Più o meno MIAMI: le nostre 36 ore di festival

A cura di Francesca Lotti

Si è conclusa la quindicesima edizione del Miami, sotto la direzione di Carlo Pastore e Stefano Bottura. Breve intro per i meno pratici: cos’è il MIAMI? È Musica Importante a Milano. Ovvero, un festival che accende per tre giorni il parco del Magnolia, con una selezione di artisti da tutta la scena italiana, dai talenti emergenti ai nomi che ormai cavalcano l’hype, dall’indie più pop al cantautorato chitarra e accendini alla mano fino alla trap del pogo ignorante. In parallelo ai live, quest’anno c’era anche Mi Fai, lo spin-off del festival che ha portato 10 invitati a realizzare visual inediti durante le performance degli artisti sul palco WEROAD durante i live e Mi Parli, il nuovo format che ha visto susseguirsi dibattiti ed incontri con il pubblico.

Andando al dunque: seguire la trama di due giorni di Miami non è facile, si rischia di scadere in un elenco di performance, un po’ tipo i temi delle elementari “racconta il tuo fine settimana”. Anche perché, Miami non è solo una line-up ricchissima. Rappresenta davvero una fotografia della scena musicale italiana e soprattutto del suo pubblico, riflesso di quell’Italia che ci piace, senza barriere e pregiudizi. Quindi: pronti, attenti, via!

 

Pur non avendolo aperto formalmente, Dola ha segnato l’inizio del nostro festival: colonna sonora già durante il tragitto Linate-Miami, con tre ragazze che cantavano Shampoo a squarciagola, Ma faccio sempre a modo mio Fuori di testa come Dio” … Dola hai già delle groupies, grande no? Salito sul palco Jowaè con su occhiali scuri e divisa rigorosamente firmata Undamento, se ne esordisce con “A’ Fricchettoni!” che effettivamente si adatta bene alla situazione, con il pubblico spalmato in modalità raduno hippie sulla collinetta del Magnolia. Quando attacca con Supermercato risveglia gli animi e fa saltellare tutte le prime file, passando poi per pezzi più lenti fino a – “Stamo a fa momento chill levamoci dal cazzo anche questa” ovvero, Non esco.

Timbro ruvido e strofe quasi urlate come le storie raccontate agli amici, si chiude con Mostri e con il suo skkkkk finale. Plauso a MNTL – produttore dell’album di esordio di Dola, Mentalità – e a tutta la family Undamento riunita sotto palco che è un po’ l’esempio di quelle realtà che ci piacciono.

 

Nel frattempo, ne approfittiamo per farci due passi nel parco che inizia a riempirsi, tra birrette e sorrisoni. Breve giro di ricognizione e si torna sotto al palco, questa volta per Fulminacci, classe ‘97 e new entry di Maciste Dischi. Dopo l’esordio a gennaio con il singolo Borghese in Borghese, seguito da La Vita Veramente e Una sera, pubblica l’album La Vita Veramente, portando una ventata d’aria fresca al cantautorato italiano. A pochi mesi dall’uscita ha già un seguito affezionato, con mani su che battono il ritmo su Resistenza. Un live piacevole che si conclude in bellezza, sorprendendoci con una versione acustica di Stavo pensando a te.

 

Un salto al palco WeRoad, e qui, arriviamo alla scoperta più interessante di questa giornata: Avex.

Nato in Italia ma cresciuto in Etiopia per i primi vent’anni della sua vita, ha trascorso gli ultimi tre a Bologna facendosi strada nella scena rapper. Salito sul palco, nel giro di pochi minuti attira davanti a sé un pubblico incuriosito che si lascia trascinare da un flow super catchy e una presenza sul palco carica di stile ed energia. Grazie al suo background culturale, Avex dimostra una perfetta padronanza di italiano e inglese che si alternano senza soluzione di continuità, con testi da cui emergono tematiche sociali di cui si fa portatore in quanto italiano di seconda generazione. Oltre a Floppy, brano d’esordio prodotto da Yuri OG, abbiamo ascoltato in anteprima alcuni pezzi attesi per settembre – e non vediamo l’ora. Chapeau per il freestyle in chiusura, e per i due produttori con lui sul palco. Tenetelo d’occhio, per noi è uno dei rapper emergenti più interessanti della scena italiana e ci aspettiamo grandi cose dalle prossime uscite. Intanto, potete averne un assaggio qua.

 

Tornati al Jowaè giusto in tempo per gli ultimi minuti di Dutch Nazari, un nome ormai consolidato nella scena italiana e parte di quel filone di “cantautorap”. Prima di attaccare con Calma le Onde Dutch se ne esce con “La regola è sempre quella chi la sa la canta hi non la sa la balla chi fa tutte e due è un figo”, e neanche a dirlo, il pubblico che la sa tutte a memoria. Prima di  L’Europa, rivolge un saluto ad Emma Bonino, che nel frattempo si appresta a salire sul palco Pertini per concludere al Miami la campagna elettorale. A poco più di un giorno dalle elezioni europee, non poteva che chiudere così.

 

Nel frattempo, sul Palco Tidal Clavdio porta in scena il suo it-pop con Togliatti Boulevard, album d’esordio uscito a marzo, e fa scattare un abbraccio collettivo sulle note di Nacchere.

Torniamo sulla collinetta ed è il momento degli Eugenio in Via di Gioia, freschi di terzo album, Natura Viva. Dai primi brani eseguiti con un’attitudine da cantastorie (del tipo che potremmo essere tutti seduti attorno ad un fuoco con Eugenio & company) all’improvviso tutta la collinetta se ne batte le mani, grazie alla loro qualità di metterti allegria perfino quando ti cantano l’estinzione e lo scioglimento dei ghiacci come ne La punta dell’Iceberg. Sul finire, non manca il pogo “Nella speranza che questo pogo diventi un onda”, che ricorda i primi live di gruppi indie (quando ancora erano indie) come Lo Stato Sociale. In chiusura, un classico come Chiodo Fisso e il singolo che aveva anticipato l’ultimo album, Altrove.

 

A questo punto succede qualcosa di surreale: guardandosi attorno gruppetti di persone iniziano a correre verso il palco principale. It’s Coma Cose time! Un fiume di gente si riversa davanti al Tidal, mentre una voce robotica ripete Hype Aura, Hype Aura, Hype Aura… Fausto e Francesca fanno il loro ingresso sulle note di uno dei loro brani più famosi, Jugoslavia, con una carica e una sicurezza sul palco decisamente più convinta rispetto ai loro primi concerti. L’esibizione nel complesso assomiglia più ad un enorme karaoke, con il pubblico probabilmente più variegato di tutto il Miami, (tanto che accanto ci troviamo un bambino di 5 anni che conosce perfettamente i testi e non manca di scandire il ritmo con le braccia).

 

E Poi? C’è anche lui, Giorgio Poi, che con i suoi testi malinconici è un po’ come l’amico che ti consola seduti al bar. Pure qua il pubblico non scherza in quanto a modalità karaoke, specialmente sui classici Il Tuo Vestito Bianco e Acqua Minerale. Pubblico che viene mandato definitivamente in orbita con l’ingresso di Frah Quintale per Missili e Calcutta (del cui avvistamento si erano rincorse voci da tutto il pomeriggio) per La Musica Italiana.

 

Ed eccoci agli Psicologi, ovvero i giovanissimi Drast e Lil Kaneki, che arrivano da quel mondo sotterraneo di rapper emersi da soundcloud, usciti con Bomba Dischi e notati di recente anche da Frenetik&Orang3 (produttori di Alessandra). Giovanissimi sì, ma con una fanbase già accanita che li sostiene durante tutto il live e conosce a memoria i testi di quei brani che ti catapultano nella cameretta del liceo tra le prime incazzature verso il mondo dei grandi, quello borghese ormai fallito che ripiega sui farmaci, la disillusione e i tormenti. Partiti tra qualche incertezza e difficoltà tecnica, sanno reggere bene la tensione e finiscono per scherzare sull’auto-tune, che non funziona come dovrebbe. Poi per fortuna si ingrana e, come prevedibile su un pezzo politico e incazzato, su Alessandra scatta il momento punk, a cui seguono poi i due brani dall’inquietezza, Autostima e Diploma.

 

Prendiamo fiato e torniamo in collinetta, dove ci aspetta Franco126.  L’allestimento è quello del tour con cui sta portando in giro Stanza singola, e quindi ci godiamo il concerto che pare di stare comodamente seduti nel salotto di Franchino. Lacrimuccia sui pezzi estratti da Polaroid e soprattutto su Sempre in DueE c’avrei scommesso su noi due, Una vita intera sempre in due, E c’avrei scommesso su noi due, Invece ognuno per le sue”, Carl dove sei? Che un po’ ci avremmo scommesso pure noi.

 

Sul We Road è il momento dei Tauro Boys, freschi freschi dell’uscita con Side Baby Bella Bro”. Tutti i pezzi sono accompagnati da visual fighissimi sullo schermo che sovrasta il palco, a tratti psichedeliche con qualche tocco di vapor wave e a tratti più simili a un video gioco degli anni ’90. Anche qua, iniezione di adrenalina e pogo generale per i brani più famosi come Napoli e Marilyn.

 

Ricaricati, siamo pronti per uno dei momenti più attesi del Miami. Lo aspettavano tutti, dai fan più devoti ai curiosi, fino ai più scettici: Massimo Pericolo. Entra sul palco e sembra davvero pronto a prendersi tutto, petto scoperto e orecchie da gatto. Dopo l’apertura con Scialla Semper, svela un po’ di tensione: ha incontrato Noyz in camerino – racconta – un mostro sacro per la maggior parte dei giovani rapper e ascoltatori del genere, che gli ha detto di spaccare tutto perché le aspettative sono alte. E in effetti, lo sono, pure del pubblico. Per fortuna non ci delude la sua performance e la capacità di trascinare il pubblico, anche se l’audio non è il massimo e fa perdere la potenza di alcuni brani.  Anche qua, ci innamoriamo dei video proiettati, che sono quelli girati con gli amici di Massimo (come per Amici) nelle periferie alternati a foto di gattini (sì, gattini). Non mancano le invettive contro famiglia e polizia, e trattenendo le opinioni personali, è chiaro che dia voce a molti. Seguono: apparizione di Generic Animal per il brano più delicato dell’album, Sabbie d’Oro, e boato finale su 7 Miliardi.

 

L’elettricità rimane nell’aria perché sta per arrivare un altro degli artisti più controversi del momento: Speranza. Personaggio discutibile per molti versi, ma se esistesse un premio miglior impatto scenico andrebbe sicuramente a lui, l’unico a portare in scena un vero e proprio show: tutta la gang si presenta sul palco in passamontagna e giubbotto antiproiettile, bandiere sventolate che ti fanno respirare l’aria di curva da stadio e rioni popolari. Ciliegina sulla torta? Spari in aria sull’attacco di Sparalo. Boooom. Che vi piaccia o no, tutti ipnotizzati verso il palco.

 

L’artista successivo, ce lo introduce un personaggio grottesco che si aggira con occhi vacui nei dintorni del palco. Tale soggetto si avvicina montando su un’invettiva mica da ridere, tutta incentrata sul fatto che al concerto di Ketama non si trova neanche un po’ di ketamina. E così, chiudiamo la serata proprio con Ketama126: hardcore come ce lo aspettavamo, con pantaloni adidas, petto nudo e giacchetta western a frange. Ciondolante sul palco, sembra pronto a saltare (o cadere) da un momento all’altro sulla folla. E conferma quello che ha detto in un’intervista di un annetto fa: che no, lui ai live non ci mette la tecnica o la preparazione, che magari sta pure tutto fatto e salta qualche parola, ma alla gente l’energia arriva lo stesso. “Faccio schifo” canta lui, però il pubblico lo sa far muovere come una rockstar, con quell’attitudine da artista maledetto e dissoluto che non mostra nessuna vergogna. Finisce tutto in una grande festa con, tra gli altri, vari membri della 126 e Pericolo sul palco.

 

Tralasciando qualche incertezza tecnica e l’audio non sempre ottimale, bilancio più che positivo per la prima giornata. La vera pecca, le sovrapposizioni sulla line-up di artisti con un pubblico tendenzialmente simile. Tra una corsa e l’altra, ci siamo persi ahimè alcuni artisti tra cui Sxrrxwland e l’esordio di Maggio.

 

Giorno 2: iniziato male con diluvio universale durante l’apertura, facciamo in tempo a correre sotto al Jowaè per ascoltare IRBIS37, che ci risolleva subito il morale. Il trio, composto da Irbis (rapper e produttore), dNoise e Logos.Lux, dopo un esordio indipendente entra in casa Undamento nel 2018, sotto la quale esce il secondo album, Schicchere. Fortissima complicità del gruppo, ed Irbis che incanta tutti dando grande prova di talento tanto sui pezzi rappati che su quelli lenti come Bambina.

Segue Margherita Vicario, dalla cui carica sul palco ci lasciamo piacevolmente sorprendere.

 

Girellando per il parco, torniamo poi sotto il Jowaè puntuali per Venerus & His Orchestra. Dopo l’intro da solista con Senzasonno, ed ecco che salgono i membri dell’Orchestra: “Vi ho portato gli Aristogatti!”. Audio non ottimale, almeno dalla nostra posizione, ma un live sicuramente studiato e con una formazione che aggiunge ai brani quel tocco in più che da una presenza al Miami ci si aspetta e solo alcuni artisti hanno portato.

 

Altro momento attesissimo: visibilmente emozionato per il suo primo concerto milanese, sale sul palco Mahmood. Ricorda di quando lui andava al Miami ed era una figata, e pensa che figata ora che se ne sta sul palco. Cantano tutti, un po’ perché quei brani li abbiamo sentiti talmente tanto da Sanremo che ti sono entrati in testa, un po’ perché in quei testi ci si ritrovano tutti. Ci sono bambini a giro per il parco, felici che neanche a Natale. E poi ci siamo noi che su Anni ’90 – a vedere quei visual con tutti i simboli della nostra infanzia, dai Pokèmon in poi – ci ritroviamo catapultati indietro nel tempo tra nostalgia e complicità con il vicino, con cui ti scambi quell’occhiata del tipo: sì, c’ero anche io, bei tempi eh! Sorprese anche qua: Sfera Ebbasta sale sul palco per Calipso e Guè Pequeno per Soldi – e qua altro karaoke con una mare di mani che battono, ma che ve lo diciamo a fare.

 

Infine, il vincitore di Sanremo lascia poi il palco all’unica vera regina di Milano: LA MYSS.

Myss Keta e la sua crew, ragazze di Porta Venezia al completo comprese, mandano in visibilio tutti, dall’inizio alla fine. Presenza scenica di un altro livello, è uno spettacolo che non solo diverte ma ti sa coinvolgere, grazie anche all’ironia che mette nei brani e con cui li introduce, come prima di B.o.n.o.: “Ragazzi ma avete notato quanti boni ci sono stasera?” Momento super caldo durante il duetto con Mahmood per Fa Paura perché è vero, e di ovazione su Pazzeska con il ritorno in scena di Guè. Si riemerge dopo uno stato di trance, guardando la folla da sotto il palco sono tutti con occhi a cuore e ormoni a mille.

 

Chiudiamo la seconda giornata con un’altra chicca che ci porta questo festival: i Nava e la loro elettronica persiana. La voce ipnotica di Nava Golchini incontra Francesco Fugazza, produttore e arrangiatore, che insieme a Marco Fugazza ed Elia Pastori hanno dato vita ad un progetto tra i più interessanti del momento. Il richiamo alle origini iraniane di Nava è forte, non solo nella ritmica ma anche negli elementi visuali – a partire dagli abiti di scena. Il tutto, si fonde con un’elettronica fortemente sperimentale che si richiama ad Apparat e Flying Lotus. Date un’occhiata al loro ultimo lavoro, Flesh, con tanto di video.

 

Oltre ai live, alle anteprime e all’iniezione di buona musica, il Miami si conferma una grande festa che prende forma in un clima di condivisione e sperimentazione, dove puoi ritrovarti accanto il tuo cantante preferito – quello che fino ad un attimo prima se ne stava sul palco – pronto ad ascoltare un nuovo artista emergente. E la musica italiana, dove sta andando? Verso un luogo non ben definito forse, non perché inconsistente ma perché privo di barriere e rigide etichette. Sempre più artisti cercano di sfuggire alle definizioni, in un clima di eclettismo e incontro di generi, ritmi ed estetica, con brani che riprendono a caricarsi di una vena politica, pur in forma velata. E il festival, tutto questo sa fotografarlo. Grazie, MIAMI. [Per riascoltare i brani del nostro Miami clicca qui.

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