risponderà con il quartiere: non ti dirà di certo le sue origini. Si sentono tutti americani“. Giungiamo al termine della nostra chiacchierata, ascoltando l’ultimo pezzo. E’ “Something to Ride To (Fonky Expedition)” delle Conscious Daughters. E non potevamo che soffermarci su un altro aspetto negativo che ha segnato la presidenza di Trump. Quello del sessismo. Tante le cantanti donne, e non solo nel mondo dell’hip hop, che hanno alzato la voce contro l’ex presidente. “Tra le conscious rapper attuali mi piace molto Rapsody: è l’esempio di una donna che rappa con i contenuti. Ma anche altre più commerciali come Cardi B, non hanno risparmiato critiche a Trump“. Di certo sono tra quelle che, insieme a tante altre donne hanno voluto dare un taglio netto con gli ultimi quattro anni. Il risultato? Conclude Amir:

“Magari tra cinquant’anni sui libri di storia si leggerà che le elezioni del 2020 sono quelle in cui c’è stata la prima vice-presidente americana donna”. 

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