Nel 1992 frequentavo il liceo. Un periodo bello e felice, l’età della crescita, delle scoperte, dei cambiamenti. Era un’altra epoca completamente: Internet non era ancora entrato nelle nostre vite, c’era Videomusic che ci metteva davanti alle realtà musicali nazionali ed internazionali, la musica “alternativa” finiva in classifica, i videoclip erano regolarmente trasmessi e soprattutto la musica si acquistava, non si scaricava.
E siccome tutto ciò aveva un suo costo, ogni cd, che proprio in quegli anni iniziava a prendere il sopravvento sulle cassette, era un vero e proprio oggetto di desiderio. Si trascorrevano interi pomeriggi nei negozi di dischi, che allora esistevano anche nelle piccole città, e una volta scelto quello da comprare, una serie di sentimenti si facevano spazio: felicità, curiosità, voglia immensa di ascoltarlo. Il cd si studiava (molto più attentamente dei libri di scuola): si osservava dapprima esternamente in ogni sua parte, e poi si metteva nel lettore e si ascoltava con attenzione quasi sacra.
Presto quel piccolo oggetto diventava parte della tua vita e tu della sua.
Bene, questa premessa per dirvi che io all’inizio degli anni ’90 iniziavo a scoprire la musica e, spinta dalla passione di alcuni miei compagni per la band di Dublino, mi avvicinavo agli U2, che da poco avevano pubblicato “Achtung Baby”. L’otto febbraio del ‘92 decisi di festeggiare il compleanno in pizzeria e di invitare i miei compagni di classe.
Ricordo poco di quel giorno, e nessun altro regalo, se non un cd: “The Joshua Tree”.
Quel cd insieme ad altri degli U2 (l’ultimo che acquistai fu “Pop“ del ’97) e a tanti altri che negli anni si sono aggiunti, mi fa ancora compagnia, anche se il libretto è ormai quasi consumato.
Il nove marzo di trent’anni fa usciva “The Joshua Tree” e gli U2 hanno deciso di festeggiare questa ricorrenza con un tour celebrativo che si preannuncia come uno degli eventi musicali più importanti del 2017 (le due date romane sono andate sold out in poche ore).
Tanti anni son passati dall’uscita di quell’album e la band dublinese è cambiata musicalmente e non solo. Con loro siamo cambiati noi, fan di quell’epoca dell’era U2, gruppo capace di scrivere grandi canzoni che si sono impresse nella nostra mente per sempre. Da adolescenti eravamo dei sognatori, cercavamo nel nostro piccolo di combattere una società che non ci piaceva, non ci rispettava e non ci permetteva di volare. Affidavamo la nostra voce ai cantanti e agli artisti, sicuri che, oltre e saper cantare e scrivere grandi pezzi, possedessero una rettitudine e un animo unici.
Bono, per tanti ha incarnato la figura del Profeta, capace di infondere messaggi di pace, amore e speranza coi suoi testi, o banalmente una sorta di Robin Hood che aveva a cuore popolazioni povere e afflitte dalla fame e dalla guerra (prima tra tutte la questione Nord Irlandese). The Edge faceva esplodere i palchi di tutto il mondo e sognare orde di chitarristi che tanto avevano da imparare da lui. Larry Mullen picchiava sodo senza fermarsi mai sulla batteria. E mentre gli altri rappresentavano “il genio”, Adam Clayton ci piaceva perché incarnava “la sregolatezza” di un gruppo perfetto, senza difetti o sbavature.
Ma, ahimé, siamo cresciuti tutti, abbiamo imparato a non credere alle favole, aperto gli occhi e siamo diventati cinici. Abbiamo capito che Bono non è né Dio, né Robin Hood, né altro.
Il cantante irlandese ha dovuto rispondere a diverse accuse tra cui quella di aver sottratto milioni di euro al fisco. Le diverse iniziative umanitarie, per questa o quell’altra causa benefica, non hanno portato reali vantaggi alle popolazioni per le quali erano nate, anche perchè Bono ha sempre preferito schierarsi a favore dei deboli ma mai veramente contro i poteri forti. Una delle mosse più discutibili degli U2 è stata mettere in piedi una clamorosa operazione iTunes per l’album “Songs of innocence”, reso scaricabile in automatico (gratis) per 500 milioni di utenti, un grosso regalo alla Apple che non credo ne avesse reale bisogno.
Gli U2 sono stati capaci di far parlare sempre di loro nel bene e nel male, insomma.
Oggi, tuttavia, voglio tornare quindicenne, riascoltare l’album che mi hanno regalato i miei compagni di classe con l’amore di un tempo, ritrovarmi sui banchi di scuola e scrivere qualche frase sul mio diario. Questo perché “The Joshua Tree” resta uno dei grandi dischi della storia del rock, un classico intramontabile, una pietra miliare della musica contemporanea.
Tutto il resto sono solo chiacchiere e la fine dei sogni di un’adolescente.
Leggi anche: le canzoni che compongono The Joshua Tree:
Where the Streets have no name
But I still haven’t found what I’m looking for