Sotto le palme di Algeri – Intervista a Giovanni Facelli (Lo Straniero)

 

giovannifacelli

Se dovessi nominare il nome di uno scrittore che ha cambiato, in positivo si intende, il mio modo di vedere la vita quel nome non potrebbe che essere Albert Camus. E dire che odiai la mia insegnante di francese quando decise di costringerci alla lettura di questo libro claustrofobico e soffocante, il cui incipit di per se è probabilmente il più potente deterrente alla lettura di ogni tempo.
Proprio per questo nel momento esatto in cui qualcuno, non ricordo bene chi ma ricordo che gli devo qualcosa, mi ha fatto il nome della band di Giovanni Facelli sono stato irrimediabilmente attratto e incuriosito da loro e ho deciso di andarli a conoscere.
L’appuntamento con Giovanni è poco prima dell’ora di pranzo all’ingresso del Jardin Essai El Hamma, il polmone verde di Algeri, nella zona di Belouizdad, proprio quella in cui Camus è vissuto, non troppo lontano dal caotico centro cittadino. Attraverso a piedi tutta Rue de Belouzidad e non posso che pensare a quanto diversa è ora questa città da quella raccontata nei suoi libri ma quanto rimanga assolutamente fedele a se stessa nonostante gli inevitabili cambiamenti. Il sole, la baia, le terrazze, il traffico, i gesti degli abitanti.
Giovanni arriva una decina di minuti dopo di me chiacchierando con un ragazzo dall’aria strana, con un improbabile pizzetto da finto intellettuale e una borsa di stoffa dei Beatles che sembra aver vissuto due o tre vite da quanto è sgualcita. .
Saluta il suo amico, a cui da appuntamento ala fine della nostra intervista ed entriamo nel parco, cercando un posto tranquillo tra famiglie e gruppi di giovani vocianti, fino a trovarlo sotto una palma poco oltre uno delle tante fontane dei giardini, e la nostra intervista non può che cominciare da Albert Camus e quel libro in particolare.

  • Ho letto “l’Etranger” a 16 anni ed è stata una vera epifania. Capirai quindi che, quando un comune amico mi ha fatto ascoltare un pezzo chiamato “Sotto le palme di Algeri” di una band chiamata Lo Straniero il mio cuore ha saltato due o tre battiti. La scelta del nome parte da qui? In realtà mi piace molto il suono della parola e credo possa evocare qualcosa di diverso rispetto al suo senso più comune. Il romanzo ha dato vita a tante suggestioni. All’inizio c’erano il sentimento, che coinvolge, e il distacco. Poi sono emerse cose inesprimibili, ma allo stesso tempo chiare, non dette, non scritte, accenni e indizi. Forse questo è l’aspetto più affascinante, che rimane nel tempo, su cui si ci può ancora interrogare. È bello quando succede con la musica: pensa alle canzoni che ti catturano ma di cui non cogli il significato o che a distanza di anni ti arrivano diversamente per un suono o una frase. Se torno al romanzo non penso tanto alla storia quanto all’estate molto particolare in cui l’ho letto, alle sensazioni, ai colori, alla canicola, al Mediterraneo ecc..
  • Mi racconti come è nato il vostro che senza dubbio è un progetto ambizioso, con una sorta di “trasversalità alta” fatta di riferimenti per nulla scontati, una sorta di ponte che attraversa almeno tre decadi di musica, ornato di testi che rappresentano un piccolo compendio su come si possa scrivere liriche semplici, usando raramente rime e trattando argomenti non banali, a cui si uniscono un ottimo lavoro di produzione e due voci che si completano e si fondono perfettamente?
    Ci siamo incontrati per fare musica e le cose sono andate avanti con naturalezza. Ho iniziato a scrivere da solo (chitarra, basso, elettronica e voce), un po’ per puro piacere e un po’ per esigenza personale. Dopo poco ho proposto a Federica di unirsi e di aiutarmi a dare un senso al progetto, lei ha coinvolto Luca, decisivo nella scrittura musicale e nella produzione. Valentina e Francesco hanno dato l’imprinting definitivo al gruppo. Siamo stati per mesi in sala prove a sperimentare e divertirci, senza porci limiti dal punto di vista creativo. Poi il Rock Contest, esperienza decisiva, e le prime date che per scelta abbiamo fatto quasi sempre lontani da casa, proprio per confrontarci con chi non aveva pregiudizi nei nostri confronti.
  • “Rimango qui” è una potenziale hit da tormentone estivo, leggera e briosa come dovrebbero essere le canzoni di questo tipo. Mi sembra diversa dalle altre sia musicalmente, non tanto come genere ma come approccio, quasi un divertissement, che come testo. In particolare sembra raccontare quella che potrebbe essere la storia di Federica o di una ragazza come lei, ma è scritto da te. Come nasce?
    Il testo è stato scritto insieme a Valentina e Federica. Lo spunto è di Vale che pensava a una straniera a Berlino, un cervello in fuga, in cerca di distacco dalla famiglia e da un amore usurato. Una studentessa-lavoratrice con la testa sulle spalle, ma che di notte magari si spoglia. Musicalmente l’abbiamo composta suonandola tutti e cinque in sala prove: è semplice armonicamente, ma con tanti dettagli creati con cura da Luca. Ci piace la musica leggera, ma non banale!
  • Per una sorta di deformazione che credo appartenga ad ognuno di noi, ho pensato ascoltandovi “questi assomigliano a…?” e mi sono venuti in mente per vari motivi Battiato, Garbo, qualcosa dei Bluvertigo, i testi di Max Gazze, qualcosa dei primi Matia Bazar. Quanto mi sto sbagliando? Non lo so, puoi sentirci quello che vuoi. Nel 2016 le influenze di un musicista non dipendono da una collezione di dischi (che noi abbiamo e a cui teniamo tanto), ma da repertori umani e artistici, quindi anche da condizionamenti esterni all’ambito musicale. Sicuramente quelli che hai citato, però, ci piacciono molto.
  • Se alla vostra musica è palesemente aliena la staticità quello che sorprende del disco è la dinamicità dei testi, che danno un senso di movimento, di viaggio, anche in pezzi più tranquilli come “Jet lag”. In questo senso “Sotto le palme di Algeri” è il vero paradigma di questa evidenza. È una coincidenza o una scelta voluta?
    All’inizio ti guidano l’istintività e l’esperienza: il ritmo e il senso di movimento sono fondamentali ed è un aspetto su cui ci stiamo concentrando. Considera che l’ultima canzone del disco è stata registrata nel 2014, da allora il nostro metodo è cambiato. In quei mesi abbiamo lavorato per livelli: una prima stesura libera, poi una fase di arricchimento e dopo si è messo tutto in discussione, sottraendo molto, per trovare una strada definitiva. Il testo di “Algeri” è stato scritto su basso e chitarra suonati sopra un pattern. Eravamo in piena estate, non ero in vacanza ma in una mansarda a suonare, forse dovevo ripercorrere delle tappe quando l’ho scritta: dopo l’incipit il resto è venuto in automatico, in un’ora avevo terminato il primo provino.
  • Trovo i tuoi testi estremamente suggestivi, mi rimandano a immagini ben definite di ciò che descrivi. Se dovessi definire con una immagine quello che per te, per voi è stato questo disco quale sceglieresti?
    Un’immagine che c’è in Cavalli di Carta. Le destinazioni possibili, ma soprattutto quelle che all’inizio sembrano impossibili e che una volta arrivati restituiscono stupore. Bisogna sempre essere pronti a partire: mettersi in movimento perché il percorso, per quanto tortuoso, affascina e arricchisce.

    Passo il resto del pomeriggio a chiacchierare con Giovanni di cose che, anche volendo, avrei difficoltà a raccontarvi: L’esibizione al MIAMI, l’emozione per un “debutto” live a pochi giorni dall’uscita del disco, i racconti sul Monferrato, sulla famiglia, gli amici e tutto il resto.
    Quando la giornata volge al termine da lontano scorgo l’amico scrittore dall’andatura caracollante e capisco che è ora di tornare in stanza a scrivere la mia intervista.
    Giovanni mi dice che si chiama Fabio e fa lo scrittore.

    “Non sembra, sai, ma quello è uno dei più bravi in circolazione, un giorno sarai obbligato a scrivere anche di lui. E non è una speranza, mio caro amico è una certezza , perchè come me è anche lui un po’ straniero a questo mondo”
    Gli dico che non ne dubito, e ne sono convinto, non chiedetemi per quale motivo.
    Mentre li vedo allontanarsi a passo lento, il sole si spegne e Algeri scompare davanti ai miei occhi, trasformandosi nell’imagine di sfondo dello schermo del mio portatile.
    Giovanni e Fabio saranno chissà dove, a sorseggiare una bevanda ghiacciata o un the caldo, a parlare di progetti e di arte, di vita. Soprattutto di vita.
    Aveva proprio ragione il vecchio Albert

“La speranza, al contrario di quel che si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi”
(Albert Camus – L’estate ad Algeri)

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