ELLA GODA: esce il 10 aprile l’omonimo disco d’esordio

ELLA GODA: esce il 10 aprile l’omonimo disco d’esordio all’insegna di un cantautorato power-pop electro-chitarristic​o

Potete prenderli come un’esortazione coniugata al congiuntivo. Oppure come il nome improbabile di una ragazza. O ancora come la semplice combinazione di due parole che suonano bene insieme. Ed è forse quest’ultima la soluzione più azzeccata per rappresentare il progetto di tre musicisti che, appunto, suonano bene insieme. Sta di fatto che gli Ella Goda, dissertazioni sul loro nome a parte, sono il nuovo progetto di Brian Zaninoni, Sebastiano Pezzoli e Marco Towers. Tre musicisti con alle spalle esperienze e ascolti diversi, che in questo omonimo disco d’esordio – in uscita il 10 aprile per Bulbart dopo quattro anni di lavoro – si cimentano a modo loro con la difficile arte del power-pop.

Dice Wikipedia che il power-pop è “un sottogenere del pop rock, che si caratterizza per l’utilizzo di melodie semplici ed essenziali ispirate ai gruppi anni ’60, combinate con riff di chitarra abbastanza potenti, e da una struttura ritmica tipiche dell’hard rock.” Ecco: sostituendo l’hard rock con il drumming veloce e dinamico del punk e aggiungendo una dose sensibile di elettronica avrete gli Ella Goda. E avrete anche questo piccolo gioiellino a base di canzoni popular electro-chitarristiche dal suono pieno, vero e dall’efficacia seriale, capaci di rimanere in testa al primo ascolto e non andarsene più.

 Sanno assolutamente cosa vogliono fare gli Ella Goda e lo fanno benissimo (da soli, perché il disco se lo sono prodotti autonomamente). Partono dalle loro influenze, le più disparate e lontane possibili – che pescano dal cantautorato, dal funk, dal brit e dal punk – e portano un pezzo di America anni ’90 nella Valseriana (Bergamo) da cui provengono, mescolandolo a un gusto pop tipicamente italiano in curvature melodiche a presa rapida con robuste accelerazioni rock. Per costruire strofe argute e ritornelli killer di deliziosa perizia architettonica, irrorati con quanto basta di elettronica vintage e qualche citazione funzionale (l’omonimo romanzo di Irvin Yalom in “La cura Schopenhauer“, una poesia di Marco Ardemagni in “Uomo o cosa”). Infine lasciano che le parole s’appoggino e scorrano sulle strutture con la (finta) semplicità di chi conosce la fatica artigianale di scrivere canzoni non solamente belle, ma anche nostre.

Nostre nella capacità di migliorare le giornate e instillare piccole grandi riflessioni sull’esistenza. Nostre nell’essere piacevoli e divertenti, ma anche accoglienti e importanti. Nostre nel fare sentire meno soli quando lo si è, e più felici quando la felicità non manca. Sta tutta qui, in fondo, la misura che distingue il pop sciatto ed evanescente da quello lucente e pensoso degli Ella Goda e delle loro canzoni che, molto semplicemente, fanno stare bene

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