La Fabbrica di plastica: l’attentato anarchico di Gianluca Grignani alla musica italiana

 

di Antonio Bastanza

È stata una rivoluzione mancata, un colpo di stato contro il mainstream che, a metà degli anni 90 come ora, costruiva icone pop belline e innocue, canzoni su travagli emotivi post adolescenziali scritte come temini delle superiori.
D’altronde all’epoca Grignani era un post adolescente, bellino e innocuo (ah come inganna la gioventù…), e il suo primo disco un insieme di canzoni scritte ai tempi del liceo sapientemente arrangiate e prodotte da Massimo Luca.

Un prodotto perfetto per il pubblico dell’epoca: era il bello e tormentato perfetto per le ragazzine e l’amico che capiva i tuoi tormenti e parlava al tuo cuore sanguinante e deluso per i maschietti. Un amore trasversale per un mix perfetto, due parti di Vasco, una di Ligabue, uno spruzzo di echi di mogolbattisti, un vincente assoluto che non poteva che stare sul cazzo a chi, come me, si sentiva nulla più che un perdidor.
Successo con La mia storia tra le dita, Sanremo, successo con Destinazione paradiso, Falco a metà e praticamente tutte le altre canzoni del suo primo disco.
Successo, successo, successo: un nuovo, splendido ingranaggio nel meccanismo perfetto dello showbusinnes
Era il 1995, l’anno di What’s the story morning glory, di Mellon Collie, di To bring to my love, di Lungo I bordi, di Germi, di Ambra e T’appartengo, di Certe Notti, Massimo di Cataldo e Nek, due che ai tempi contendevano una buona fetta dello stesso pubblico al buon Grignani.
Ma soprattutto, per quel che riguarda questa Storia, era l’anno di The Bends dei Radiohead e della raccolta definitiva dei Beatles, Anthology vol.1.


Cambio rotta cambio stile, scopro l’anno bisestile


L’1.9.9.6. attende il bel Gianluca alla conferma, con un disco che ricalchi le orme del precedente e che confermi Grignani come la next big thing della Musica Leggera italiana. Non c’è internet a montare l’hype per il disco della conferma e nemmeno a diffondere notizie e indiscrezioni sul nuovo lavoro.
In Polygram si fregano le mani per la nuova gallina dalle uova d’oro da 2 milioni di dischi (non di streaming gratuiti, visualizzazioni, interazioni…di dischi venduti) almeno fino a quando la notizia della rottura del sodalizio con Massimo Luca, la scelta di collaborare con Greg Walsh e di registrare agli Abbey Road come segnale della nuova direzione musicale intrapresa e un nuovo look, in cui la lunga chioma è sostituita da una zazzera indisciplinata e lo sguardo da bravo ragazzo da una luce inquietante negli occhi, non sollevano più di qualche qualche dubbio sul disco in arrivo.

Il primo ascolto per i dirigenti della casa discografica sarà stato probabilmente qualcosa di simile a un pugno ben assestato al fegato: la Fabbrica di Plastica è un attentato anarchico all’establishment musicale, agli schemi imbolsiti della musica leggera italiana, al pippobaudismo, al giannoboncompagnismo e alla logica dell’opportunismo artistico.
Pur profondamente legati alla melodia, i brani sono influenzati in maniera innegabile dall’ascolto di un certo pop britannico dell’epoca, diciamo da roba proveniente dalla direttrice Oxfordshire – Merseyside per intenderci, ricco di chitarre oblique e taglienti che nulla, ma proprio nulla, toglievano ad armonie del Battisti post Mogol.
Era il corto circuito che non si aspettavano, pensavano di aver tra le mani un giovane talento perfettamente conformato al sistema e si trovarono davanti a qualcuno pronto a destabilizzare quel sistema artistico così irreale da sembrare una fabbrica di plastica. Grignani era diventato Alex DeLarge, era diventato Guy Fawkes, era diventato il Joker.
Scelsero di far finta di nulla, di ignorarne l’uscita annullandone di fatto la promozione finendo col non preparare il pubblico a una svolta così “estrema” , e ci riuscirono perfettamente: il disco vendette meno di un decimo del precedente.

L’uscita de La Fabbrica di plastica fu destabilizzante per i fan di Grignani almeno quanto lo fu per chi lo detestava, come me che ricordo benissimo quel che dissi dopo aver visto nel maggio 1996 per la prima volta il video su Videomusic: Cazzo!
Fu una epifania, dettata dalla canzone ma anche dalla sorpresa di ascoltare qualcosa del genere da quel cantantucolo da Sanremo & Domenica In che era il Grignani del 1995.
Una sorpresa, una rivoluzione, un attentato, un colpo di stato musicale in piena regola che durò il tempo di due dischi.
Col successivo e non meno obliquo Campi di Popcorn Grignani affossò quasi completamente la sua carriera mainstream, vendendo un pugno di dischi e rendendosi protagonista di quegli eccessi sul palco che ne caratterizzeranno la carriera di qui in avanti.
Il resto è storia: una manciata di dischi, alcuni di buon successo altri meno, perennemente legati al cliché del rocker sanguigno e maledetto che l’ei fu Joker ha deciso di interpretare e tanti problemi personali legati alla dipendenza da alcool e droga.
La Fabbrica di plastica fu una meteora che scambiammo per stella cometa, un episodio che avrebbe potuto segnare una svolta e che si limitò a lasciare una traccia anche se ben definita e netta, fu il virus neutralizzato dagli anticorpi non già del sistema, ma di un pubblico chiuso e arroccato nel consueto, maldisposto alle novità.
Fu la rivoluzione mancata, un golpe fallito, fu un attentato anarchico e forse l’epitaffio di un ragazzo che stava diventando un uomo suo malgrado.


Ho provato ad essere come tu mi vuoi
Tanto che sai in fondo cambierei
Ma son fatto troppo, troppo a modo mio
Prova ad esser tu quel che non sei!

 

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