Conosciamo meglio i protagonisti del GoaBoa festival 2017: intervista a Teta Mona

a cura di Renata Rossi

Un grande appuntamento con la musica e col divertimento ci aspetta, anche quest’anno, a Genova, dal 6 all’11 luglio, col GoaBoa festival 2017.

Ai grandi nomi del trap di Ghali, Sfera Ebbasta e Tedua si alterneranno le nuove derive electro-pop di Samuel, passando per formazioni trans-gender come Mykki Blanco e autentiche superstar planetarie della musica in levare come Ky Mani Marley. Artisti nazionali e internazionali fino a tarda notte ci faranno saltare, cantare, sudare. Non solo grandi concerti ma anche dj set, illustratori e live painting, giocolieri e acrobati faranno parte del grande festival estivo.

Abbiamo pensato di conoscere meglio alcuni dei protagonisti del Goa Boa e rivolto qualche domanda a Teta Mona che, nella serata di sabato 8 luglio, dividerà il palco con Samuel, Canova, Era Serenase e altri artisti.

La sua schiettezza profonda, un’anima autentica, un grande amore per la sua terra sono venute fuori da questa breve chiacchierata…

 

Ciao e grazie, innanzitutto. Come stai? Pronta per la serata del GoaBoa? Com’è confrontarsi con altre band, dividere il palco con altri artisti?

Ciao, grazie mille a voi.
Io sto bene e sono pronta per il GoaBoa. È probabilmente il palco più importante della mia carriera solista fino ad ora, non nascondo di essere piuttosto nervosa all’idea di tutta quella giungla di occhi…
Sono onorata di essere tra gli artisti di quest’anno, non conoscevo nessuno di loro e dopo aver fatto le dovute ricerche ho avuto modo di apprezzare esempi di grande qualità, con piacere.

 

Come nasce la tua passione per la musica?

Con Bach e il pianoforte.

 

Come sono cambiati i tuoi gusti e i tuoi ascolti negli anni?

Oltre agli ascolti è cambiato l’approccio al concetto di musica.È difficile assecondare i miei gusti perché dipendono dal mio stato emotivo, ritorno sempre ai suoni del passato eppure non mi bastano, ritrovo nel silenzio molti dei miei umori, ultimamente.

 

Il tuo album “Mad Woman” ci ha colpito molto, per la tua capacità di mescolare generi e mondi diversi. Quanto la tua vita fuori dall’Italia ha influenzato anche la tua musica? Quant’è forte il legame con la tua terra?

Mi lusinga il fatto che vi abbia colpito ma mi stupisce che parliate di generi, perché non hanno molto a che fare con il mio disco. Ero a mio agio solo con il Dub. Ho studiato ogni tipo di musica per creare un mio stile ma non sono mai riuscita a definirmi. Come faccio a spiegarvi quello che faccio? Cercherò dicendovi che ho dovuto dimenticare ogni genere musicale per esprimere il profondo disagio che ho provato tornando in Italia dall’ Inghilterra, dopo averci vissuto per più di 11 anni. La perdita di mio padre mi ha cambiato la chimica del cervello ed io non sono più la stessa persona che ero 3 anni fa.
Sono tornata qui nel 2014. A “Sheena”, la donna selvaggia, è seguito “Mad Woman”, dove mi sono solo spiegata un po’ meglio. Ho ritrovato il profondo legame con la mia terra attraverso la musica; le mie origini, l’esigenza di esprimermi attraverso la musica sono ritornate a me proprio quando avevo gettato la spugna.
Poi però la spugna è venuta a cercarmi con prepotenza, si è buttata tra le mie mani e mi ha detto: “canta”.
Il legame col la mia terra è oggi talmente forte da non poterne più farne a meno.

 

 Altra cosa, il tuo album è in inglese eccetto due brani in italiano. Come mai questa scelta? In particolare vuoi parlarci del tuo amore per Mina e della cover presente nell’album di “Whiskey”?

La scelta di fare due pezzi in italiano mi è stata suggerita, l’ho fatto controvoglia e si sente. Non mi viene naturale scrivere in italiano, mi devo sforzare sul serio, le mie energie erano su altro in quel periodo e sono riuscita a farne solo una (Orologio).
Ho scelto Mina perché la rispetto, quel pezzo in particolare non ha un motivo in particolare.  Ero a mio agio in quel concetto e poi ho lasciato che si sviluppasse. Però per me “Whiskey” è il pezzo più brutto del disco e mi pento molto di averlo fatto: non è andato in radio e meno male (era stato fatto per avere un pezzo da far girare in Italia).

 

Credo che il “mestiere” di musicista non sia per niente facile, oggi più di ieri, probabilmente. È così secondo te? Ci sono dei compromessi, o magari solo delle scelte difficili che un artista deve fare per poter vivere di musica?

Dipende dai punti di vista. Io questo problema non me lo pongo.
Suono da quando avevo 20 anni, la mia musica è sui vinili dal 2006, ho girato il mondo con la musica e non ho mai guadagnato neanche un centesimo, ci ho solo rimesso. Suonare non è il mio mestiere.
Sono una donna d’istinto e verità, mi sono messa fuori dal meccanismo trita anima dell’industria musicale da subito. Non sono capace di scendere a compromessi, ci provo sempre ma mi tormento, ed è per questo che insegno inglese, quello è il mio mestiere.

 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Non penso mai al futuro, preferisco pensare al presente…

 

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