[Recensione] Il disinteresse dell’uomo verso il proprio pianeta: Karma Clima dei Marlene Kuntz

MARLENE KUNTZ

Karma Clima

Ala Bianca (distrib. WARNER)

 

A cura di Renata Rossi

 

TRACKLIST

La fuga
Tutto tace
Lacrima
Bastasse
Laica preghiera
Acqua e fuoco
Scusami
Vita su Marte
L’aria era l’anima

 

I Marlene Kuntz sono tornati.

Esce oggi, 30 settembre, il loro nuovo album, prodotto da Takedo Gohara, Karma Clima.
Partiamo da qui, dal titolo che come un manifesto definisce gli intenti e indica la direzione verso cui muovono i nuovi brani.
Cos’è il Karma? Cosa c’entra il clima con una rock band?

Analizziamo la seconda parola: CLIMA

I Marlene sono anni ormai che hanno a cuore il clima, basti pensare ad alcuni brani scritti dalla band e all’attenzione che da sempre il Godano poeta rivolge ai  paesaggi e alla natura.
Tuttavia, mai prima di adesso, la band aveva preso così a cuore il problema dell’ambiente arrivando a dedicare proprio alla lotta al cambiamento climatico l’intero impianto di un loro lavoro.
Si, Karma Clima è, a tutti gli effetti, un concept album.

KARMA

Oggi è diventata un termine alla moda, usato quasi sempre a sproposito come ad indicare una sorta di vendetta ad opera del cosmo o di un qualche Dio.
Ma non è così: il karma è ciò che si produce in base a ciò che si fa, non è magia né fortuna, ma una reazione causa effetto che pone l’uomo al centro, unico responsabile delle proprie azioni.
Karma Clima analizza il disinteresse dell’essere umano verso il proprio pianeta. Chi si oppone a questo modo di vivere si sente solo, inerme: i potenti della terra pensano soltanto ad arricchirsi, con politiche controverse e miopi che stanno portando il mondo verso la distruzione.

Il nome dell’album dei Marlene, ricorda anche il titolo di un’altra canzone, Karma Police, probabilmente il brano più conosciuto di Ok Computer, album dei Radiohead, pietra miliare della discografia rock anni ’90. Un album che vede un cambiamento nella band all’apice del successo in cui il loro suono era caratterizzato da chitarre scalene. Stavolta le chitarre vengono messe da parte ponendo al centro della musica l’elettronica e i sintetizzatori.
Anche i Marlene nel nuovo lavoro hanno scelto con risolutezza un cambio di direzione: sono riusciti a creare un suono che unisce il vecchio al nuovo, dilatato, vibrante, dolente, che vede come protagonista l’utilizzo di synth, l’elettronica, e giunge a creare atmosfere altre, sconfinate, immaginifiche.

Per entrare nel mood giusto, favorire l’ispirazione, la creatività, la percezione a contatto stretto con la natura, nel mese di maggio i Marlene Kuntz hanno creato una serie di eventi unici, in collaborazione con territori che che hanno definito la loro identità attraverso la valorizzazione delle proprie radici. A contatto coi luoghi, la natura i sapori di terre lontane dal nostro vivere moderno, hanno sviluppato e concretizzato idee che sono entrate in Karma Clima.
Mai come questa volta siamo davanti all’album di una band, in cui è importante tanto il lavoro del cantante, quanto quello dei suoi musicisti. Un plauso speciale va a Davide Arneodo, polistrumentista, che, entrato quasi in punta di piedi, un po’ come l’ornamento, il merletto cucito ad abiti già creati dalla band, nel tempo è diventato sempre più importante per la musica dei Marlene. Con Karma Clima diventa l’elemento portante del suono del disco, grazie al lavoro sulle orchestrazioni, all’utilizzo di strumenti elettronici analogici, tastiere.

Il porsi con attenzione all’ascolto di Karma Clima non è così facile. Probabilmente storceranno il naso i fan della prima ora della band, i “critichini”, quelli che “i Marlene veri sono quelli dei primi tre album”. Ecco, per loro sarà meglio lasciar perdere, ma per tutti gli altri, per chi vorrà mettersi in discussione e cogliere se non altro un’occasione, una possibilità di crescita, di riflessione, il nuovo album dei Marlene è quello giusto.
Non è sempre necessario che la musica ci devasti con chitarre distorte e rullanti, che ci sconquassi le budella in maniera violenta e selvaggia. Marlene è sempre stata fedele a se stessa, alle proprie idee, pagandone talvolta lo scotto. Si è trasformata nel corso degli anni in una signora elegante, seducente, matura, capace di scuotere anime e menti. Marlene non ha più bisogno di scagliarsi contro qualcosa o qualcuno, o meglio continua a farlo ma in maniera poetica, col filtro dell’arte, della poesia, delle immagini evocate da suoni sensoriali, aperti, dilatati. La musica di Karma Clima potrà sconvolgere il nostro ordine interno, pregresso, come una scossa improvvisa, ma questa volta faremo bene a farci trovare pronti, ne varrà la pena.

 

I BRANI

La fuga”è il pezzo d’apertura e primo singolo di Karma Clima. Il brano offre un’ intensità unica, una malinconia che spezza il cuore, una rabbia e una passione sincera. Un pezzo raffinato, tra l’altro privo di ritornello, cantato con pathos da Cristiano, che inizia delicatamente e cresce. Il racconto dello smarrimento di chi vorrebbe restare nella beatitudine, nella pace che regala la beltà della natura ma non può non arrendersi difronte alla meschinità dell’umanità

E io mi devo condannareO mi devo perdonare?Cosa c’entro? E se c’entro, in cheMisura sono colpevole?
Le domande poste all’inizio del brano sembrano non permettere una risposta, è tardi, ormai. Non resta che la fuga, l’oblio, l’uscita di scena.

Tutto Tace, si contrappone, in un certo senso, al brano di apertura poiché dove il primo parla di allontanamento, questo fa ritorno al pianeta terra, lo abbraccia, con un senso di stupore e di spavento. Il pianoforte accompagna sentimenti forti, contrastanti, fino al crescendo Gospel in cui le voci si fondono e sciolgono il groviglio dell’anima.
La Lacrima può avere un suo peso quando scende libera, “così tenera”, quando si riempie di tristezza e si smarrisce al pensiero che lo splendore della natura possa essere distrutto, per sempre. Il brano, dall’incedere vorticoso, regala il ritornello più riuscito insieme a quello contenuto nel secondo singolo dell’album Vita su Marte.
A proposito di quest’ultimo:
mi trovavo in un posto magnifico, quando è uscito il secondo singolo della band cuneese, passeggiavo per la Riserva Naturale Biologica “Macchia Foresta Fiume Irminio”, vicino Ragusa, che, un po’ come canta nel brano Cristiano, possedeva “un non so che di Paradiso”.
Non so se potesse esserci colonna sonora migliore alla mia escursione, ma l’ironia, la presa di posizione chiara, netta della canzone, mi ha permesso di restare con i piedi per terra, in un luogo da sogno, ancora incontaminato, poco caro ai turisti che riescono a  deturpare qualunque terra, qualunque spiaggia, a privare tutto della propria bellezza primitiva.
Bastasse e Scusami  ricordano all’ascoltatore che Karma Clima è anche figlio del lavoro solista di Godano, del suo riappropriarsi di testi delicati, morbidi e insieme caustici, del potere che possiede ogni parola contenuta in ciascuna canzone dei Marlene. L’intensità lirica che contengono questi due brani raggiunge il punto più alto dell’intero lavoro.
Laica preghiera, una suite struggente e delicata, affida alla preziosa voce di Elisa il suo finale. Solo una voce come la sua può davvero avvicinarsi agli Dei, permetterci, anche solo per un attimo, di tender loro la nostra mano. Sul finale, chitarra e tastiere si uniscono in un tuttuno, in un pianto intimo e accorato come le voci di Elisa e Cristiano.
L’ennesima stoccata poetica e ironica al comportamento dell’uomo, Acqua e fuoco, fa un saliscendi sonoro con archi e musica elettronica, creando un’atmosfera evocativa con un finale in cui l’elettronica ricorda proprio i Radiohead di Karma Police.
L’innalzamento delle acque è purtroppo un problema reale, grave. E L’aria era l’anima, ballata struggente, che si apre con un racconto di Godano, parla al passato, della bellezza di un paessaggio, di un luogo, che ora non è più tale. Il brano, posto in chiusura dell’album, sa di sberla in faccia, nel finale lascia infatti il posto ad un coro di bimbi: li abbiamo messi al mondo senza essere stati capaci di preservarli, abbiamo distrutto il loro futuro, il nostro.
Per sempre.
Il monito più doloroso cui potevano far ricorso i Marlene Kuntz è tutto qui, sul finale di questa canzone.
Hanno deciso di non urlare.
Ma hanno fatto di più, svelando lo spavento, lo smarrimento, il dolore, la perdita. Non so se volevano stupirci, metterci a nudo, commuoverci.
Ma ci sono riusciti.
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