CERCHIAMO DI ESSERE FELICI

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[…]
“Eccoti accontentata. Prendiamoci questo maledettissimo caffè e sentiamo quale corona mi devi sfilare questa volta” mi disse, mentre si sedeva al tavolino del solito bar.
Feci altrettanto, accomodandomi timidamente di fronte a lui.
“In verità non so da dove cominciare..” confessai con tono sommesso, smorzando un sorriso.
Lui si poggió con sicurezza all’indietro, sullo schienale della sedia, iniziando a ticchettare con le dita affusolate della mano sinistra il jeans. Nel frattempo estrasse dalla tasca una marlboro rossa e l’accese, lasciando che una nuvola di fumo uscisse compatta dalle sue labbra carnose.
“Quante sigarette sarò costretto a fumare prima che completi il tuo discorso?”
Domandó con lo stesso tono di chi non ha voglia di combattere contro l’ennesima delusione della giornata.
“Non lo so, so solo che sono confusa. Sto cercando di andare avanti ma non ci riesco.. Ricompari in ogni angolo del niente che mi circonda da vari mesi ormai. Non trovo una soluzione.. Penso di essermi persa, letteralmente”.
Lui arricció gli angoli della bocca, ciccó la sigaretta e aggrottando vistosamente la fronte mi guardó per qualche istante negli occhi, prima di parlare.
Flashback.
Mi aveva già guardato così, con la stessa intensità. Era una mattina, quel giorno avevamo deciso di marinare la scuola e ci sedemmo a parlare su una panchina di fronte ad una pizzetteria. “Amore hai degli occhi bellissimi” mi disse, quasi ipnotizzato, mentre io galleggiavo in un brodo di giuggiole “sai perché? Perché sono castano scuro ma sono intarsiati da venature color nocciola e miele.. Peccato che si notino solo quando la luce è forte”.
Mi venne da piangere e non riuscii a trattenermi. Quel ricordo scese via insieme alle lacrime, che cercai di velare abbassando lo sguardo sul caffè che ci avevano appena portato.
Lui diede un sorso e distolse lo sguardo.
“Penso che devi andare avanti, ricordandoti che quello che eravamo lo hai distrutto tu in mille pezzi. Siamo polvere, non c’è più niente da ricostruire, a me dispiace dirtelo ma è così”.
Le sue parole si impiantarono nella mia testa come spilli nella carne, il senso di colpa, fedele amico da mesi, mi strinse forte il petto per non abbandonarmi neanche in quel momento e il disprezzo verso me stessa mi tiró i piedi verso quella camera buia e asettica che si chiama frustrazione.
“Non c’è più niente da fare, dimenticaci e vai avanti. Non sono arrabbiato con te, non più, perdona te stessa e cerca qualcuno che non sia io” concluse, concedendomi un sorrisino di circostanza. Mi porse un fazzoletto per asciugare il pianto, mi accarezzò una guancia sporgendosi verso di me per poi alzarsi e andare via.
Mi lasció lì con la tazzina vuota e una decina di mozziconi di sue sigarette nella ceneriera.
Tutte le mie parole rimasero soffocate nello stomaco dolorante e sentii una strana sensazione di implosione. Mi sentivo sciolta come lo zucchero dei nostri caffè in un liquido silenzio di discorsi non detti, di gesti non fatti, di errori reiterati senza consapevolezza nel tempo.
È così, forse, che ci si sente prima di morire, pensai…
Ma io ero viva. Ero io.
Mi pulsava ancora il cuore nel petto e pensai che forse meritavo una seconda possibilità, non da lui, ma da me stessa.
[…]
Informazioni su Fiorella Todisco 56 articoli
Classe '92, laureata in giurisprudenza alla Federico II di Napoli. Ama il diritto, la letteratura, la scrittura, la musica e prova a fare di tutto un po'.

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