“Come una tavola che taglia l’onda”, live report e intervista dal tour estivo di Bianco

A cura di Serena Coletti

Il furgone che trasporta Bianco e la sua band in giro per l’Italia per il “Quattro Tour estate” ha fatto tappa a Roma, nella cornice del ‘Na Cosetta estiva, per festeggiare l’ultima sera di luglio, nonché una delle più calde della stagione. Ma il cantautore torinese e i quattro musicisti che lo accompagnano hanno energia da vendere, una grande voglia di ballare e divertirsi, e non si sono certo fatti bloccare da un po’ di afa, così dopo un inizio più tranquillo il concerto ha iniziato a decollare con i brani più dinamici dell’ultimo disco ma non solo.
Dopo “Felice”, primo singolo di “Quattro”, l’ultimo album, Bianco ha quindi rispolverato “Guardare per aria”, con una versione di “Corri Corri”, con tanto di voce femminile scelta dal pubblico, tanto brava che risulta difficile credere davvero che fosse una decisione non pemeditata, per poi invitare tutti ad alzarsi per vivere al meglio le ultime due canzoni. Dopo una prima chiusura, affidata a “Tutti gli uomini”, Bianco è però tornato sul palco per gli ultimi, questa volta veramente, due brani, salutando così tutti sulle note di “Le stelle di giorno”, accompagnato dalla splendida voce di Margherita Vicario.
Il risultato è stato insomma un concerto fresco e piacevole come la birra con la quale abbiamo accompagnato la nostra chiaccherata con Bianco prima che salisse sul palco.

Partirei parlando del tuo ultimo album, “Quattro”, come nasce questo titolo?
Il titolo è venuto fuori mentre ero a cena con i ragazzi della band e dovevamo sceglierlo perchè poi andava in stampa il disco e non avevamo ancora affrontato il problema. Di solito si pensa al titolo magari anche prima che vengano fuori le canzoni però ero talmente concentrato sulle canzoni in sé che non avevo pensato poi al nome del contenitore, per cui “Quattro” è stato un titolo così super istintivo un po’ per festeggiare il compleanno della band, perché sono quattro anni che suoniamo insieme, un po’ perché era il quarto disco, e poi è un numero che nella mia vita torna spesso.

L’album invece parte da un’idea o ti ci sei dedicato canzone dopo canzone?
Ma in realtà avevo voglissima di scrivere delle canzoni perchè negli ultimi due anni e mezzo ho immagazzinato un casino di informazioni che dovevo in qualche modo far uscire far uscire, solo che eravamo in tour con Niccolò Fabi perchè abbiamo suonato due anni con lui, e nei buchi del tour, a casa, cercando di riprendere quella quotidianità persa, non riuscivo a concentrarmi. Allora ho fatto una piccola “vacanza studio” a Ortigia, io da solo con la chitarrina e mi sono messo proprio quaderno nuovo e penna a scrivere. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata di raccontare come in quel momento mi mancassero tanto delle persone, mi andava di prendere le storie di persone che conosco molto bene e raccontarle un po’ come se fossero mie, rubare episodi di vita.

A proposito della collaborazione di cui parlavi con Fabi, immagino abbia avuto un’influenza importante sulla nascita di “Quattro”…
In realtà ho cercato di fare di tutto per non farmi dire “ah cazzo assomigli a Niccolò”, perchè dopo due anni insieme era un po’ scontato, infatti in alcuni episodi del disco mi sono lasciato andare e ho detto “e vabbè, se mi viene una cosa alla Fabi sticazzi”, però ho cercato di prendere le cose che obiettivamente mi interessavano più di altre.

Per esempio?
Come prima cosa la leggerezza, che però non è frivola o stupida, ma la leggerezza nel fare comunque un lavoro bellissimo e di dire “sì, sto facendo una cosa importante per me stesso però è una grandissima fortuna il fatto di andare in giro, vedere posti belli, conoscere tantissima gente, suonare”, cioè comunque ci pagano per far questo. Quella cosa lì secondo me mi ha regalato il sentimento giusto per scrivere, intraprendere un nuovo tour, nonostante le difficoltà che comunque esistono. Quindi quella artisticamente, forse dal punto di vista proprio dei testi, riuscire a dire cose complicatissime paragonandole a cose invece molto semplici, a gesti quotidiani, comuni, però dette in un certo modo, in un certo contesto, possono raccontare invece delle cose più profonde, molto più grandi.

Invece come è nata l’esigenza di far uscire una versione alternativa di “Punk rock con le ali”?
Quella canzone secondo me aveva un potenziale radiofonico diverso dalle altre, al livello proprio di pop, di popolarità. La versione che avevamo fatto uscire nel disco era uno degli ultimi pezzi nati in studio, durante una notte di jam session, quindi ci siamo proprio lasciati andare sulla dilatazione della forma-canzone, girare un video su un pezzo così lugo diventava complicato, le radio comunque avrebbero segato tutto, per cui abbiamo deciso di offrire noi una versione un po’ più veloce, anche al livello tecnico, il volume è molto più alto. Il mastering è quello che ti alza il volume e te lo porta ai livelli standard, però schiaccia le frequenze le dinamiche ed è una cosa che io trovo un po’ antipatica, quindi nel disco l’abbiamo evitata, invece per questo pezzo abbiamo provato, ci siamo fatti dare una mano dal produttore dei “Serpenti” che lavora anche con Max Pezzali, ed è proprio inserito nel pop, per capire se anche noi siamo capaci di fare una cosa veramente pop. La risposta non la so, forse è una versione che da un punto di vista ha perso un po’ di autenticità, però il video è venuto molto bene quindi comunque sono molto contento di averlo fatto.

Invece in 30 40 50, come in buona parte del disco, c’è questo tema del passaggio del tempo e della crescita. Dal punto di vista del tuo approccio ai live, con il passare del tempo cosa ti sembra sia cambiato e cosa invece resta sempre invariato?
Diciamo che l’ansia di salire sul palco si è un po’ trasformata, prima era proprio terrore e basta praticamente, e solo dopo godevo di quello che era successo sul palco, mentre adesso stanno aumentando le volte in cui c’è proprio una goduria,forse anche perchè condivido questa esperienza con delle persone molto più inserite nel progetto.

Quella che tu fai è una musica tanto suonata, forse in questo ultimo disco anche di più, pensi ci sia ancora spazio per questa cosa o trovi sia diventato più difficile?
Penso che sia la mia più grande passione, per cui quando l’abbiamo fatto non ci siamo chiesti se era una roba che avesse ancora spazio o meno, però sicuramente c’è spazio per le belle canzoni. Quello in cui voglio crescere è proprio la qualità della scrittura, poi gli arrangiamenti sono come un gioco, dare un vestito alla canzone: c’è il mese in cui sei intripppato, vuoi scoprire tutti i suoni che hai sul computer e ti viene una cosa assurda e la tieni, e c’è il mese in cui sei chiuso in sala prove a suonare e hai bisogno di sentire il legno degli strumenti, dei rumorini che ci sono in studio.

Non vorrei chiederti con chi ti sei trovato meglio tra Niccolò Fabi e Levante, ma quali differenze hai notato tra queste due collaborazioni?
Sono due persone diversissime, quindi è difficile paragonarle, però proprio al livello anagrafico e di esperienza quando ho iniziato con Claudia ero un po’ io che cercavo di darle una mano nel trovare una direzione, nonostante lei abbia sempre avuto le idee chiare, mentre con Niccolò è stato esattamente l’opposto, siamo arrivati noi un po’ pischellini a suonare con il maestro. Quindi sono state tutte e due esperienze molto fighe e molto formative per me, però con due ruoli diversi, nonostante facessi sempre il musicista. Poi appunto con Claudia eravamo tutti alle prime esperienze di live su palchi grossi e quindi era veramente che tutti ci sostenevamo un po’ a vicenda, sentivamo più forse il dovere di tirar su una roba inesistente. Invece con Niccolò avere una persona più di esperienza ci ha fatto sentire subito molto al sicuro, si è capito subito quale era il nostro ruolo, che era quello di fare i gregari.

Il tuo primo disco, “Nostalgina”, è il primo pubblicato in assoluto dall’etichetta INRI, alla quale da allora sei sempre rimasto fedele, come è nato questo rapporto?
In maniera molto romantica, io ho iniziato a cantare e suonare le mie canzoni in un locale a Torino che si chiamava Giancarlo, che sapeva quasi di centro sociale, e il fonico del locale era il fidanzato della barista, che andava lì un po’ per stare con lei, un po’ per dare una mano. Questo ragazzo in realtà era il bassista dei Linea77, Dade, che aveva già prodotto vari dischi con loro e il suo disco AntiAnti, un insieme di canzoni prodotte da lui e cantate da altri, Caparezza, Fabri Fibra, Diego dei Medusa, un sacco di gente, un disco meraviglioso, e a un certo punto lui si è offerto di darmi una mano a registrare le canzoni perchè io non avevo neanche un demo, cantavo dal vivo. Quindi abbiamo iniziato a lavorare insieme, infatti la cosa che mi lusinga sempre è che lui dice che Nostalgina, il mio primo disco, è il suo secondo AntiAnti, per la concentrazione e la dedizione che ci ha messo. In effetti abbiamo lavorato per due tre mesi tutti i giorni nella mia cantina praticamente solo con un microfono e un computer e poi ad un certo punto abbiamo finito sto disco, tutto fantastico, avevamo già l’idea della copertina. Allora lui insieme ai suoi soci di Metatron, una società che gestiva il management di Linea 77, Negramaro, un sacco di altra gente, hanno tirato su la INRI, un po’ perché avevano voglia e un po’ per pubblicare il mio disco.

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